Questo secondo sogno missionario che Don Bosco fece a San Benigno Canavese nel 1883, è una rappresentazione allegorica, ricca di elementi profetici, dell’avvenire delle Missioni Salesiane nell’America del Sud. Don Bosco lo raccontò il 4 settembre.
Questo secondo sogno missionario che Don Bosco fece a San Benigno Canavese nel 1883, è una
rappresentazione allegorica, ricca di elementi profetici, dell’avvenire delle Missioni Salesiane
nell’America del Sud. Don Bosco lo raccontò il 4 settembre.
«Era la notte che precedeva la festa di S. Rosa da Lima (30 Agosto) e io ho fatto un sogno. Mi pareva di entrare in una sala di trattenimento, dove erano molte persone che parlavano della moltitudine di selvaggi, che nell’Australia, nelle Indie, nella Cina, nell’Africa e più particolarmente nell’America sono tuttora sepolti nell’ombra della morte.
Vidi Luigi Colle, figlio del conte Luigi Fleury Colle di Tolone. E un giovane che era morto qualche anno prima. Il suo vestito era intessuto con celestiale ricchezza e il suo capo era cinto di un berretto a foggia di corona, tempestato di brillantissime pietre preziose.
Fissandomi con sguardo benevolo, mi dimostrava un interesse speciale. Il suo sorriso esprimeva un
affetto di irresistibile attraenza. Mi chiamò per nome, mi prese per mano e incominciò a parlarmi
della Congregazione Salesiana.
Io ero incantato al suono di quella voce. A un certo punto l’interruppi:
— Con chi ho l’onore di parlare? Favoritemi il vostro nome.
— ve lo direi il mio nome se facesse bisogno; ma non occorre perché mi dovete conoscere.
Così dicendo sorrideva.
— Luigi! — esclamai chiamandolo per nome —. E tutti costoro chi sono?
— Sono amici dei vostri Salesiani, e io come amico vostro e dei Salesiani, a nome di Dio, vorrei darvi un po’ di lavoro.
— Vediamo di che si tratta.
— Mettetevi qui a questo tavolo e poi tirate giù questa corda.
In mezzo a quella sala vi era un tavolo, sul quale stava aggomitolata una corda, che era segnata come il metro, con linee e numeri. Più tardi mi accorsi anche come quella sala fosse posta nell’America del Sud, proprio sulla linea dell’Equatore, e come i numeri stampati sulla corda corrispondessero ai gradi geografici di latitudine. Io presi dunque l’estremità di quella corda, la guardai e vidi che sul principio aveva segnato il numero zero. E quell’angelico giovinetto:
— Osservate! Che cosa sta scritto sopra la corda?
— Numero zero.
— Tirate un po’.
Tirai alquanto la corda, ed ecco il numero 1.
— Tirate ancora e fate un gran rotolo di quella corda.
Tirai e vennero fuori i numeri 2, 3, 4, fino al 20.
— Basta? — dissi io.
— No, più in sù, più in sù! Andate finché troverete un nodo.
— rispose quel giovinetto.
Tirai fino al numero 47, dove trovai un grosso nodo. Da quel punto la corda continuava ancora, ma
divisa in tante cordicelle che si sparpagliavano a Oriente, a Occidente, a Mezzodì.
— Basta? — replicai.
— Che numero è? — interrogò quel giovane.
— È il numero 47.
— 47 più 3 quanto fa?
— 50!
— E più 5?
— 55!
— Notate: cinquantacinque.
E poi mi disse:
— Tirate ancora.
— Sono alla fine! — io risposi.
— Ora dunque voltatevi indietro e tirate la corda dall’altra parte.
Tirai la fune dalla parte opposta fino al numero 10. E quel giovane:
— Tirate ancora.
— C’è più niente!
— Come? C’è più niente? Osservate ancora. Che cosa c’è?
— C’è dell’acqua! — risposi.
Infatti in quell’istante si operava in me un fenomeno straordinario, quale non è possibile descrivere.
Io mi trovavo in quella stanza, tiravo quella corda, e nello stesso tempo si svolgeva sotto i miei occhi come un panorama immenso, che io dominavo quasi a volo d’uccello, e che si stendeva con lo
stendersi della corda.
Dal primo O al numero 55 era una terra sterminata che, dopo uno stretto di mare, in fondo si
frastagliava in cento isole, di cui una assai maggiore delle altre. A quelle isole pareva alludessero le
cordicelle sparpagliate, che partivano dal gran nodo. Ogni cordicella faceva capo a un’isola. Alcune
di queste erano abitate da indigeni abbastanza numerosi; altre sterili, nude, rocciose, disabitate; altre
tutte coperte di neve e ghiaccio. A occidente gruppi numerosi di isole abitate da molti selvaggi.
Dalla parte opposta poi, cioè dallo zero al 10, continuava la stessa terra e finiva in quell’acqua da me vista per l’ultima cosa. Mi par ve essere quell’acqua il mare delle Antille, che vedevo allora in un
modo così sorprendente, da non essere possibile che io spieghi a parole quel modo di vedere.
Or dunque avendo io risposto:
— C’è dell’acqua! —, quel giovanetto disse:
— Ora mettete insieme 55 più 10. A che cosa è uguale?
— Somma 65.
— Ora mettete tutto insieme e ne farete una corda sola.
— E poi?
— Da questa parte che cosa c’è?
E mi accennava un punto sul panorama.
— All’Occidente vedo altissime montagne, e all’Oriente c’è il mare.
Il giovane mio amico proseguiva:
— Orbene: queste montagne sono come una sponda, un confine. Fin qui, fin là è la messe offerta ai
Salesiani. Sono migliaia e milioni di abitanti che attendono il vostro aiuto, attendono la Fede.
Queste montagne sono le Cordigliere dell’America del Sud e quel mare l’Oceano Atlantico.
— E come fare? — io ripresi —; come riusciremo a condurre tanti popoli all’ovile di Cristo?
— Col sudore e col sangue — rispose — i selvaggi diventeranno graditi al Padrone della vita.
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