Un corpo all'altezza dell'anima...
di don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio, tratto da aleteia.org
Un corpo all'altezza dell'anima...
Nel 2010 aprii questo blog che dopo aver conosciuto per alcuni anni una stagione molto bella ha finito con l’inaridirsi sempre di più. La fontana si è mutata in un fiume carsico, l’acqua scorreva ancora, ma per lo più invisibile, salvo apparire qua e là imprevedibile e (di fatto) inutilizzabile.
Chissà che ora che la mia vita conosce una nuova stagione di stabilità ed equilibrio possa tornare ad assumermi questo impegno con più regolarità? Ci provo, diciamo che rientra nei buoni propositi per il nuovo anno.
Tra i buoni propositi ci sta di ripartire dalla meditazione quotidiana dell’Ufficio delle letture. Chi mi conosce sa che amo far interagire la Parola con le parole, commentare la scrittura servendomi della letteratura e delle scienze umane. Così mentre leggevo l’ufficio stamattina mi è venuto in mente di accostare al bel brano di S. Paolo che la liturgia ci propone uno altrettanto bello di S. Kierkegaard.
Scrive l’apostolo: “Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre precetti come “non prendere, non gustare, non toccare”? (…) Queste cose hanno una parvenza di sapienza con la loro affettata religiosità ed umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne” (Col 2,20-23)
E il filosofo danese risponde: “Colui che con il suo amore è rimasto vittima di un inganno umano cos’ha in fondo perduto se nell’eternità vedrà che l’amore permane mentre l’inganno è cessato? Ma colui il quale ha astutamente ingannato se stesso, anche se per tutta la vita si immaginasse di essere felice, quale non è la sua iattura quando nell’eternità vedrà che ha ingannato se stesso! Infatti nella vita del tempo può anche darsi che qualcuno possa fare a meno dell’amore (…) ma nell’eternità egli non può fare a meno dell’amore, non può non accorgersi di aver perduto tutto” (S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore I,14)
Non si può fare a meno dell’amore! Nel contesto è chiarissimo che Kierkegaard intende l’eros (del resto la dialettica di eros e agape è uno dei temi fondamentali della sua opera) e dunque chi sono quelli che si illudono di poter fare a meno dell’eros? Sono quelli che pretendono di sopprimere il desiderio a colpi di forza di volontà, quelli che fingono di non avere un corpo e una carne, quelli che non cercano in Dio colui che sazia ogni desiderio, ma uno che confermi la loro hybris di superiorità su se stessi e sulla propria animalità. Per questo Paolo dice che certe pratiche hanno il solo effetto di soddisfare la carne, perché per carne intende appunto lo smisurato orgoglio spirituale di chi pretende di elevarsi al di sopra dell’umanità a forza di braccia.
Io non chiedo a Dio di elevarmi al di sopra della carne, ma di elevare la mia carne all’altezza dello spirito. Non me ne faccio nulla di un Dio che non abbia nulla da dire alle mie passioni, voglio invece una parola che mi affascini tutto intero, carne, psiche e spirito, che sazi il mio istinto, la mia intelligenza e il mio cuore.
L’originale su La Fontana del Villaggio
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