Selfaggi

La reazione ai selfie, per lo più sorridenti, scattati dai turisti davanti alla cioccolateria di Sydney dove un esaltato islamico stava tenendo in ostaggio decine di persone.

Selfaggi

 

I selfie, per lo più sorridenti, scattati dai turisti davanti alla cioccolateria di Sydney dove un esaltato islamico stava tenendo in ostaggio decine di persone, hanno provocato giudizi definitivi sul declino dell’umanità che non mi sento di condividere. L’umanità non è peggiorata. Neanche troppo migliorata, se è per questo. Ma i cretini di Sydney sono i degni pronipoti delle anziane donne della Parigi rivoluzionaria che sferruzzavano a maglia nella piazza della ghigliottina, mentre intorno a loro cadevano le teste. La stessa smania di trovarsi nel posto in cui si fa la storia, o almeno la cronaca. La stessa speranza di attirare l’attenzione del maggior numero di guardoni. La stessa incapacità di mettersi in sintonia con la sofferenza di chi a un passo da te perde o rischia di perdere la vita. Da allora non sono gli uomini a essere cambiati, ma gli strumenti. Oggi una tricoteuse poserebbe l’uncinetto per impugnare lo smartphone. 

 

La potenza smisurata dei nuovi mezzi non è stata bilanciata da un analogo rafforzamento del carattere degli utenti. Oltre all’esibizionismo, i cultori del selfie estremo hanno mutuato dal mondo dello spettacolo l’ossessione per le cifre. Ciascuno ha il suo Auditel personale con cui fare i conti. E poiché ormai l’autostima si misura dal numero di seguaci su Twitter o di condivisioni su Facebook, ogni occasione è buona per incrementare il proprio indice di popolarità. Come in qualsiasi altra forma di comunicazione, il pelo sullo stomaco non è indispensabile, però aiuta.

 

 

Massimo Gramellini

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