Testimonianza da un monastero di trappiste. Pregare per tutti. Pregare perché ci si trova davanti al mistero del Male, così evidente, palpabile, feroce, menzognero. Preghiamo per l'uomo, l'uomo creato ad immagine di Dio, a volte addormentato nella sua fede, a volte così sfigurato dal suo asservimento a falsi idoli, persino a false religiosità.
Pregare per tutti. Vivere la nostra vita monastica qui, in Siria, oggi, è avere nel cuore e nella preghiera i civili, cristiani e musulmani, da qualunque parte stiano; le autorità politiche e religiose; i militari; persino i mercenari, nella loro cieca illusione di combattere per Dio. Persino i grandi responsabili di questa tragedia, quelli che stanno dietro le quinte e giocano con la vita e il destino di un’intera nazione. Non perché "siamo buone ", o "sappiamo come stanno in verità le cose". Ma pregare perché ci si trova davanti al mistero del Male, così evidente, palpabile, feroce, menzognero. Preghiamo per l’uomo, l’uomo creato ad immagine di Dio, a volte addormentato nella sua fede, a volte così sfigurato dal suo asservimento a falsi idoli, persino a false religiosità.
Vivere con tutti. Ci sentiamo grate verso questo popolo che ci ha accolte, che ci ospita. Dal quale stiamo imparando tanto. Coraggio di resistere, amore per la propria nazione, fede di fronte alla vita e alla morte. Viviamo con loro, nel desiderio della normalità della vita quotidiana. Può sembrare banale: come ci si può accontentare? Ci vuole giustizia, libertà, democrazia, certo. Ma la gente vuole poter lavorare, poter uscire serenamente di casa con la propria famiglia, andare a trovare i parenti, studiare, godere dell’amicizia con i vicini. Tutto questo lo avevamo. Non è abbastanza nobile? Peccato. Perché questa è la realtà: camminare umilmente in pace con il proprio Dio.
Continuando la nostra vita quotidiana – fatta di preghiera, lavoro nei campi, meditazione della Parola, ascolto e accoglienza – cerchiamo di restare fedeli alla verità che è la presenza di Dio, dell’Emmanuele, qui e oggi. Diamo lavoro a qualcuno del villaggio… Cerchiamo di dare speranza impegnandoci per la bellezza del luogo… Le rose che crescono nel nostro giardino, segno della benevolenza di Dio, un sorriso a chi soffre, un silenzio attento a chi porta un dolore.
Sperare per tutti. Sperare la libertà vera. Non sappiamo quanto risalto abbia avuto nelle coscienze la frase del Papa, pronunciata durante la sua visita in Libano: «La libertà religiosa non è una fra tante libertà». Noi l’abbiamo raccolta: questa è la nostra speranza, ciò che speriamo per tutti. E non vuol dire solo che i cristiani possano continuare ad essere presenti in Siria (cosa non affatto scontata), e a esserlo con pieno diritto, ma che si possa continuare a vivere tutti di fede, nella fede (la propria fede, cristiana o musulmana o altra), insieme. Facciamo fatica, in Occidente, a capire cosa significhi: così preoccupati di fare della libertà un valore assoluto, siamo diventati perfino liberi da Dio. Liberi da Lui, per farci schiavi di tante realtà inconsistenti, i nostri nuovi dei. In Siria eravamo liberi, ciascuno di credere, e di vivere della sua fede, gli uni accanto agli altri. Oggi la paura, la vendetta, la rabbia, il dolore, rischiano di creare fratture senza ritorno. Rendiamo grazie, ogni volta che sentiamo la gente colpita (cristiani, musulmani) manifestare un’indefettibile speranza: «Distruggono? Noi ricostruiremo…». «Questa non è la fede, questo non è l’islam». Parole pronunciate nelle piazze dove sono scoppiati ordigni devastanti. Si fanno incontri, nelle città, fra tutte le componenti. Si parla, si discute, si prega insieme. Si cerca la pace. La si chiede a Dio: la pace dei cuori e delle coscienze; la pace del perdono e della verità. La pace dei figli davanti a un solo Padre.
Suor Marta e le sorelle trappiste in Siria
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