Scola: «Ragazzi, non abbiate paura di vivere e di amare»

Ha citato anche i Queen, Ligabue e Jovanotti, l'Arcivescovo, nell'incontro con migliaia di studenti al Teatro Dal Verme organizzato dal Centro Asteria. Un dialogo che proseguirà attraverso i social network.

Scola: «Ragazzi, non abbiate paura di vivere e di amare»

 

Li accompagna nella riflessione in modo paterno, li scuote e, quando è il caso, li bacchetta. Vuole bene ai ragazzi, il cardinale Angelo Scola, tiene in modo particolare a questa età della vita. Li esorta: «Non abbiate paura di vivere - dice loro in modo accorato -. Nessun male, neanche il peggiore, è irrimediabile». Sono di oltre 2000 ragazzi di una ventina di scuole superiori del Milanese i volti che riempiono il Teatro Dal Verme. Sono venuti qui perché fanno parte di un progetto educativo promosso in vari istituti scolastici dal Centro Asteria: «Vi auguro di imparare ad amare, studiare e riposare secondo questo sguardo che spero di esservi riusciti a trasmettere stamattina», è l’altra consegna che fa loro l’Arcivescovo.

 

Scola parla ai giovani di amore, quello vero, quello che dura, di libertà, di verità. La Parola, i Padri della Chiesa, le vite dei Santi si intrecciano con la cultura di oggi attraverso la musica. L’Arcivescovo stupisce i giovani citando i Queen: «Alla mia età ho una certa esperienza e ho imparato che i sentimenti veri non hanno scadenza» (I want to break free). È preoccupato, il Cardinale, del fatto che i ragazzi, secondo una ricerca pubblicata di recente su un noto giornale italiano, non dicono più «ti amo»: «Non posso credere che sia così, voglio sperare che non sia vero». E poi aggiunge: «Se è vero è perché avete paura di dire qualcosa che è per sempre... Ma non dovete avere questa paura».

E motiva la sua riflessione sull'amore partendo da Dio, che ci ama per sempre: «Il Tuo volto io cerco, recita il Salmo. Noi abbiamo bisogno di essere amati definitivamente, oltre la morte, per potere amare. “Amare perché è questo che “conta”». Secondo stupore in sala: è la canzone di Ligabue, che al Cardinale piace molto perché nel verso successivo recita: «Conosci un altro modo per fregar la morte?». Così un brano di musica leggera diventa il pretesto per entrare nel cuore del mistero cristiano: «È vero, ragazzi, è proprio così: la morte non vince nemmeno nel venerdì santo. Questo giorno non termina con la morte, ma conclama, manifesta l'amore».

 

È la libertà più vera, quella autentica che fa andare ogni essere umano verso l'amore: «La libertà non sbaglia se scegli il bene - argomenta ancora l’Arcivescovo -. Se in ogni scelta c'è Dio che ti attira, la libertà ti abbraccia e ti consente di aderire». Bisogna sfatare l'idea che la libertà non esista: «È una dimensione che non si può mai strappare, connaturata, donata alla persona. Ciò che non funziona oggi è il modo in cui si crede di poter conseguire la libertà. Non si consegue la libertà facendo quel che si vuole».

E poi la terza citazione musicale, Jovanotti, che in Non c'é libertà dice «sbattuto di qua sbattuto di là, come una palla dentro al flipper dell'eternità mi sono svegliato e ho capito che che non c'è libertà». Non è così come canta lui, ovviamente. Perché il compimento, la felicità, deriva dall'unione degli elementi: «E invece l'uomo oggi è scheggiato - aveva spiegato all’inizio l’Arcivescovo -. Come il grattacielo di Londra, lo Sheard, che significa proprio scheggia, come se la mano di un bambino arrabbiato gli avesse inferto un colpo. Manca l'unione degli elementi. Ma proprio questa unione dà il compimento, la riuscita. La felicità. E la felicità ha bisogno di un uomo libero».

 

Nelle domande dei ragazzi sono affiorati temi di stretta attualità. Come la questione della libertà religiosa: «Credo che la libertà di culto vada data veramente a tutti - ha risposto Scola -, ma credo anche che, nella logica profonda e potente dell’amore che è Cristo stesso in persona, come uomini di fede dobbiamo essere profondamente magnanimi. E quindi concedere anche quando non si dà reciprocità, per esempio ai tanti fratelli musulmani, un luogo di cultura e di culto». A una condizione chiara, però: «Vorrei domandare, sapere bene qual è il soggetto comunitario che chiede la moschea, chi sta dietro questa richiesta. Un soggetto reale, che vuol vivere la propria fede, che sa distinguere molto bene l’esperienza della vita religiosa dalla politica, dalla cultura, che non trasforma la moschea in uno strumento di fondamentalismo e integralismo». E naturalmente «che il come e dove si fa la moschea sia rispettoso della tradizione cristiana e del nostro popolo».

 

 

Francesca Lozito

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