√â un no che cerca soltanto di fondarsi su un uso della ragione scevro da interessi di parte e su un'attenzione ai problemi reali della gente e al bene comune cui tutti siamo chiamati responsabilmente a concorrere. Un no che è piuttosto un sì alla famiglia e al futuro del paese che vogliamo.
del 19 febbraio 2007
“Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo”: questo imperativo, che Kant pone alla base della sua etica “laica”, risuona quanto mai attuale in un momento in cui la passione politica e gli interessi di parte rischiano di oscurare la vera posta in gioco di quanto si sta dibattendo sotto il nome di DICO. Questa posta non è di natura politica o peggio ancora partitica, ma semplicemente di natura morale, e perciò largamente umana, in quanto viene a toccare quei valori condivisi, per loro natura non negoziabili, che sono alla base di ogni convivenza ordinata, e specificamente della democrazia ispirata al patrimonio etico sancito nella nostra Carta Costituzionale. Quando i Padri costituenti si riferirono alla famiglia negli articoli 29-31 della Costituzione repubblicana, lo fecero esprimendo un’ethos condiviso, un sentire che nasceva dal comune riconoscimento di una sorta di “grammatica” di valori inscritta nella stessa condizione umana e che risultava particolarmente necessario richiamare dopo gli anni della barbarie della guerra scatenata dai fanatismi ideologici. Sembrava, cioè, che per ricostruire l’Italia non si potesse non porre le fondamenta irrinunciabili di un bene comune riconosciuto e voluto da tutti, almeno come meta e progetto. Ora, è precisamente uno di questi pilastri, su cui si regge la nostra democrazia, che è in gioco nel dibattito attuale: la domanda pertinente non è “quale forza politica riuscirà a vincere”, ma come far vincere tutti, facendo prevalere la ragionevolezza e il riferimento ai valori irrinunciabili, senza i quali ad andare perduta è la stessa possibilità della vita democratica e quindi del bene di tutti. Al vertice delle nostre preoccupazioni non deve stare certamente il proposito di penalizzare i diritti dei conviventi, ma piuttosto di sostenere positivamente e di promuovere le famiglie in senso proprio.
Questa considerazione fa comprendere il disagio che avverte di fronte alla proposta sui DICO chi quotidianamente sperimenta la validità dell’intuizione costituzionale sulla famiglia e la vede purtroppo già largamente disattesa: parlo qui a partire della mia esperienza di pastore, a continuo contatto con la realtà di tante famiglie che fanno fatica ad andare avanti, ad arrivare alla fine del mese per i costi della vita, per le esigenze dell’educazione dei figli, per la cura dei membri più deboli della nostra società, spesso affidati unicamente alla famiglia stessa (penso in particolare agli anziani). In un paese in cui si vivono ogni giorno queste difficoltà, dove la natalità è da anni in caduta libera, dove sposarsi è una sfida spesso rimandata solo perché non ci sono le condizioni abitative o lavorative per farlo, dovere primo del legislatore dovrebbe essere quello di impegnarsi per una politica seria e credibile a favore della famiglia, della sua costituzione, del suo sviluppo, delle sue ordinarie condizioni di vita dignitosa. E invece questa priorità – che qualunque politico socialmente sensibile dovrebbe avvertire – è posposta rispetto alla urgenza di mantenere un accordo programmatico di coalizione su un punto largamente discusso e discutibile, giungendo a una bozza di compromesso confusa e dalle conseguenze sociali, economiche e culturali tutt’altro che chiare. Il mio no ai DICO è quello di tanti cittadini, credenti e non credenti, che condividono la constatazione del bisogno urgente di una legislazione per la famiglia, a sostegno, tutela e promozione di essa, vero nucleo di vita, di democrazia, di futuro. Non voglio negare che i diritti delle persone conviventi vadano regolati, insieme naturalmente ai loro doveri: ma questo non va fatto in maniera confusa, con rischi - evitati solo a parole - di equiparazione di quei diritti con quelli delle coppie unite nel vincolo matrimoniale, e con conseguenze paradossali per la vita della società civile. Come si vede, è un no che cerca soltanto di fondarsi su un uso della ragione scevro da interessi di parte e su un’attenzione ai problemi reali della gente e al bene comune cui tutti siamo chiamati responsabilmente a concorrere. Un no che è piuttosto un sì alla famiglia e al futuro del paese che vogliamo. La mia fede di credente aggiunge a questo il conforto di sapere che nel disegno di Dio la famiglia ha un ruolo centrale: e di cose umane Lui credo proprio che se ne intenda meglio di ogni altro!
mons. Bruno Forte
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