La preghiera cristiana avviene all'interno dei due poli del lamento e della lode. Di quest'ultima credo sia particolarmente difficile parlare. Essa giunge a noi carica di un giudizio di eccellenza rispetto alle altre forme di preghiera, giudizio ripetutamente formulato dalla tradizione cristiana adducendo la sua purezza, il suo disinteresse, la sua gratuità.
del 01 gennaio 2002
La preghiera cristiana avviene all’interno dei due poli del lamento e della lode. Di quest’ultima credo sia particolarmente difficile parlare. Essa giunge a noi carica di un giudizio di eccellenza rispetto alle altre forme di preghiera, giudizio ripetutamente formulato dalla tradizione cristiana adducendo la sua purezza, il suo disinteresse, la sua gratuità. lo credo che la logica del confronto e del paragone, del giudizio di superiorità, e dunque di quello relativo di inferiorità, non si addica alla gratuità della lode, la quale va piuttosto compresa all’interno del movimento relazionale e dialogico della preghiera. Lode e domanda sono inclusive l’una all’altra, ed è la loro polarità, la loro complementarità che rende equilibrata e autentica la preghiera come relazione. Questa non è pretesa (esclusività della domanda), né adulazione (esclusività della lode), ma incontro reale (e non ideale) che avviene nella storia, nella concretezza della vita, di un uomo con il Signore che in tale storia si fa presente con i prodigi del suo amore suscitando la risposta laudativa oppure si nasconde dietro agli enigmi della sofferenza, della morte, dell’angoscia provocando la domanda, il lamento, la supplica. Nelle relazioni umane interpersonali la lode è linguaggio che esprime l’accettazione e la positiva valutazione dell’altro; anzi, normalmente, è il linguaggio degli amanti. Nella preghiera, potremmo dire che la lode è amore che risponde all’amore: all’amore di Dio riconosciuto in eventi dell’esistenza si risponde lodando, riconoscendo cioè l’Altro nella grandezza delle sue opere e dei suoi doni. E la lode ha sempre come destinataria la persona di Dio, non i suoi doni: la preghiera di lode è teocentrica. La lode è l’Amen, il «sì» dell’uomo a Dio e al suo agire: «sì» totale e incondizionato. È questa la lode di Gesù stesso: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, poiché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intellettuali, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, poiché così è stato il tuo beneplacito dinanzi a te» (Matteo 11,25-26). E la lode del cristiano ripete questo movimento trovando in Cristo il suo catalizzatore: «Tutte le promesse di Dio in Gesù Cristo sono diventate “sì”. Per questo sempre attraverso Cristo sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria»(2 Corinti 1,20). La liturgia, magistero della preghiera del cristiano, caratterizza il tempo pasquale con l’insistita ripetizione dell’esclamazione «Alleluja» («Lodate il Signore»), e così mostra che il grande dono di Dio è il Figlio stesso, morto e risorto per la salvezza degli uomini. È l’azione salvifica del Dio trinitario manifestata pienamente nell’evento pasquale che suscita la dossologia, la lode della chiesa.
Questo aspetto della lode come «Amen» rivolto a Dio, come confessione della sua alterità e della sua presenza, ci porta a comprendere la fondamentale sinonimia di lodare con credere: la lode esprime l’aspetto celebrativo della fede. Non a caso nella Bibbia essa spesso sorge dopo il discernimento di fede di un intervento di Dio nella storia: così, per esempio, il cantico di Mosè che segue la confessione dell’azione di Dio che aveva fatto uscire i figli d’Israele dall’Egitto (cfr. Esodo 15). Più che di superiorità della lode rispetto alla supplica occorre allora parlare della lode come orizzonte inglobante della stessa supplica! La supplica suppone la lode e tende alla lode: essa si fonda sulla lode in quanto confessa e invoca il Nome di Dio e riconosce di non poter contare su altri che sullo stesso Dio che ha abbandonato il credente («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», Salmo 22,2); essa tende alla lode perché spera di rivedere il volto noto e amico del Signore. Ecco perché spesso i Salmi di supplica sfociano nella lode (Salmo 22; 31; 69 ecc.); ed ecco perché il Salmista, nel lamento per il suo esilio, per la sua lontananza da Dio, può esclamare: «Ancora lo loderò» (Salmo 42,6.12; 43,5). Questo aspetto di speranza, di lode futura, è particolarmente accentuato nelle dossologie neotestamentarie dell’Apocalisse che parlano della vita eterna caratterizzandola con la lode dei credenti: si tratta evidentemente dell’affermazione della relazione di presenza senza più ombre del credente nei confronti di Dio.
Ma se la lode sintetizza in forma orante le dimensioni della fede, della carità e della speranza, è chiaro come essa sia la vita stessa che il credente è chiamato a vivere: noi siamo destinati a essere «lode della gloria di Dio» (Efesini 1,14). La lode vuole diventare la vita stessa del credente: poiché si ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi, si vuole lodare con tutto il cuore, cioè vivere e morire alla presenza di Dio. Significativamente la tradizione cristiana ci presenta il martire come esempio di lode vissuta fino alla fine, quasi un «Amen» personificato. Questa dimensione così pregnante e basilare della lode all’interno della preghiera, ci mostra come si nutra di un’estesa gamma di linguaggi, personali e comunitari. Dal canto al sussurro, dal giubilo all’esultanza interiore, dalle parole al silenzio: «Per te anche il silenzio è lode, o Dio» (Salmo 65,2). Allora, nel silenzio, la lode diventa presenza cor ad cor dell’amato al suo Amante.
Enzo Bianchi
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