Sono gli orfani bianchi, rimasti soli perché i genitori sono andati all'estero a lavorare. Ognuno di loro ha un nome ma i loro genitori non sono lì a chiamarli o abbracciarli forte quando hanno bisogno, quando si interrogano sui problemi della vita, quando non capiscono perché alcune cose devono accadere proprio a loro.
del 02 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Sono gli orfani bianchi, il loro numero supera le centinaia di migliaia. Ognuno di loro ha un nome ma i loro genitori non sono lì a chiamarli o abbracciarli forte quando hanno bisogno, quando si interrogano sui problemi della vita, quando non capiscono perché alcune cose devono accadere proprio a loro.
           E loro, i bambini rimasti soli in Romania perché i genitori sono andati all’estero a lavorare, si addormentano con le lacrime agli occhi, sperando di sognare la mamma ed il papà. Spesso i coetanei li considerano fortunati perché possiedono cose più belle, vestiti, cellulari. Eppure non sono felici. Hanno molto, ma non i loro genitori.          Sarebbe già un bel regalo poterli incontrare almeno nei sogni. Diana, che è rimasta a casa con i nonni quando i genitori sono emigrati in Spagna, dice che, se sognerà la mamma, la terrà stretta per la mano e forse la mattina si sveglierà con lei vicino. Poterla portare dal sogno a casa la farebbe immensamente felice, rinuncerebbe anche al cellulare, ai giocattoli, pure alla cioccolata. Una carezza data dalla mamma non ha prezzo, dice. Anche Monica, una bambina di dieci anni, ha aspettato a lungo la sua mamma. Troppo a lungo. Le mancava così tanto che il suo piccolo universo è crollato. Senza padre sin dalla nascita e con la nonna che la picchiava, Monica si è chiusa in se stessa. Non ha più voluto né mangiare né parlare. Per mesi, dal suo letto di ospedale ad Arad (ovest della Romania), guardava con i suoi grandissimi occhi marroni sempre verso la porta, sperando che da lì sarebbe entrata la sua amata mamma. Ma la mamma, emigrata in Italia, è venuta a visitarla solo poche volte e sempre minacciandola che se non si fosse ripresa l’avrebbe abbandonata. Nonostante le minacce il viso della bambina si illuminava quando vedeva la mamma, e secondo i medici quelli erano gli unici momenti in cui la piccola stava un po’ meglio. Del resto, i suoi occhi tristi guardavano invano la porta da dove ogni tanto entravano persone che avevano sentito della sua grande sofferenza. Ma nulla è servito, né le carezze della gente, né le parole della psicologa o gli sforzi dei medici. A dieci anni Monica si è spenta a causa di un’anoressia nervosa dopo un’agonia durata mesi e nella pesante mancanza della mamma. Ed è tragicamente lunga la lista dei bambini che scelgono di togliersi la vita per il dolore di essere rimasti soli.          La Romania, il paese più povero dell’Unione Europea, è anche il paese con la più forte emigrazione. Milioni di romeni sono partiti in cerca di una vita migliore, soprattutto per assicurare un futuro ai figli. Sono andati all’estero ad accudire altri bambini e anziani, mentre i loro figli soffrono della 'sindrome Italia', termine con il quale psicologici e medici romeni indicano disfunzionalità e malattie dei bambini rimasti in patria senza genitori.          Per anni nella società romena si è sempre parlato dei benefici materiali dell’emigrazione, dei soldi che i romeni inviano in patria, del loro contributo all’economia. Il fenomeno della massiccia emigrazione è cominciato dopo la caduta del comunismo nell’89 e si è intensificato con la libera circolazione e l’adesione all’Unione Europea quattro anni fa. Alcuni sono riusciti a portare i bambini all’estero con loro. Moltissimi no. Soprattutto le badanti che devono vivere nella casa degli anziani che accudiscono. Non riescono a tornare spesso in patria a visitare e abbracciare i propri figli perché non possono lasciare soli gli anziani in Italia o Spagna e, anche per rientrare una volta all’anno, devono trovare una sostituta. C’è così un’intera generazione cresciuta all’ombra dell’emigrazione. Secondo l’Unicef, oltre 300 mila minori hanno uno o entrambi i genitori all’estero. I bambini vengono affidati senza alcuna delega o documento ufficiale ai nonni, ai parenti o addirittura ai vicini. E non tutti vivono in condizioni materiali adeguate, perché spesso i genitori non riescono ad inviare a casa somme di denaro sufficienti.          Si parla spesso del sacrificio dei genitori, costretti a stare lontano dai propri figli; raramente si affronta invece il tema delle privazioni affettive dei bambini che, per la disperazione, provano ad attirare l’attenzione dei genitori, rifiutando di mangiare, di parlare e alla fine di vivere. Questa è la faccia nascosta dell’emigrazione – spiegano i sociologi – vite spezzate, famiglie rovinate e in genere una società più povera in valori cui rapportarsi, dove i giovani respingono l’idea di vivere in Romania e sognano a loro volta di emigrare. Lo Stato osserva il fenomeno, impotente, senza fornire soluzioni per mitigare la situazione.          Nemmeno l’Unione Europea sembra avere molte iniziative in merito. Già nel 2009 l’europarlamentare romena Corina Cretu criticava, in una seduta plenaria del Parlamento Europeo, le autorità nazionali ed europee per l’inadeguata importanza data al fenomeno dei bambini lasciati soli in patria, considerandola una prova di mancanza di responsabilità rispetto al presente e una incoscienza rispetto alle conseguenze future del fenomeno. L’anno scorso la Commissione europea ha dato vita a uno studio sull’impatto sociale dell’emigrazione, in particolare nell’Europa Centrale e dell’Est, documento che potrebbe essere concluso nel 2012, secondo l’europarlamentare romena Rovana Plumb, impegnata a studiare il fenomeno.
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