Il mio compito è quello di richiamare lo spirito, la passione, l'intelligenza che ha mosso D. Bosco, rilevando alcune dinamiche profonde che possono innescare una riflessione sulle scelte e sull'impegno di chi opera oggi in un oratorio salesiano. Preferisco evitare una descrizione o un elenco dei tratti essenziali, dei criteri e delle scelte strategiche attuate da D. Bosco. Su questi aspetti abbiamo avuto il sostanzioso convegno nazionale dello scorso anno.
del 10 novembre 2002
Se, nella contemplazione di D. Bosco, vogliamo poi passare ai tratti essenziali dell'Oratorio, alle dinamiche che generano i criteri e portano alle scelte di fondo, vediamo che siamo proiettati ancora primariamente sulla persona del pastore-educatore.
Gli osservatori che per primi informarono l'opinione pubblica sull'Oratorio di S. Francesco di Sales non fecero altro che mettere in risalto gli atteggiamenti e le caratteristiche di D. Bosco, rilevando come fossero la sorgente di ogni iniziativa, attività e scelte pratiche, ma anche di un metodo caratteristico.
A cominciare dal prof. Casimiro Danna, pedagogista torinese, che nel Giornale della Società d'istruzione e d'educazione (1849), presenta la scuola domenicale di D. Bosco, 'sacerdote che non posso nominare senza sentirmi compreso della più schietta e profonda venerazione. Fuori di Porta Susa ... egli stabilì un oratorio intitolato di S. Francesco di Sales. Non a caso e non invano. Perché più che il titolo, lo spirito di quell'apostolo ardente del diritto zelo che smisuratamente in cuore avvampa, trasfonde nel suo istituto quest'ottimo prete, il quale ha consacrato se stesso ad alleggerire i dolori del popolo misero, nobilitandolo ne' pensieri'.
Ciò che appare come sorgente dell'istituzione è lo zelo ardente del suo fondatore. 'L'egregio sacerdote D. Bosco, che animato dalla più perfetta carità dedicò tutto se stesso all'istruzione ed educazione dei poverelli', si scrive il 4 maggio 1849 su L'Armonia. L'economo generale Ottavio Moreno, funzionario del ministero di Grazia e di Giustizia, presenta i tre fondatori degli oratori torinesi (Cocchi, Bosco e Saccarelli) come 'zelantissimi sacerdoti, che con istraordinaria carità si occupano del ricovero, dell'istruzione, e dell'educazione di povere fanciulle, e di poveri ragazzi', poi si dilunga nel presentare l'opera del nostro fondatore: 'Il sacerdote Gioanni Bosco si slanciò in più vasto campo, e si pose alla testa di tre riunioni di giovanetti, collocandole sotto il vessillo della religione, chiamandole, come già S. Filippo Neri, Oratori ... Sempre vi presiede il buon sacerdote Bosco assistito da alcuni suoi amici e confidenti sacerdoti, che con tutto l'impegno ne secondano lo zelo e la carità'; e conclude con una definizione singolarmente efficace di D. Bosco: 'attivo e nella sua carità impaziente'.
La carità cristiana è il motore di tutto, la sorgente dello zelo e dell'intraprendenza, la suggeritrice delle iniziative, ma anche la matrice di ogni virtù e l'ispiratrice del metodo oratoriano. Lo nota con efficacia il Gastaldi nel Conciliatore torinese già citato:
Questo egregio sacerdote ... era altamente accuorato al vedere ne' dì sacri al Signore, centinaia e centinaia di fanciulli, abbandonati a se stessi ... La vista di tanti garzoncelli, che ... crescevano nella più crassa ignoranza ... esposti a tutte le corruttele che nascono dall'ozio e da pessime compagnie ... il punse così vivamente nel cuore, che deliberò di porvi quel rimedio ch'ei sapesse migliore ... Consigliatosi col suo zelo, armatosi d'una pazienza a tutte prove, vestitosi di tutta la dolcezza e umiltà, che ben conosceva richiedersi all'alta sua impresa, diedesi a girare ne' dì festivi pei dintorni di Torino, e quanti vedesse crocchi di giovani intenti a' trastulli, avvicinarli... È facile il pensare con quanti scherni sarà stato assai delle volte ricevuto il suo invito, e quante ripulse avrà dovuto soffrire: ma la sua costanza e la sua dolcezza a poco a poco trionfarono in un modo prodigioso: ed i fanciulli più riottosi, i giovanetti più scapestrati, vinti da tanta umiltà e da tanta mitezza di modi, si lasciarono condurre all'umile recinto, che vi ho descritto.
L'amore che scaturisce dalla carità si trasforma in amorevolezza e in esigenti virtù educative che connotano un metodo, rilevato con acume dal pedagogista Casimiro Danna:
Egli raccoglie ne' giorni festivi, là in quel solitario recinto da 400 a 500 giovanetti sopra gli otto anni, per allontanarli da pericoli e divagamenti, e istruirli nelle massime della morale cristiana. E ciò trattenendoli in piacevoli ed oneste ricreazioni, dopo che hanno assistito ai riti ed agli esercizi di religiosa pietà, lui pontefice e ministro, maestro e predicatore, padre e fratello, colla più edificante santimonia compiti ... L'esca con cui attrae quella numerosissima schiera oltre i premi di qualche pia immagine, oltre le lotterie, e talvolta qualche colazioncella, si è l'aspetto sempre sereno, e sempre vigile nel propagare in quelle anime giovanette la luce della verità e del vicendevole amore [quasi a dire che il metodo è la persona stessa di D. Bosco].
Quasi a dire che il metodo è la persona stessa di D. Bosco, così impastata di carità amorevole e sollecita, capace di aprire efficaci canali comunicativi e suscitare affetto e disponibilità che stupiscono Ottavio Moreno:
Arriva la domenica, od il giorno festivo: allora que’ giovani, che egli collocò in una qualche bottega od officina tutti accorrono con brio ed impazienza all'Oratorio di S. Francesco di Sales, e là si stringono attorno all'amorevole D. Bosco, verso cui si mostrano pieno l'animo di riconoscenza, e di affetto. Là dopo la religiosa istruzione, ed il cantico delle divine laudi, si passa al divertimento della ginnastica, delle boccie, della giostra ... ed a ben altri trastulli, che trattengono l'ilarità, la buona armonia, ed il buon costume; perché mai non si ode parola villana o sconcia; mai un alterco; mai un insolente e sfacciato schiamazzo: tutto è regolato dalla presenza, dal rispetto, e dall'amore che ispira il benefico sacerdote, che nella sua propria ristrettezza, non esita a dare un pane a chi mostra d'averne bisogno, od anche un bicchiere di vino adacquato a chi tra l'agitazione dello trastullo prova la sete.
Non bisogna però perdere di vista l'obiettivo di questa azione e di questo metodo, che D. Bosco denuncia fin dai primi momenti, anche in documenti alle autorità civili, come l'importante lettera al Vicario di Città Michele Cavour del 13 marzo 1846: il suo Catechismo 'ha di mira il bene della gioventù', lo scopo è quello 'di raccogliere nei giorni festivi quei giovani, che abbandonati a se stessi non intervengono ad alcuna Chiesa per l’istruzione, il che si fa prendendoli alle buone con parole, promesse, regali, e simili. L’insegnamento si riduce precisamente a questo: 1° Amore al lavoro. 2° Frequenza dei Santi Sacramenti. 3° Rispetto ad ogni superiorità. 4° Fuga dei cattivi compagni. Questi principii che noi ci studiamo d’insinuare destramente nel cuore dei giovanetti hanno prodotto effetti meravigliosi'; 'la preghiamo a voler proteggere queste nostre fatiche, le quali, come ben vede, non tendono ad alcun'ombra di lucro, ma solo a guadagnar anime al Signore'.
Un obiettivo che si specifica in una proposta formativa che stupisce i suoi stessi collaboratori e confratelli, considerando i frutti che sa produrre in ragazzi tanto dissipati, rozzi e talvolta corrotti: 'Tutti quei ragazzi, i più dei quali sarebbero cresciuti nell'ignavia e nel vizio, s'incamminano alla virtù e al lavoro' (L'Armonia 2 aprile 1849). Il Gastaldi, scende a particolari interessanti per noi: 'Ella è una meraviglia il vedere l'affetto e la riconoscenza tenerissima che quei fanciulli nutrono in cuore verso il loro benefattore ... La sua parola ha una virtù prodigiosa sul cuore di quelle anime ancor tenere, per ammaestrarle, correggerle, piegarle al bene, educarle alla virtù, innamorarle anche della perfezione' (cf. Giovane provveduto: darsi a Dio per tempo, e tutto il discorso sulla santità che D. Bosco andrà sempre più insistentemente sviluppando a partire da quegli anni). Aggiunge poi una annotazione che apre spiragli per la riflessione sull'origine della vocazione oratoriana e salesiana dei discepoli di D. Bosco: 'I primi giovinetti che vi furon chiamati, assaporate le dolcezze della pietà, provato l'ineffabile piacere d'un'anima, che sentesi o cavata dall'abisso della corruzione, o sollevata alla più ferma speranza d'un eterno premio, divennero altrettanti piccoli apostoli presso i loro compagni e colleghi nel vizio, o nella dissipazione'.
Il discorso si portrebbe dilungare, toccando le dimensioni e le attività e che caratterizzano l'oratorio, il sistema preventivo nelle sue tre linee di forza, le note tipiche della comunità oratoriana e il modello di pastore-educatore. Tutto rimanda ad una sorgente che non dovrebbe mai essere data per scontata o superata, ad una dinamica spirituale e ad un orizzonte missionario, ad una coscienza di fede che richiedono costante attenzione e riscoperta, proprio in situazioni socio-culturali di pluralismo come le nostre.
Guardando a D. Bosco siamo tutti convinti che non si trattava di uno spiritualismo disincarnato, di un atteggiamento bigotto e intimista: ne vediamo la concretezza esigente e il dinamismo storico che ha generato.
Non so che cosa possa comportare questo ritorno alla sorgente interiore che va operato nelle nostre realtà oratoriane oggi e nelle nostre più o meno perfette o scalcagnate comunità educativo-pastorali. Ma certo, se non vogliamo stemperare e perdere la nostra identità e il nostro cuore pulsante, non possiamo più separare il momento analitico e progettuale da quello spirituale, dal profondo personale coinvolgimento nella sequela esigente del Cristo pastore.
3. Le virtù del pastore d'Oratorio, i fini, i mezzi e il metodo
don Aldo Giraudo
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