Milano. Il convegno sulla vita “zittito” all'università: «Così si cancella la libertà»
UnsplashImmagina di entrare in un’aula universitaria per parlare di storie vere, di scelte coraggiose fatte in situazioni difficili. Non hai preparato discorsi, perché le parole che porti arrivano dal cuore, dalla vita di persone che hai incontrato. Questo è quello che sarebbe dovuto accadere martedì scorso, durante il convegno "Accogliere la vita. Storie di libere scelte" organizzato nella sede di via Celoria dell’Università degli Studi di Milano. Era un’occasione per ascoltare testimonianze di donne che hanno scelto di non abortire, nonostante le difficoltà. Ma non è successo.
Cosa è andato storto? Alcuni studenti hanno deciso di interrompere l’incontro con urla, striscioni, tamburi e persino bestemmie, impedendo di fatto che la voce di queste donne venisse ascoltata. Hanno rovesciato acqua sugli impianti elettrici, lasciando tutti al buio, senza microfoni, senza possibilità di continuare. Un vero paradosso: nel luogo simbolo della cultura e del dialogo, il silenzio è stato imposto con la forza.
Ragazzi, fermiamoci un attimo a riflettere. Gridate a gran voce “libertà”, ma cosa significa davvero? È libertà impedire agli altri di parlare? È libertà zittire chi non la pensa come voi? L’università dovrebbe essere uno spazio di confronto, di idee che si incontrano e si scontrano, ma sempre nel rispetto reciproco. Quello che è accaduto non è stato un confronto: è stata una prevaricazione.
Eppure, le storie che avreste potuto ascoltare non erano contro nessuno. Non puntavano il dito. Erano racconti di mamme che, in condizioni difficili, hanno scelto di accogliere la vita. Come quella di una donna migrante che, nonostante la diagnosi di una grave malformazione del cuore nel bambino che portava in grembo, ha deciso di dire sì. Oggi quel bambino, dopo interventi e terapie, sta bene. Una storia che avrebbe potuto toccare il cuore di chiunque. Ma non avete voluto ascoltare.
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Al Cav Mangiagalli abbiamo imparato un principio fondamentale. L’ascolto. Noi operatori ogni giorno ascoltiamo difficoltà, timori, lacrime, problemi… in silenzio. Facciamo silenzio. È uno sforzo necessario per far tacere i nostri vissuti, per far tacere le tentazioni umane dei pregiudizi, commenti che potrebbero risultare inadeguati. Facciamo silenzio e ascoltiamo. E, in quello stare lì interamente per l’altro, si sperimenta davvero cosa sia l’accoglienza. E dopo aver ascoltato proponiamo un aiuto, un sostegno, tendiamo una mano.
Cari ragazzi, martedì vi ho ascoltato. In silenzio. Non ho commentato, né ho ribattuto. Non è timidezza. È esserci, anche per voi.
Noi al Cav Mangiagalli ci siamo. Non cerchiamo nessuno. Non ci appartengono le battaglie ideologiche. Non siamo dei combattenti. Da quarant’anni accogliamo e ascoltiamo. Non irrompiamo, non ci sovrapponiamo, non urliamo, non suoniamo tamburi e tamburelli.
A voi che martedì avete ridotto al silenzio me e le mamme chiedo: non cancellate la libertà di chiedere aiuto. Allo stesso modo di chi nelle acque di un mare gelido chiede un aiuto. Allo stesso modo di chi trovandosi ammalato magari in ospedale chiede un sostegno. Allo stesso modo di chi, per strada, impaurita, chiede un aiuto. La libertà di chiedere aiuto.
Sarebbe per me un grande dolore sentire: «Se avessi saputo che potevate aiutarmi avrei tenuto mio figlio». Non cancellate questa libertà. Un giorno potreste invocarla anche voi. E vi auguro che ci sia sempre qualcuno vicino a voi pronto ad aiutarvi per qualunque difficoltà.
Se volete essere veramente donne e uomini liberi, ascoltate, tutti, anche chi non la pensa come voi. Anche quella mamma che, sono certa, avrebbe fatto breccia nei vostri cuori. Una mamma e un papà orgogliosi del loro sì alla vita.
Direttrice del Centro di aiuto alla vita Mangiagalli di Milano
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