Scuola, aboliamo il recupero degli asini ?

A confronto due articoli sul tema della scuola, uno di Paola Mastrocola, l'altro di Stefano Portioli. «Non se ne esce; tutti in qualche cosa hanno ragione ma nessuno ha il coraggio di dire che questo modo di fare scuola è decotto...».

Scuola, aboliamo il recupero degli asini ?

da Quaderni Cannibali

del 11 aprile 2008

A confronto due articoli sul tema della scuola.

 

 

Scuola, aboliamo il recupero degli asini

di Paola Mastrocola

 

In questi mesi le scuole italiane sono impegnate nella «Missione Recupero». Credo che tutti lo sappiano perché se n'è parlato molto da dieci anni a questa parte: il recupero fu introdotto dal ministro Berlinguer, fu conservato mirabilmente intatto dal ministro Moratti ed è ora più che mai voluto, sostenuto e moltiplicato dal ministro Fioroni; è quindi un concetto - nonché una legge - che transita beatamente da un governo all'altro, di qualsivoglia colore politico esso sia.

 

Credo altresì che tutti non possano che essere d'accordo sull'opportunità di recuperare gli allievi: per una ragione molto semplice, che la parola recupero è una bellissima parola! Rimanda a nobilissimi sentimenti di umanità e fratellanza. Chi mai potrebbe dire, infatti, che non è bene recuperare - cioè salvare - qualcuno o qualcosa? È bene recuperare relitti in fondo al mare, recuperare fondi e refurtive, recuperare l'uso di un arto… A maggior ragione, è bene, anzi, benissimo recuperare ragazzi in difficoltà nello studio. Credo però, anche, che nessuno (se non un'esigua minoranza) sappia veramente che cosa sia nella sostanza il recupero. E quindi vorrei provare a raccontarlo. Partiamo da un allievo, ad esempio di prima liceo, che prenda quattro di italiano per quattro mesi di fila. Lo chiameremo Giovanni.

 

Giovanni prende quattro perché non sa l'analisi logica. Davanti alla frase «Si vedono gabbiani al mare», egli scrive:

Si: soggetto

vedono: predicato verbale

gabbiani: complemento oggetto

al mare: complemento di termine.

 

Piccola parentesi: potremmo chiederci perché Giovanni non sa l'analisi logica. Forse alle elementari e alle medie la grammatica non va più di moda, l'hanno abolita e si son dimenticati di dircelo? Oppure sono i ragazzi che non la studiano, o dimenticano all'istante quel che (labilmente) studiano? Nel qual caso, perché mai sono arrivati fino al liceo? Domanda oziosa: c'è la scuola dell'obbligo. Come potremmo obbligarli ad andare a scuola e nello stesso tempo, solo perché non studiano, cacciarli dalla scuola? Fine della parentesi.

 

Ma non importa: i ragazzi arrivano digiuni di grammatica e noi, buoni buoni, alle superiori gliela insegniamo daccapo, come se nulla fosse mai stato prima. Nessun problema, siamo gente responsabile, ci mancherebbe! Rispieghiamo tutto a Giovanni, dall'articolo in poi. Ma Giovanni continua a prendere quattro. Si: soggetto; gabbiani: complemento oggetto. Oibò! Che fare? Ecco che scatta il magico recupero! Ci travestiamo da agenti in missione speciale (calzamaglia blu con R cubitale sul petto e mantello rosso) e recuperiamo Giovanni! In due possibili modi. Modo A: interrompiamo le lezioni del mattino, sospendiamo i programmi e ripetiamo per la centoquarantesima volta che differenza c'è tra soggetto e complemento oggetto. Modo B: diciamo a Giovanni di venire al pomeriggio e facciamo a lui e a tutti i Giovanni delle altre classi un corso supplementare. Ottenendo i seguenti risultati: con il modo A, obblighiamo tutti gli altri allievi, anche quelli bravi e studiosi che prendono 10 in grammatica, a ristudiare gli articoli non insegnando loro nulla di nuovo e più difficile; con il modo B, occupiamo il tempo pomeridiano di Giovanni, che egli dovrebbe passare, finalmente!, a studiare. Già, perché è inutile centuplicare le ore di lezione, se poi uno non apre un libro! Il sapere non passa ancora così, via etere, wireless o con altra diavoleria elettronica.

 

Giovanni quindi, dopo la prima dose di recupero, continua a prendere quattro. E siamo ad aprile. Dobbiamo ora iniziare la seconda dose, e poi una terza, una quarta e via così fino ad agosto, fino alla prova finale, detta un tempo «esami di riparazione». Ed è qui che mi nasce la domanda: siamo sicuri che la scuola debba diventare un recuperificio?

 

Siamo sicuri che l'Italia debba pagare così tanto denaro pubblico perché Giovanni si ostina a non aprire un libro? (ogni ora di recupero è pagata 50 euro e, così a naso, i Giovanni di ogni singola classe si aggirano tra il 30 e il 50 per cento). Ma soprattutto, pensiamo davvero che faccia bene ai ragazzi essere così tanto imboccati, pedinati, inseguiti e perseguitati: in una parola, recuperati? Non dovrebbe esserci un tempo in cui gli insegnanti, dopo avere svolto e ri-svolto con professionalità e passione gli argomenti del programma, li lascino finalmente soli a rispondere delle loro azioni o non azioni? Non dovremmo esigere che diventino responsabili dei loro insuccessi? Responsabili e liberi, anche di non studiare. Non sarebbe questa un'azione nobilmente educativa?

 

Di qui, quattro piccole pulci nell'orecchio: e se il recupero fosse una violenza ai ragazzi? E se fosse, da parte nostra, un'ignobile ipocrisia, visto che per recuperare 8 anni di totale ignoranza grammaticale (3 anni di medie e 5 di elementari), ci vorrebbero tutte le ore di lezione di almeno 2 anni e non certo le miserabili 15 ore a cui ci impegna il decreto ministeriale? E se, a forza di recuperare, non avessimo più il tempo di fare i programmi? Chi li svolgerebbe, l'università? E chi farebbe i programmi universitari, le case di riposo? E se il recupero non fosse che l'ennesimo escamotage per autoesentarci dal nostro compito educativo di formare persone responsabili? Fine delle pulci.

 

Siccome caso vuole che ci si trovi in periodo elettorale, mi piacerebbe molto che si parlasse di scuola. Non le solite generiche parole in libertà: riconosciamo alla scuola la sua centralità per la crescita del Paese… blablabla. Vorremmo scendere nei dettagli. Vorremmo sapere cosa pensa l'un partito e l'altro a riguardo del recupero. C'è una forza politica, almeno una!, che ritenga il recupero un obbrobrio, e pertanto s'impegni a raderlo al suolo? O qualcuno che ci dica che semmai è l'analisi logica da radere al suolo? Non so, vedete voi, cari partiti.

 

 

Il compagno di banco

di Stefano Portioli

 

Paola Mastrocola in un articolo sulla Stampa dal titolo “Scuola: aboliamo il recupero degli asini” pone il problema dell’opportunità dei corsi di recupero.

Questo articolo fa il paio con un ‘intervista, questa volta pubblicata da Il Giornale, dove la docente scrittrice si lamenta della diffusa maleducazione degli studenti e di come alcune regole di comportamento dovrebbero essere introdotte per legge.

 Vorrei cercare di analizzare i problemi posti dalla Mastrocola senza lasciarmi fuorviare da prese di posizione precedenti di segno contrario.

Siamo a quarant’anni dal 68; Mario Capanna va ancora in giro a tenere conferenze sul tema; il grande pedagogista Aldo Gazzi, scomparso nel dicembre 2000 nella sua ultima intervista ha detto questa sua interpretazione del ‘68: “Il ‘68 ha segnato la catastrofe, il baratro della cultura che è stata compromessa per sempre. Nel ‘68 fu consumato il divorzio con il sapere. Io del ‘68 non salverei niente il vuoto. Parlo del ‘68 perché chi il modo di fare scuola oggi è figlio di quel  periodo”.

Nella stessa intervista Gazzi faceva questa considerazione: “Le università e le scuole hanno aperto le porte dell’insegnamento a persone laureate e diplomate con il voto politico, assunte senza concorsi, senza preparazione. Abbiamo visto l’ascesa di quelli che già allora venivano definiti “i somari in cattedra” e purtroppo i somarelli da essi formati emetteranno dei ragli d’asino che non giungeranno in cielo.

Certo la Mastrocola ha  ragione quando dice che ci vuole più educazione da parte dei ragazzi e più rispetto per i professori, ma che esempio hanno dato quei professori della sapienza di Roma che hanno impedito al Papa di tenere la lectio magistralis? E che esempio danno quei professori che si fanno filmare in classe mentre fumano sdraiati sulla cattedra? È questo  l’atteggiamento che induce il rispetto? E se su una classe almeno la metà degli studenti necessità di recupero -come la Mastrocola evidenzia nel suo articolo sulla Stampa-, non può sorgere il dubbio che il primo asino sia quello seduto in cattedra? La Mastrocola si chiede se costringere gli studenti ad un recupero forzato non possa essere configurarsi come una violenza nei loro confronti. Però dimentica che la scuola è obbligatoria per legge fino a 18 anni e la scuola dell’obbligo non può lasciare indietro nessuno. La scrittrice giustamente rileva che così c’è un livellamento verso il basso con i più bravi fermi ad aspettare che gli altri li raggiungano.

Una situazione analoga ad alcune classi di alcune scuole primarie di Milano dove la presenza di troppi bambini extracomunitari non consente di svolgere i normali programmi però in nome di un egualitarismo cieco, quanto becero, non si possono prospettare classi speciali che agevolerebbero tutti.

Insomma non se ne esce; tutti in qualche cosa hanno ragione ma nessuno ha il coraggio di dire che questo modo di fare scuola è decotto occorre ragionare non più di classi  ma di competenze con piani di studio personalizzati propedeutici all’intrapresa degli studi di livello superiore. Questa modalità di stampo anglosassone, unita alla diminuzione delle materie e all’abolizione del valore legale del titolo di studio, potrebbe consentire di eliminare i recuperi forzati.

Paola Mastrocola, Stefano Portioli

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