L'origine del peccato perciò è, e resta, dentro alla dinamica dell'amore, non fuori da essa. Se il peccato sfuggisse davvero alla logica dell'amore, chi pecca dovrebbe immediatamente scomparire nel nulla, essere annientato...
del 05 luglio 2018
L'origine del peccato perciò è, e resta, dentro alla dinamica dell'amore, non fuori da essa. Se il peccato sfuggisse davvero alla logica dell'amore, chi pecca dovrebbe immediatamente scomparire nel nulla, essere annientato...
Dio ci ama a prescindere, a qualsiasi costo e a qualsiasi condizione, senza limiti. Dalla parte di Dio perciò, la relazione con noi si sostanzia solo ed esclusivamente di amore. Tutto ciò che Dio fa, lo fa per la felicità dell'uomo, non cerca nulla per sé stesso, non ha bisogno di nulla per sé stesso. È felice della felicità dell'uomo. E questo non è, per Dio, una costrizione interna: Dio non è obbligato ad amare l'uomo. Poteva anche scegliere di non amare l'uomo, in tal caso non lo avrebbe nemmeno creato. Ma Dio sceglie liberamente di amare l'uomo, da sempre e per sempre.
Creato ad immagine e somiglianza di Dio, l'uomo è anche lui libero e capace di amare. Perciò può rispondere a questo amore, con la stessa libertà con cui Dio sceglie di amarlo. La realtà, la storia dell'umanità e la bibbia si incaricano di ricordarci che l'uomo ha scelto anche di non rispondere all'amore di Dio, di non ri-offrire a Dio un amore riconoscente. Questo è il nocciolo più profondo e vero del peccato: rifiutare l'amore che Dio ha per noi. Nulla di più e nulla di meno. Quale è l'origine, allora, la dinamica e il senso dell'esistenza del peccato? Ricominciamo da Genesi 3.
Su cosa fa leva il serpente per sedurre la coppia primordiale e indurla al peccato? Non cerca tanto di prospettare il raggiungimento di un bene diverso o migliore rispetto a Dio, ma piuttosto appoggia la sua azione tentatrice proprio sulla possibilità di raggiungere quel bene che è Dio: diventerete "come Dio" (Gen 3,5). E il desiderio di diventare come Dio è insito nella natura umana fin dal principio, voluto da Dio stesso: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1,26), affinché divenga "partecipe della natura divina" (2 Pt 1,4). La coppia, perciò, non percepisce la tentazione del serpente come qualcosa che la fa uscire fuori dalla sua naturale inclinazione alla relazione totale con Dio. Proprio in questo viene ingannata. Il peccato, in questo senso non è, in radice, scambiare Dio per qualcos'altro, di per sé incoerente con le finalità ultime dell'essere umano. Questo, semmai, è uno degli effetti successivi del peccato.
Il peccato invece ha la sua origine nella modalità attraverso cui Dio viene ricercato. Nel piano originario, Dio vuole donarsi a noi totalmente, per far sì che Egli sia tutto in tutti. Nella azione del peccato di origine, invece, la coppia tenta di prendere Dio per sé, per averlo compiutamente per sé, a partire dalle proprie sole forze, senza aspettare che sia Lui a donarsi. La peccaminosità dell'atto sta nella modalità con cui la coppia si rapporta col proprio desiderio legittimo di essere come Dio. Non si configura, perciò, come un peccato di contenuto, ma di procedura. In termini di contenuto, nello stato di natura originaria, essendo fatto a "sua immagine", l'uomo cerca sempre Dio, in ogni atto che compie.
Ma, quando pecca, lo cerca in un modo non rispettoso della natura di questo rapporto con Lui. Dio è per essenza infinitamente superiore all'uomo e qualsiasi tentativo di afferralo, per essere come lui è destinato al fallimento. Attraverso la modalità del "prendere per sé", del voler "afferrare", l'obiettivo finale che la stessa natura umana desidera, cioè essere come Dio, non può realizzarsi. Ecco perché nel Nuovo Testamento il peccato è indicato con una parola greca (amartiòn) che significa sbagliare bersaglio, non raggiungere l'obiettivo voluto.
Il peccato perciò non si configura come un atto di non amore. Non esistono atti di non amore. L'uomo si muove sempre cercando qualcosa che lui percepisce come un bene. Il non amore non lo si può volere. Il peccato è un atto d'amore perverso, in cui si continua a ricercare un bene, ma con una modalità che rende quell'atto impotente.
In che senso allora l'amore perverso è un rifiuto dell'amore di Dio? In tre precisi caratteri.
Il primo è che nel peccato si bruciano le tappe, perché non si attende che Dio faccia maturare l'uomo fino alla "piena statura di Cristo", per poter vivere un rapporto di amore con Lui nella sua pienezza: non ci si fida che i tempi di Dio siano per la nostra felicità.
Il secondo è che si cerca un amore prodotto da sé stessi, in cui il regalo che Dio vuole fare di sé stesso e della felicità, sparisce dall'orizzonte: non ci si fida che sia davvero Lui a volerci felici, ben oltre quanto noi possiamo volerci felici.
In terzo luogo si scambia la parte per il tutto, immaginando che Dio possa essere perfettamente vissuto dentro ad un solo "ente", una parte sola della creazione, che perciò diventa "idolo", autolimitandoci così ad una felicità frammentata e finita: non ci si fida che Lui ci voglia regalare una felicità infinita e assoluta.
L'origine del peccato perciò è, e resta, dentro alla dinamica dell'amore, non fuori da essa: si rinchiude al dono di amore di Dio, ma non riesce a sfuggire a quello stesso amore, che lo mantiene in vita comunque. Se il peccato sfuggisse davvero alla logica dell'amore, chi pecca dovrebbe immediatamente scomparire nel nulla, essere annientato. Dato che noi esitiamo solo perché Dio ci ama, l'esistenza del peccatore è la dimostrazione più chiara che il peccato, per quanto ci provi, non sfugge mai alla mani di Dio
Gilberto Borghi
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