Quattro madri si raccontano. Oggi tocca a Stefania, ha un figlio di nome Giacomo, una sedia a rotelle, un lavoro al call center, l'impegno sportivo e nessun desiderio di apparire come un'eroina.
Se non ci fosse stato quel tumore spinale, l’operazione al Policlinico “Umberto I” di Roma, la lunga riabilitazione all’Istituto “Santa Lucia” e la sedia a ruote, la vita di Stefania sarebbe completamente diversa da quella che è oggi. Sarebbe un’altra vita, addirittura. La sua storia e quella di altre tre donne quotidianamente alle prese con la disabilità sono raccontate nel prossimo numero di Superabile Magazine, la rivista dell’Inail dedicata alla disabilità.
Senza quelle vicende, dunque, Stefania non vivrebbe nello spazioso appartamento di Fonte Laurentina, subito oltre il raccordo anulare romano, non ci sarebbe suo marito Giampiero e soprattutto suo figlio Giacomo, i cui impegni scandiscono le giornate di Stefania, come quelli di tante madri alle prese con le numerose attività dei propri figli: la scuola, lo sport, il catechismo. Come se ci fossero due vite, insomma.
Quella di prima, in cui Stefania ragazza lascia Orbetello per andare a studiare Lettere e filosofia con indirizzo demo-etno-antropologico nella Capitale, abita a casa degli zii e dopo la laurea torna dai suoi per lavorare presso un tour operator. Quella di dopo l’operazione, che vede una Stefania ormai donna accettare la sua nuova condizione con una forza e un’energia che mai avrebbe pensato di avere. Che si fidanza, si sposa, si trova un nuovo lavoro e poi si lancia nella più straordinaria e normale delle avventure per una donna: mettere al mondo un figlio.
Capelli scuri e ricci, sorriso aperto, non è certo una abituata a presentarsi come un’eroina. La sua qualità più evidente è l’abitudine a minimizzare. “All’età di 26 anni ho cominciato a sentire un formicolio alle gambe e, un mese dopo, riuscivo a malapena a camminare – racconta –. Dagli accertamenti è venuto fuori che si trattava di un tumore alla colonna vertebrale. Per fortuna è risultato benigno”. Dopo l’operazione il periodo più nero, sette mesi all’interno del “Santa Lucia”, il principale polo romano per la riabilitazione neuromotoria. “È stato un periodo molto intenso, brutto e al tempo stesso bello – spiega –. Vivevo lì giorno e notte, facendo faticosamente i conti con la mia nuova condizione. Ma proprio in quei mesi ho conosciuto l’uomo che poi è diventato mio marito: lavorava come poliziotto, ed era ricoverato anche lui in seguito a un terribile incidente stradale durante l’attività di servizio”. Poi Giampiero si è rimesso in piedi, entrambi sono stati dimessi e quattro anni dopo si sono sposati. “I miei futuri suoceri mi hanno accettato bene fin dall’inizio, se hanno avuto qualche perplessità se la sono tenuta per sé”.
Nel frattempo tanti viaggi, l’acquisto della casa dove vivono attualmente e l’impegno di Stefania all’interno della squadra di nuoto agonistico del “Santa Lucia”. “Per me che non sono mai stata una sportiva è stata una bella sfida – ricorda –. Mi è servito non solo come riabilitazione a livello motorio, ma soprattutto per ricostruire l’autostima e la fiducia in me stessa. Ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a capire come fosse possibile continuare a condurre una vita autonoma”. Dopo il matrimonio Stefania ha trovato il suo attuale lavoro: operatrice presso il call center di SuperAbile, dove risponde alle telefonate degli utenti che hanno bisogno di informazioni, suggerimenti e qualche volta anche solo di essere ascoltati. Nel 2003 è nato Giacomo. “È stata una gravidanza bellissima – racconta –. Nessun problema a rimanere incinta, nessuna nausea, tutto liscio come l’olio. Ho effettuato un parto cesareo programmato e il bambino ha preso subito il mio latte. È sempre cresciuto bene, l’ho allattato fino all’età di un anno”.
Ad aiutare Stefania sono subito arrivati i suoi genitori, che dopo un po’ si sono trasferiti da Orbetello a Roma. “Non mi ricordo grandi difficoltà, siccome non potevo spingere il passeggino lo tenevo sempre con me nel marsupio. Non appena ha cominciato a camminare, non potendogli tenere le manine, creavo un percorso di sedie che lo aiutasse a bordeggiare. E quando si sentiva stanco si accucciava sui miei piedi”.
Se oggi potesse cambiare qualcosa del suo passato, Stefania farebbe sicuramente un secondo figlio. Quando è arrivato Giacomo aveva 33 anni, e all’epoca le apparivano tanti. “Già mi sembrava difficile con un bimbo piccolo, figuriamoci con due. Inoltre durante l’allattamento ero ingrassata tanto, e io non me lo posso permettere: muoversi in sedia a ruote diventa davvero faticoso se prendi peso. Ora penso che, se avessi voluto, avrei potuto farlo. Ma alla fine le cose sono andate così”.
L’arrivo del bambino ha portato anche un nuovo modo di vivere la vita. Stefania ha conosciuto altre mamme, alcune delle quali oggi per lei sono diventate come sorelle. “Sono completamente autonoma, ma ci aiutiamo a vicenda ogni volta che possiamo. Se non posso andare a prendere mio figlio a scuola o accompagnarlo a fare sport, c’è sempre qualcuna che si offre di aiutarmi. Non ho la più pallida idea di cosa voglia dire essere sola”.
Intanto Giacomo cresce sereno e “pacioccone”, com’è sempre stato fin da piccolo. Oggi ha dieci anni e sta per fare la prima comunione. Mostra serio il quaderno di scuola per dimostrare che studia già I Promessi sposi ed ecco che spicca un bel dieci alla fine di un compito. Se glielo fai notare, abbassa lo sguardo di imbarazzo e di piacere. “Non mi ha mai fatto particolari domande sulla mia sedia a ruote o forse io non me le ricordo più – precisa sua madre –. È sempre stato tutto molto normale. Appena ha avuto l’età per farlo ha cominciato a correre avanti per strada con l’intento di segnalare un gradino o una qualsiasi barriera architettonica”. A volte spinge correndo la carrozzina di sua madre. Qualche tempo fa Stefania gli ha domandato: “Meglio una mamma in piedi o in sedia a ruote?” La risposta di Giacomo non si è fatta attendere: “Meglio una mamma come te!”.
Redattore Sociale
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