Ciascuno di noi vive solo se è riconosciuto dall'altro, a partire da chi ci è prossimo e ci ha generato alla vita: sentirsi riconosciuti vuol dire sentirsi importanti...
del 22 febbraio 2019
Ciascuno di noi vive solo se è riconosciuto dall’altro, a partire da chi ci è prossimo e ci ha generato alla vita: sentirsi riconosciuti vuol dire sentirsi importanti...
La vita di tutti i giorni è attraversata da tanti incontri, attesi o imprevisti, interessanti e a volte spiacevoli, momentanei o significativi… Quando ci concediamo l’opportunità di rallentare un po’ il passo per posare il nostro sguardo sul volto dell’altro, senza fretta, ecco che davanti a noi il mistero dell’alterità ci interpella e ci sorprende. Ogni volto è espressione di un’identità che sfugge alla ripetizione e nello stesso tempo racconta distinzioni e parentele. È ciò che mi permette di definire l’altro come persona unica, generata da una storia che la precede e protagonista di un futuro ancora da costruire.
Il volto di chi ci sta davanti può attirare il nostro sguardo o respingerlo, può accendere in noi il desiderio o il senso di rifiuto: in ogni caso, sempre, cerchiamo l’altro per scoprire chi siamo, da quando, appena nati, abbiamo aperto gli occhi e abbiamo incrociato lo sguardo di nostra madre. Proprio così iniziamo a costruire la nostra capacità di comunicare e di relazionarci, fin da piccoli, quando sappiamo dire “tu” anche senza pronunciare parole. In ogni tempo della nostra esistenza viviamo se ci accorgiamo di essere guardati: il bambino cerca il volto dei genitori, l’amante cerca lo sguardo dell’amato, il padre cerca il volto dei figli, il morente qualcuno che lo accompagni nell’ora della morte. Tutta la nostra vita si gioca nelle relazioni che riusciamo (e non riusciamo) ad instaurare e che iniziano, a volte quasi per caso, con uno scambio di sguardi. Ciascuno di noi vive, infatti, solo se è riconosciuto dall’altro, a partire da chi ci è prossimo e ci ha generato alla vita: sentirsi riconosciuti vuol dire sentirsi importanti e sapere di avere valore per ciò che si è.
Questa ricerca è nostalgia di un’alterità affidabile, che ci restituisce la possibilità di amare in noi quello che già siamo e di osare l’avventura di diventare pienamente noi stessi: questa ricerca è sempre viva e si nasconde oggi nei molteplici e complessi scenari di questo tempo, in cui l’architettura familiare attraversa tempi difficili e sembra destinata inesorabilmente a crollare. Eppure la famiglia rimane l’ambito fondamentale dell’umanizzazione della persona, il luogo della cura degli affetti e dell’educazione, lo spazio privilegiato dove il volto guardato testimonia un’alterità che convoca alla responsabilità e al decentramento. Senza quella certezza di essere unici che solamente l’amore garantisce, non si sa neppure di esistere. Infatti i bambini, appena nati, iniziano a ricevere, insieme al nutrimento e alle cure, il dono del nome, la condivisione degli sguardi e la luce dei sorrisi delle persone che li accompagnano più da vicino. Così si impara presto che la bellezza del legame fra gli esseri umani prevede la diversità dell’altro, lo rispetta e l’accoglie come interlocutore in un dialogo che matura in profondità lungo tutta l’esistenza e si arricchisce, incontro dopo incontro.
La certezza di appartenere a qualcuno è scritta nel nostro DNA di figli e va custodita e difesa con forza e tenerezza per tutta la vita: ciascuno di noi è cresciuto (nell’anima e non solo fisicamente) come figlio amato se qualcuno ci ha fatto il dono di appoggiare sul nostro volto il proprio sguardo, a lungo, senza fretta, per insegnarci in ogni istante che un altro ha scritto con il buon Dio l’inizio della nostra storia, ma che poi tocca a noi il compito di completarla con gli altri capitoli, con quella freschezza e novità straordinaria che ci rendono tutti esseri unici e irripetibili. Diventando grande, poi, ogni piccolo essere umano fa esperienza della propria fragilità e, caduta dopo caduta, scopre che sapersi amati nei propri limiti, incondizionatamente e sempre, è il primo passo per concedersi il permesso di esserci, ricevendo l’eredità preziosa della propria unicità come trampolino di lancio per tuffarsi da protagonista nella propria vita.
Non resta che augurare ad ognuno di noi che ha scelto di prendersi cura degli altri per accompagnarli a scoprire il proprio volto, di essere coraggiosi ricercatori della verità e del mistero racchiuso in ogni vita, dono da custodire come delicato germoglio finché non giunga il tempo dei frutti. Solo così le generazioni che verranno potranno imparare passo dopo passo la difficile arte di vivere e, voltandosi indietro, sapranno ancora rivolgerci parole cariche di gratitudine.
Sr. Daniela Cristiana Galletto
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