"È una disperazione, è un caos. Dottore, mi fac¬≠cia morire. Non mi faccia più soffrire". Parole, mai dette e mai ascoltate, che stanno dietro tragedie della cronaca. La follia è fondamentalmente, oltre ad un'esperienza di dolore, a un arricchimento, un sentire assoluto delle passioni, un esprimersi delle anime più sensibili.
Se lo psichiatra incontra l'anima
Dentro la zona d’ombra, dai sempre incerti confini, in cui l’angoscia esistenziale si fa depressione, malattia; nelle acque carsiche che alimentano, insieme, follia e genio creativo; e, ancora, nell’incenerito deserto del nulla, che pure nei grandi mistici si alterna, misterioso, all’irruzione del divino. L’ultimo lavoro di Eugenio Borgna audacemente esplora queste terre di mezzo, i limbi che la psichiatria dominante oggi o ignora, o cerca di ricomporre soltanto con gli psicofarmaci: come attribuendo queste zone oscure puramente a disordini nel dialogo neuronale, a malfunzionamenti di quell’hardware che è il cervello.
Chi conosce e ama Borgna sa di questa sua abitudine a inoltrarsi per strade poco battute, nella certezza comunque che la follia è una 'forma', una Gestalt, e non soltanto un di meno, un guasto, che rende chi ne è toccato improduttivo e dunque inutile. Questa volta, in un testo complesso ma ricchissimo, lo psichiatra affronta innanzitutto la questione del dolore, del lancinante dolore della psicosi, di tutti, il più incomunicabile.
Lo fa attraverso le parole delle sue pazienti. Di Anna, la madre di famiglia caduta in depressione psicotica: «I bambini vengono a casa, e io non so più cosa fare. Non bolle più nemmeno l’acqua. È una disperazione, è un caos. Dottore, mi faccia morire. Non mi faccia più soffrire». Parole, mai dette e mai ascoltate, che stanno dietro certe, frequenti, tragedie della cronaca. (Ma questa volta almeno un medico, un uomo, c’era, ad ascoltare e a fermare il desiderio del nulla). Oppure Borgna racconta «la danza febbrile degli sguardi» di Angela e Valeria, sorelle adolescenti, entrambe strappate alla giovinezza e andate lontano, nell’esilio della schizofrenia.
L’autore ricorda la confessione di Jung, che scrisse:«Solo al di là del cervello, al di là del substrato anatomico v’è ciò che per noi è importante, vale a dire l’anima, entità da sempre indefinibile, e che continua a sfuggire anche ai più abili tentativi di afferrarla ».Ammettendo onestamente che la psichiatria sta ancora davanti a una porta chiusa, e «cerca invano di impadronirsi dei metodi di misura e valutazione delle scienze naturali».
L’anima? È raro oggi che uno psichiatra pratichi questa parola. Borgna lo fa, uscendo dai recinti stretti del pensiero dominante. E laicamente ci ricorda quella che per i cristiani è una virtù, e per i non credenti un trascurato dovere: quello della speranza: «Se non riusciamo a mantenere viva in noi una scintilla, o almeno una goccia, di speranza quando ci incontriamo con chi ha perduto la speranza ne rendiamo definitiva la scomparsa». Il libro percorre poi il sottile crinale che divide a volte follia e genio creativo; ne porta innumerevoli testimonianze, dai versi di Rilke a quelli di Hölderlin o di Emily Dickinson.
Ma ancora più affascinanti sono le pagine dedicate al misterioso incrociarsi di sofferenza interiore e esperienza mistica. Maria Zambrano affermò che la prima caratteristica del mistico è «una solitudine senza pari, un’incomunicabilità che gli converte in cenere il sapore della vita». Eppure, annota lo psichiatra, in quella solitudine desertica il mistico si apre all’infinito. L’ultima parte del libro affronta le alte maree di oscurità delle 'notti dell’anima' di Teresa d’Avila («Una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore, che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l’anima è poco »). Entra nel buio agonico delle lettere di Teresa di Calcutta: «Sorridere tutto il tempo… Se solo sapessero… come la mia gioia è il mantello con cui nascondo il vuoto e la miseria». O, in modo ancora più lacerato: «Il posto di Dio nella mia anima è vuoto: non c’è Dio in me». E Borgna qui dà la parola a Bernanos: «La gioia viene da una parte troppo profonda dell’anima perché le sue radici non siano immerse nella tristezza, che è la sostanza dell’uomo da quando ha perduto il paradiso». La malinconia e forse anche l’aspra sofferenza psicotica, come forme diverse, frammenti spezzati di una mancanza, di una confusa percezione di esilio? Romano Guardini, ricorda Borgna, definì la malinconia «nostalgia dell’infinito». Voce alta e solitaria, quella dell’autore, dentro un tempo di «comunicazione febbrile e angosciante», di rumore incessante che ci aliena da noi. E, l’antidoto? Lo psichiatra scrive di una necessaria 'comunità di destino': «Il destino originario dell’essere umano è quello di vivere insieme agli altri. Noi siamo gettati nel mondo, e solo se nasce una alleanza fra noi e gli altri da noi riscopriamo quello che noi siamo».
Il libro si conclude con parole che somigliano a una preghiera: «Mi si dia un cuore libero dalla impazienza e dalla noncuranza »,perché oggi «ascoltare l’altro, ascoltarne senza fine il discorso frantumato, è considerata cosa inutile, e non degna di una psichiatria che si considera portatrice di certezze: di certezze impossibili». E per noi, gente comune, sperduta spesso fra solitudine e paura? Suona come una benedizione il Bernanos citato nella penultima pagina: «La speranza si conquista. Non si va verso la speranza se non attraverso la verità: a costo di grandi sforzi e di una lunga pazienza. Per incontrare la speranza è necessario essere andati al di là della disperazione».
Titolo: Di armonia risuona e di follia
Autore: Eugenio Borgna
Editore: Feltrinelli
Collana: Campi del sapere
E il vuoto si riempie nel faccia a faccia con Dio
Filosofo, studioso di scienze naturali, psicologo, «gesuita dallo spirito penetrante», Joseph Maréchal (1878-1944) per oltre 50 anni si dedica allo studio di quella “faglia” nella quale confluiscono e si innervano mistica, metafisica e psicologia in un intreccio che lo studioso raccoglie in una formula suggestiva: «l’intuizione di Dio», «la“presentazione” attiva e assolutamente libera da parte di Dio» nella vita dell’uomo. Opera certosina e meritoria perché maturata, come sottolinea Domenico Bosco nell’introduzione, in un’epoca ancora impregnata di positivismo che si accosta con sospetto alla mistica, «riguardata come ciò che è fuori di ragione, irrazionale», contrapposto a quanto è ragionevole e razionale». L’indagine del gesuita belga investe un campo mobile, frastagliato, dai confini incerti che sembra, continua Bosco,«oscillare tra patologia, esaltazione morbosa, ispirazione (religiosa)». Quale è allora il senso dischiuso da un’esperienza segnata dal «trasparire del divino nell’intimità dell’esperienza» (Melchiorre), un’esperienza liminare che si esprime nella dialettica, nello scontro-incontro tra aridità e sazietà, dolore e consolazione, morte e resurrezione? Perché della mistica è proprio questo paradosso: l’abbandono a Dio confina con l’esperienza del vuoto della «notte oscura» (Giovanni della Croce), della «divina caligine» (Tommaso di Gesù).
Un’intuizione lucidamente raccolta da Simone Weil che per catturarla ricorre al termine di de-creazione: «Accettare il vuoto. Si trova sotto molte forme.
Sete, fame, castità nella ricerca di Dio. Forme sensibili di vuoto. Il corpo non ha altro modo di accettare il vuoto (avere fame, sete di Dio)». Nel decifrare «il faccia a faccia con l’eternità» che costituisce la cifra della mistica, il pensiero di Maréchal mira a salvaguardare «la libertà sovrana dell’iniziativa divina». È il movimento debordante della grazia a consentire al mistico l’accesso a un’esperienza totalmente altra, all’«intuizione dell’Essere Divino». La grazia, scrive il gesuita, «completa e corona la natura trasformando in un fine propriamente detto ciò che non era che un limite superiore e inaccessibile di una tendenza radicale». È la grazia che irrompe e rompe gli argini della coscienza:«L’intuizione di Dio suppone l’unione intima e immediata dell’Essere divino e dell’intelligenza umana; e tale sorta di influenza della passività creata sull’attività increata non è concepibile se non a effetto di una iniziativa piena di benevolenza, di una“presentazione” attiva assolutamente libera da parte di Dio». Autore: Joseph Maréchal
Editore: Morcelliana
Collana: Filosofia
Marina Corradi, Luca Miele
Versione app: 3.26.4 (097816f)