Quando la vocazione è...eccessiva

Elia, il fuoco e la brezza leggera. Il profeta Elia è un personaggio abbastanza fuori dagli schemi, pieno di alti e bassi, una personalità controversa, a volte contraddittoria, ma senz'altro attuale. C'è un eccesso di zelo o di prurito narcisista nella sua azione profetica, una smania di protagonismo che distorce la percezione della realtà, e può portare a certi estremismi. Fino a quando Dio non interviene...

Quando la vocazione è...eccessiva

da Teologo Borèl

del 18 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           Elia è un personaggio molto interessante. Difficilmente inquadrabile, per la ricchezza della personalità, ma abbastanza classico per risultare attuale. Nella storia dei profeti biblici occupa un posto di riguardo: rappresenta la figura del profeta itinerante e del rigoroso asceta, del combattente coraggioso che si oppone anche ai potenti. 

Visione distorta 

          Eppure anche Elia fa una certa fatica a entrare nella prospettiva vocazionale giusta e rischia di mettersi a fare una battaglia un po’ eccessiva. A sentire lui, infatti, è l’unico rimasto a essere fedele al Signore in un mondo ormai perduto e dominato da forze avverse al vero Dio (i profeti di Baal); ma proprio questo mondo e i suoi cortigiani egli da solo sfida con estrema sicurezza, anzi li mette in ridicolo di fronte a tutti e li umilia, e non si accontenta di vincere su di essi, ma li vuole eliminare tutti e 450!

Non è un po’ troppo?

          Sì, c’è un eccesso di zelo o di prurito narcisista che distorce la percezione del profeta e gli impedisce di vedere, come risulterà più avanti, che erano almeno 7.000 gli Israeliti rimasti fedeli al Signore, e che lui non era dunque tenuto a caricarsi tutto il mondo sulle spalle, per sentirsi alla fine il più bravo di tutti e l’eroe indiscusso.

È qualcosa che può succedere anche a noi, oggi in modo particolare, in questo mondo che tanti dipingono (come allora Elia) come ormai alla deriva, mai così lontano da Dio, mondo post-cristiano che irride il Vangelo e chi si dichiara credente.

È proprio così?

Neo-millenaristi 

          Non era certo di questa idea Giovanni Paolo II, come non lo è Benedetto XVI, quando hanno entrambi parlato di una “grande primavera cristiana” che “Dio sta preparando… e di cui già s’intravede l’inizio”, alla quale rispondere con una “nuova evangelizzazione” e cercando areopaghi nuovi (“il cortile dei gentili”). Certo, non tutti la sanno vedere questa nuova stagione, ma proprio questo è il problema oggi. Di quei tanti, troppi cristiani che pensano che siamo arrivati alla fine, come i millenaristi di un tempo, perché… non c’è più fede, né vocazioni e i giovani d’oggi sarebbero addirittura la prima generazione non credente (nel passato i giovani erano forse tutti credenti?). È anche questa una forma di narcisismo, una specie di narcisismo temporale, come se il nostro tempo fosse quello più importante e decisivo di tutti i tempi e dopo di noi ci fosse il vuoto. Andiamoci piano con certi catastrofismi, che dicono solo la precarietà della nostra fede e la miopia delle nostre vedute, capaci di scorgere solo una parte della realtà, quella negativa.

Con quali conseguenze?

Le paure del profeta 

          La visione pessimista crea solo nemici e fa vedere ostilità ovunque, cui Elia reagisce scappando, pieno di paura, preoccupato di salvare la pellaccia, solo e braccato. È notte piena nel suo cuore mentre il sole picchia nel deserto, tanto da desiderare la fine e prendersela pure con Dio: “Basta, non ne posso più. Fammi morire…”.

Ma come? Non era ardente di zelo per il Signore, non era il salvatore della patria, il migliore di tutti?!

          È quello che capita quando non sappiamo leggere la realtà con occhi credenti, quando non riusciamo a cogliere nei nostri insuccessi una grazia di purificazione, quando non siamo liberi di vivere la prova come l’ora di Dio. E allora la paura crea angoscia, proprio come l’angoscia vocazionale dei giorni nostri, la quale, a sua volta, crea ancora solo angoscia, non vocazioni. Purtroppo.

Ma come e dove recuperare la presenza di Dio e del suo regno attorno a noi in questi tempi così difficili?   

Il sussurro di una brezza leggera 

          A Elia sconfortato il Signore risponde, dandogli del cibo che gli darà forza per camminare fino al monte di Dio, il monte dove Dio si rivela. E dove precisamente? Non nei sensazionali fenomeni atmosferici: fuoco, vento, terremoto, diluvio… che la cultura dell’epoca associava al divino, ma in una cosa così piccola e insignificante come “il sussurro di brezza leggera”, un sussurro di silenzio, o voce che si può udire solo nel cuore, voce di chi parla senza voce. Come dire, Dio per guarire la voglia di protagonismo del suo profeta un po’ narcisista, si propone lui stesso (non si impone) in vesti dimesse e nell’umiltà del segno debole. E non solo per affermare la sua umiltà e il suo stile così distante da quello esibizionista del profeta, ma per sottrarsi proprio al tentativo di Elia di usare Dio per la sua propria autoaffermazione.

          Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con cuore sincero, nei luoghi ordinari della vita, attratto dal suo silenzio e disarmato dalla sua umiltà, o dove l’uomo mai avrebbe pensato di poterlo trovare, nascosto nella fragilità o nell’insuccesso umano, o dove l’uomo sembra addirittura negarlo o allontanarsi da lui. Chi lo cerca così, lo ha già trovato e lo annuncia. E certamente non perde il tempo a lamentarsi dei tempi tristi o della fine della fede e dei credenti.

Ma quale mondo post-cristiano!? Semmai il nostro è un mondo pre-cristiano.

Eliseo profeta al posto di Elia 

          Elia, dobbiamo dire, si riscatta verso la fine della vita. O dimostra di avere appreso la lezione, lasciandosi purificare da quel protagonismo che porta solo alla depressione mortale. E accetta che un altro prenda il suo posto, lui stesso ungendolo profeta.

          È una grande lezione di libertà: la libertà di fare il proprio servizio nella Chiesa di Dio senza diventare indispensabili, senza sentirsi i migliori e gli unici, anzi cercando di far crescere altri che possano prendere il nostro posto e persino godendo se svolgono meglio di noi il servizio. È la libertà davvero cristiana di sostituire ed essere sostituiti, di aiutare ed essere aiutati, di lavorare in prima linea e pure fuori dal fascio di luce dei riflettori.

Nella certezza serena che è Dio a portare avanti la storia.

Amedeo Cencini

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