Dopo «Non ci capisco niente» ed «È una cosa per grandi» il colpo basso di un tipetto di nove anni: «Voi mi portate a Messa. E se Dio non esiste?». Non abbiamo ricette. Abbiamo solo un "sogno" che da soli non riusciamo a realizzare.
Quando eravamo freschi genitori coltivavamo una certezza: i nostri figli, vedendo che noi partecipiamo alla Messa con entusiasmo, ci seguiranno senza far problemi. La fede si succhia con il latte materno, pensavamo. Avevamo in mente foto e immagini che ritraggono famiglie belle serene a Messa e ci vedevamo proiettati in esse. Ma ben presto abbiamo dovuto iniziare a fare i conti con una realtà molto diversa, meno poetica e ben più prosaica.
Fino ai quattro-cinque anni i bambini a Messa ci sono venuti senza porre grosse obiezioni. Tentativi di resistenza talora ci sono stati, ma non è stato difficile vincerli. Ma già in questa fase la concretezza della nostra esperienza ha iniziato a discostarsi dalle immagini ideali che sognavamo: piccoli e grandi litigi da gestire, il più piccolo che vuole stare in braccio, distrazioni, uscite a voce alta sempre nei momenti di silenzio, le invenzioni e gli stratagemmi per superare lo scoglio dell'omelia... Più di una volta siamo usciti dalla chiesa "provati"...
Il bello, però, è venuto con l'inizio della scuola elementare. Perché lì il nostro "sogno" si è incrinato del tutto dinnanzi ad "argomentazioni" difficili da controbattere con il ragionamento: "la Messa è tempo perso"; "non ci capisco niente"; "è una cosa per grandi"; "della mia classe ci sono solo io"; "solo voi ci obbligate, gli altri genitori sono più buoni e lasciano che siano i figli a scegliere", "perché devo ascoltare la predica in cui viene ridetto il vangelo?"; fino all'attacco più doloroso sferrato da un tipetto di nove anni: "voi mi portate a Messa, e se Dio non esiste?".
Evidentemente i piani del confronto sono molto distanti: da un lato noi genitori puntiamo sull'importanza di un tempo dedicato a chi ci ha creato e ogni giorno ci accompagna con il suo sguardo d'amore (troppo difficile, per maschi delle elementari, avventurarsi su "progetto di Dio", "ascolto della Parola", sul rendere grazie...); dall'altro i figli che valutano in base al criterio del mi piace/non mi piace e dell'utile/inutile. Nonostante tutto non abbiamo mollato e non molliamo. Ogni settimana riprendiamo il filo del discorso sperando che qualche nuova breccia si apra. I figli a Messa continuano a venire; il più grande, che fa le medie, è chierichetto, e questo lo stimola a partecipare più degli altri due che sono alle elementari. Ma quando non avremo più la forza di imporre l'"obbligo" cosa succederà?
Sappiamo bene che la questione è complessa. Non dipende solo dai genitori, come la nostra esperienza (che sappiamo comune a tanti amici) insegna, e non dipende solo dalle liturgie più o meno animate. Dipende da entrambe. E dipende forse anche dal fatto che nelle celebrazioni la comunità non si rivela come "famiglia di famiglie". Soprattutto per i ragazzi. Noi adulti, infatti, a Messa incontriamo sempre persone con cui coltiviamo relazioni e quindi in chiesa ci sentiamo conosciuti, da Dio certo, ma anche da qualcuno con cui ci scambiamo parole non formali. Ma i bambini? Tolti i cinque-dieci chierichetti, quelli presenti assiduamente con i genitori e i nonni si contano sulle dita di una mano. I banchi loro riservati sono deserti. Quindi quelli che a Messa ci vanno non possono gustare la bellezza dello "stare insieme". Forse c'è un "prima" e un "dopo" Messa su cui si potrebbe ragionare per far tornare ai bambini la "voglia di Messa".
Non abbiamo ricette. Abbiamo solo un "sogno" che da soli non riusciamo a realizzare.
Federico e Mariapia Citron
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