Scuola media, il grande vuoto che crea diseguaglianza sociale

Fondazione Agnelli: in 10 anni cresciuti i ritardi nella formazione dei ragazzi. Tra i nodi da sciogliere, il ruolo dei docenti: 3 su 10 sono precari, solo l’1% in cattedra prima dei 30 anni

Dare una “missione” alla scuola media, la grande dimenticata del nostro sistema d’istruzione. Negli ultimi dieci anni, la scuola secondaria di primo grado non soltanto non è migliorata ma ha perso ulteriore terreno, risultando sempre meno attraente per alunni e insegnanti e cessando di rappresentare il ponte verso l’età matura, caratteristica che ha avuto fino all’innalzamento dell’obbligo scolastico.

L’analisi impietosa dello stato in cui versa questo segmento importante della scuola italiana, che dovrebbe rappresentare il “trampolino” verso le scelte future, anche professionali, degli adolescenti, è firmata dalla Fondazione Agnelli che, a dieci anni di distanza dal primo Rapporto sulla scuola media del 2011, è tornata ad indagare sul “triennio di mezzo”, tra elementari e superiori, oggi più che mai simile a un limbo senza un chiaro obiettivo. Ma soprattutto, stando ai dati della ricerca 2021 (che può essere consultata, gratuitamente, sul sito www.fondazioneagnelli.it), la scuola media italiana è un luogo dove «gli studenti imparano meno dei loro coetanei europei e degli altri Paesi avanzati» e le «disuguaglianze sociali e i divari territoriali si accentuano rispetto alla scuola primaria».

A preoccupare è soprattutto quella che il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, chiama la «caduta degli apprendimenti tra scuola primaria e scuola media». Stando alle ultime rilevazioni internazionali Timss (matematica e scienze), gli alunni italiani di quarta elementare raggiungono 515 punti, superiori alla media Ocse, mentre in terza media il dato scende a 497 punti, sotto la media dei Paesi industrializzati. Inoltre, si legge nel Rapporto della Fondazione Agnelli, «la scuola media non riesce a ridurre e spesso accentua disuguaglianze sociali, divari territoriali e di genere, differenze di origine già evidenti nei risultati della scuola primaria».

Il divario diventa ancora maggiore per gli studenti figli di genitori con un basso titolo di studio (licenza elementare o media) e per chi vive nelle regioni Meridionali.


Nella giostra degli insegnanti, solo il 67% resta da un anno all’altro, contro l’83% della primaria. Ciò condiziona gli studenti: appena il 10% pensa che l’ambiente scolastico sia “molto positivo”


«Le disuguaglianze dovute all’origine sociale, misurate in base al titolo di studio dei genitori – sottolinea la curatrice del Rapporto, Barbara Romano – sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno che ha genitori con la licenza elementare. Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono a una differenza di quasi tre anni di scuola».

Non sorprende, dunque, che, se questo è il contesto, tanti adolescenti dichiarino apertamente di non trovarsi bene, di non “stare bene” alla scuola media. «È terribile», nota amaramente Gavosto. Già in prima media, non più del 30% delle ragazze e non più del 25% dei ragazzi dà un giudizio “molto positivo” all’ambiente scolastico. Al termine della terza media, il pieno gradimento si riduce ulteriormente, non superando il 10%. Grande è anche la fatica accumulata dagli studenti, nel passaggio dalla scuola elementare alla media che, sottolinea Gavosto, per come è strutturata, con tante materie e numerosi insegnanti, «è pensata per studenti più grandi, quasi fosse un mini-liceo e non per preadolescenti che, per esempio, hanno bisogno di lavorare in gruppo».

Così, a partire dalla prima media, 4 su 10 si sentono stressati dal carico di lavoro, condizione che, in terza, riguarda il 48,4% dei maschi e 56,9% delle femmine.

Le cose non vanno bene nemmeno sul fronte degli insegnanti: quasi il 30% è precario, quota che arriva al 60% del totale nel caso dei docenti di sostegno. «A dispetto delle attese – prosegue il Rapporto della Fondazione Agnelli – nonostante le numerose assunzioni in ruolo della legge della Buona Scuola del 2015 e il recente aumento dei pensionamenti, non si è verificato in questi anni il ringiovanimento dei docenti di ruolo della secondaria di I grado che auspicavamo nello scorso Rapporto: l’età media era poco più di 52 anni nel 2011, ora è poco meno.


Per Andrea Gavosto, il modello educativo «è pensato per studenti più grandi, quasi fosse un mini-liceo. Non preadolescenti che hanno bisogno di lavorare in gruppo»


Mentre 1 docente su 6 ha 60 anni e oltre, coloro che vanno in cattedra prima di 30 anni sono invece un minuscolo drappello: 1 su 100. La scuola media, inoltre, è anche il grado più soggetto alla “giostra degli insegnanti”: da un anno all’altro soltanto il 67% dei docenti rimane nella stessa scuola (83% nella primaria, 75% nelle superiori, dati del 2017-18), con le prevedibili conseguenze negative per la qualità didattica».

Per affrontare le tante criticità evidenziate dal Rapporto, la Fondazione Agnelli avanza una serie di proposte, la prima delle quali riguarda proprio la «valorizzazione degli insegnanti» per «attirare all’insegnamento i migliori laureati». In secondo luogo, «la didattica va modellata alle esigenze specifiche della scuola media», pensandola «come percorso di orientamento al futuro, attraverso strumenti e metodologie didattiche che favoriscano la valorizzazione delle inclinazioni personali e diano indicazioni per le scelte successive».

Infine, la Fondazione Agnelli «sostiene la necessità di un’estensione del tempo scuola alla secondaria di I grado, con la scuola del pomeriggio come scelta ordinamentale», con laboratori e attività sportive, artistiche ed espressive, musicali e coreutiche, teatrali. «Non sembra invece necessaria, in questa fase – conclude il Rapporto – una ristrutturazione dei cicli che porti al superamento della media: se ne è parlato spesso, ma non c’è evidenza convincente che la riorganizzazione possa da sola, senza un intervento sulla qualità della didattica e dei docenti, portare a benefici significativi».

 

 


di Paolo Ferrario

tratto da: Avvenire.it

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