Ci sono due modi per arrivare a Lampedusa. Con un aereo carico di turisti, che all'urto del carrello sulla pista applaudono, e già cercano nella borsa il cappello di paglia e gli occhiali neri. Oppure si può arrivare qui dopo mesi di viaggio, 5 mila chilometri, dal Corno d'Africa...
del 10 settembre 2008
Ci sono due modi per arrivare a Lampedusa. Con un aereo carico di turisti, che all’urto del carrello sulla pista applaudono, e già cercano nella borsa il cappello di paglia e gli occhiali neri. Oppure si può arrivare qui dopo mesi di viaggio, 5 mila chilometri, dal Corno d’Africa; e spesso le donne al porto di Tripoli si vendono, per pagare la traversata. Infine quest’ultimo deserto d’acqua, mai visto, spaventevole; nero nella notte, spietato sotto il sole. (Quando poi non si imbizzarrisce di vento, e ostilmente sballotta come giocattoli le vecchie barche stracariche. Qualcuna allora scompare, con le sue cento anime a bordo. Avaramente le correnti restituiscono i corpi: dormiranno laggiù, per tomba il mare).
Noi, quelli dell’aereo che sbarcano impazienti («ma quegli stronzi dell’hotel quando ci vengono a prendere?»), e loro, con i loro miserabili bambini attaccati al collo, tramortiti dal sole – e che lezzo da quelle barche, dopo tre giorni in mare in cento, facendosela addosso. Nei pochi metri che i clandestini percorrono in porto li guardano i turisti impietositi, da lontano. Son state messe le transenne, quasi a dividere noi da loro. Del resto, loro e noi, pare evidente, non apparteniamo forse a mondi diversi, se non a diversi pianeti?
Io sono una di quelli coi cappelli di paglia e gli occhiali neri. Ma ho provato, in una mattina di settembre a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera, a vedere da vicino gli stranieri; erano 83, soccorsi e caricati dalla nave italiana, mentre andavano alla deriva su un gommone in panne. Quando ci siamo avvicinati 83 paia di occhi neri ci hanno fissato in silenzio. Saliti a bordo, non hanno chiesto niente: nemmeno, in quei quaranta gradi, un po’ d’acqua. Una donna piangeva, ma di nascosto. Una stringeva in braccio un bambino. Gli uomini dell’equipaggio hanno dato da bere a tutti, e da mangiare. Loro, grati, ma sempre silenziosi.
In lontananza si cominciava a intravvedere Lampedusa. Così lontana ancora da sembrare, nel riverbero del sole, ombra, o miraggio. Allora ho guardato le facce degli stranieri. Fissavano quella linea come un’apparizione. Determinati, però. Noi, sembravano dire, non torneremo indietro.
Poi un ragazzo da chissà dove ha tirato fuori un tappetino, l’ha steso sul ponte e si è inginocchiato a ringraziare Allah. Un altro ha estratto di tasca un libretto fradicio d’acqua. Era un Vangelo in inglese. Sfinita, questa gente prega, per ringraziare della terra che si profila lontana.
Così dovevano essere, ho pensato, gli irlandesi, gli inglesi che per primi arrivarono in America. Miserabili, magari galeotti: ma, vedendo la terra, rendevano grazie a Dio. Così la loro migrazione ha avuto la forza di farsi storia. E forse anche questa che vedi a Lampedusa è già storia. Un’altra stirpe si allarga fra noi ricchi, vecchi, avari di figli. Miserabili, forse, questi uomini. Però loro pregano. E questo farà la differenza.
 
Marina Corradi
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