L'amore è anche vittoria sulla solitudine radicale del nostro io e trasformazione di quel vuoto, ma non può ridursi solo a questo. Il punto non è essere guardati a tutti i costi (quel vuoto se c'è va riempito a partire dalla propria vita e non può essere affidato del tutto a qualcun altro) ma essere guardati “bene”, cioè essere guardati per “il bene” nostro. Questo si chiama Amore.
Mi hanno segnalato questo bellissimo video realizzato per una campagna pubblicitaria. La furba trovata che ha guadagnato già 35 milioni di visualizzazioni al video originale (quella che vi segnalo è la versione con i sottotitoli in italiano) fa leva su quella fragilità che ci porta spesso a vederci peggio di come siamo in realtà (e porterà a comprare il sapone della marca in questione), allo stesso tempo però viene raccontato qualcosa di molto interessante: possiamo cogliere la nostra vera grandezza se qualcuno ci guarda con occhi benevoli, accoglienti o persino innamorati.
Lo sguardo funziona come la luce del sole per le piante. Senza luce le piante, ho imparato da bambino, non possono operare la fotosintesi e quindi crescere e svilupparsi. La pianta si tende in ogni modo verso la luce e, proprio questa sua tensione, la costringe a mettere radici più profonde per non piegarsi o spezzarsi (semplici leggi fisiche). Lo sguardo fa lo stesso con noi. Cerchiamo lo sguardo che possa consentirci di fare la nostra fotosintesi: mettere radici più profonde dentro noi stessi, perché quello sguardo amante ci porta diritti dritti al centro del nostro essere, perché lo ama. E solo l’amore (e il dolore purtroppo) conduce a quel centro da cui sgorgano le nostre migliori risorse.
Chiaramente questa tensione verso lo sguardo può avere effetti negativi se quello sguardo non è liberante, ma imprigionante. A volte pur di avere quello sguardo siamo disposti a perdere noi stessi. Qui sta la differenza tra uno sguardo che libera e uno che imprigiona: dipende dalla qualità di chi ci guarda. Alcuni sguardi ci controllano invece di liberarci. Il vero sguardo amante ci solleva su noi stessi e sul nostro centro affermandolo nella sua “nucleare” bellezza (perché nasce dal nucleo centrale e perché è dotata di potenza “atomica”) e facendolo sviluppare. In qualche modo chi ci ama davvero diventa profeta di noi stessi: affermando il nostro meglio (che è comprensivo dei limiti) ci spinge a raggiungere la nostra altezza e quindi in qualche maniera ci fa diventare – nel tempo – “il meglio” di noi stessi. Il falso sguardo amante riempie invece un nostro vuoto d’amore che non vogliamo sopportare, pur di aver qualcuno che ci guardi, salvo poi crescere storti, come quegli alberi che pur di cercare il sole si contorcono e piegano fino a spezzarsi.
Vedo ragazze che si disperano perché a 16-17 anni non hanno ancora un ragazzo: nessuno mi guarda, forse sono sbagliata… Questo le porta a immalinconirsi, disperarsi, deprimersi e magari lanciarsi alla ricerca di uno sguardo che non le ama e libera ma che le imprigiona, pur di averlo. Questo rende ancora più fragili, anche se apparentemente disseta il vuoto e ci fa fare un po’ di fotosintesi. L’amore è anche vittoria sulla solitudine radicale del nostro io e trasformazione di quel vuoto, ma non può ridursi solo a questo. Il punto non è essere guardati a tutti i costi (quel vuoto se c’è va riempito a partire dalla propria vita e non può essere affidato del tutto a qualcun altro) ma essere guardati “bene”, cioè essere guardati per “il bene” nostro. Questo si chiama Amore.
Le favole lo dicono in modo molto efficace trasformando rospi in uomini re(g)ali, con un bacio. Solo l’amore che guarda liberando può farci scoprire la nostra re(g)ale bellezza.
Come mi ha insegnato E.Dickinson:
We never know how high we are Till we are asked to rise And then if we are true to plan Our statures touch the skies - The Heroism we recite Would be a normal thing Did not ourselves the Cubits warp For fear to be a King
Non conosciamo mai la nostra altezza Finché non siamo chiamati ad alzarci. E se siamo fedeli al nostro compito Arriva al cielo la nostra statura. L’eroismo che allora recitiamo Sarebbe quotidiano, se noi stessi Non c’incurvassimo di centimetri e centimetri per paura di essere re.
Alessandro D'Avenia
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