Io mi sento trasportato verso le devozioni che mettono i santi a portata di mano. Gesù si lascia toccare il lembo della veste, accarezzare dai fanciulli, lavare i piedi dalla Maddalena, baciare da Giuda, schiaffeggiare dai servi di Caifa, sputacchiare, crocifiggere... Li voglio così i miei santi!
del 01 gennaio 2002
“In questi giorni, la mia chiesa è veramente la casa. Il colore dell’addio, che è nel cielo e nelle cose, mi aiuta a ritrovare il sapore ineffabile e quotidiano del mistero. Ogni titolo, anche quello di santo, pare togliere familiarità. Ai santi diamo una fama, una storia, una leggenda, un’aureola. C’è in noi l’istinto di mettere ogni cosa in prospettiva; se no, ci pare meno valida e meno bella. L’episodio più comune della loro vita finisce nello straordinario, anche perché viene raccontato e ripetuto devotamente da tanti, e ognuno vi lega un po’ del suo cuore, quando non v’aggiunge dell’angustia.
Io mi sento trasportato verso le devozioni che mettono i santi a portata di mano. Gesù si lascia toccare il lembo della veste, accarezzare dai fanciulli, lavare i piedi dalla Maddalena, baciare da Giuda, schiaffeggiare dai servi di Caifa, sputacchiare, crocifiggere... Li voglio così i miei santi! Il panegirico dà la misura delle distanze, agghiaccia il cuore, ci disobbliga da ogni impegno di sforzo.
Un bell’altare, con nimbi d’angeli, statue dorate e disumanate, tacita la dimenticanza, come un monumento funerario. Oggi, invece, i santi ci vengono incontro insieme, e fanno il Paradiso, qui nella mia povera chiesa, davanti ai miei occhi annebbiati di tristezze. Si ha un bel dire: è bello credere! Ma se il Paradiso non si mette un poco sulle nostre strade, se il di là non diviene un po’ di qua, come resistere? Ognissanti è la festa della santità senza nome. Quanti santi! Il santo, come il Figlio dell’uomo, non grida. Per questo, nessuno gli bada. Egli passa nell’ombra della nostra dispettosa noncuranza, che ha occhio e voce per tutti, fuorché per chi è veramente meritevole.
Nella nostra giornata, c’imbattiamo continuamente nel santo, così, senza accorgerci. Spesso l’abbiamo in casa. La domestica, che si dimentica di avere un cuore e un diritto per diventare il nostro straccio: lo spazzino, che non vedremo mai al lavoro, perché quando ci alziamo egli ha già ultimato il suo lavoro: l’operaio, che scansiamo per non sporcarci: l’inferiore, che trattiamo come un cane: il prete, grossolano e malvestito, che guardiamo con aria sprezzante e insultante. Il santo è Cristo che passa. Finché t’ho cercato sui libri, o volto beato e benedetto di mia santa madre Chiesa, non t’ho mai trovato amabile. Oggi, che ti spio attraverso la sconfinata bontà anonima, ogni altra memoria, per quanto oscura e indegna, mi appare come l’ombra d’una chiarezza eterna, eternamente amabile”.
Redazione GxG
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