Il rapporto presentato a Orlando e Tridico evidenzia criticità su formazione e inclusione. Il ministro concorda e conferma la misura: «Saremmo tra i pochi Paesi senza sussidi anti-povertà»
Se la barca Italia ha retto finora, parte del merito va al Reddito di cittadinanza. Che pure ha diversi limiti e ora va riformato perché i nuovi poveri della pandemia non ne hanno beneficiato e poco più della metà dei poveri assoluti non lo riceve. Inoltre ci sono criticità nei percorsi di inclusione lavorativa e vengono penalizzate le famiglie numerose. Lo sostiene un rapporto della Caritas italiana che "Avvenire" ha potuto anticipare e che è stato presentato ieri a Roma dagli autori con il ministro del Lavoro Andrea Orlando e il presidente dell’Inps Pasquale Tridico.
Per la Caritas il Reddito va mantenuto e riordinato perché nel 2020 i percettori sono quasi raddoppiati e il 57% dei nuclei che lo ricevono, soprattutto famiglie composte da una o due persone, ha superato la soglia di povertà. Chi resta escluso? I nuovi poveri, dice lo studio, ovvero nuclei giovani soprattutto del nord con figli minori e un reddito seppur minimo. Tra gli esclusi spiccano le famiglie straniere (quattro su 10) perché il requisito di 10 anni di residenza è troppo stringente. Ci sono invece inclusi che risultano meno poveri, i cosiddetti "falsi positivi". Quota che per la Banca d’Italia è stimabile nel 51% delle famiglie che lo ricevono.
I beneficiari sono comunque "persone molto deboli dal punto di vista lavorativo e in grandi difficoltà economiche, psicologiche e sociali", rimarca la Caritas, sottolineando la bassa scolarità come causa di esclusione. Il 72% dei percettori del Reddito ha al massimo la licenza media mentre solo il 3% ha ottenuto la laurea. "Spesso non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge o sono giovani che non studiano né lavorano o in evidente ritardo con gli studi. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum e, in alcuni casi, non parlano l’italiano".
Il direttore di Caritas Italiana monsignor Francesco Soddu ha spiegato che lo studio ha voluto osservare la realtà di una misura necessaria per il Paese dalla parte dei beneficiari. «Troppo spesso ci dimentichiamo dei poveri in carne ed ossa, trascuriamo di stare dalla loro parte e troppo spesso ci si ricorda di loro solo in maniera strumentale». Attenti, però, ai luoghi comuni ad esempio sui "divanisti" che rifiuterebbero di lavorare per continuare a percepire il sussidio.
«Il lavoro è dignità e lo si invoca sempre – ha ammonito don Soddu –, ma ci sono tantissime persone che non possono lavorare. La realtà è sfaccettata e richiede un’attenta analisi delle situazioni».
D’accordo con l’utilità dello strumento il ministro Orlando. «Se decidessimo di togliere il reddito di cittadinanza – ha ricordato – torneremmo tra i paesi che non dispongono di misure di contrasto alla povertà. Il rapporto ci dice che il target non è stato pienamente centrato, ne siamo consapevoli. Attenzione però, i "non poveri" che lo percepiscono non sono ricchi». Orlando si è detto d’accordo anche sull’emergenza formazione. «La mappa dei beneficiari – ha ribadito – si sovrappone a quella dell’evasione scolastica. Siamo nel 2021, possiamo affannarci a parlare di transizione digitale, ma se una parte della società non sa leggere e far di conto è un problema di cui la collettività si deve far carico». Concorde anche con le valutazioni della Caritas su chi, tra i percettori del reddito, è inoccupato. «Vi è una notevole quota di beneficiari molto distanti dal mercato del lavoro. Ci sono presupposti di disagio, di contesto, condizioni psicologiche che fanno sì che il non cercare lavoro non sia una scelta ma spesso un impedimento». Tra i punti deboli, i centri per l’impiego, i cui ritardi nel potenziamento sono per Orlando «significativi e per molti aspetti inaccettabili».
Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha invece sottolineato la difficoltà comune a tutti i paesi di scelta di scegliere i criteri per erogare i sussidi di povertà. «L’Istat misura l’indigenza con i consumi, l’Inps non può farlo». Si è detto perplesso invece sulla proposta di erogare sussidi differenziati in base alle aree geografiche di residenza per far fronte a differenze del costo della vita. «Un sussidio non è un salario che varia in base alla produttività. E spesso il costo della vota varia nelle stesse città. Più che modulare il sussidio occorre invece erogare servizi diversi».
di Paolo Lambruschi
tratto da avvenire.it
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