Rubrica di educazione a cura di Richard Kermode. Una riflessione sul riposo
Capita di andare a un funerale. Nella liturgia emerge il termine “riposo”. Si prega che il defunto possa riposare, ma da cosa? Qual è la fatica?
Per noi non c’è mai “pace”, siamo abitati da una frattura, una lacerazione profonda, che “ci” chiede una ricerca continua di accordo tra cose diverse, tra esigenze non conciliabili. Siamo presi dal bisogno e insieme dal desiderio; dall’esigenza di vivere in un mondo comune e insieme di “dire” una “nostra” parola; siamo chiamati a tenere insieme i nostri sogni e le circostanze della vita che ci vengono incontro: penso a un genitore che si trova di fronte ad un figlio disabile o al fatto che molti fanno un lavoro che vorrebbero diverso, ma non possono, ecc.
Le parole della fede non sono esagerate (“riposo”, “valle di lacrime”, ecc.), essere umani è faticoso, tenere insieme le cose, stare dentro una vita colma di paradossi chiede un’energia grande. La “tentazione” è quella di sfuggire a questa presa e pensare la vita come uno spazio “finalmente” controllabile, sicuro, prevedibile, dove esercitare un possesso.
L’educazione non sfugge a questo, si ricorre alla lente della “causalità”. Tutto diventa semplice. Faccio “x” e succede “y”: un dominio che allontani la “fatica” dell’umano. Simile è pensare l’educazione come una questione di “diritti”, stabiliti i quali le cose, magicamente, si sistemano. Basta solo un “serio” controllo.
Ma l’essere umani implica un livello diverso, quello dell’appello/risposta. La relazione, nella Bibbia, tra Dio e l’uomo non è lontana dal rapporto che un genitore vive con il proprio figlio o di un educatore con la persona affidata. Una logica di appello e risposta. Quante le risposte di fronte all’appello? Quanti sono gli uomini apparsi e che appariranno sulla faccia della terra?
Ecco la tentazione, mai sopita, di scambiare il nesso appello/risposta con causa/effetto, decisamente più tranquillizzante. “Stare” dentro la fatica di chi appella, senza stancarsi, e attende una risposta è meno tranquillizzante: una cosa da “Dio”!
So long!
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Foto di Sam Solomon su Unsplash
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