Si prende volgarmente in giro il Papa

Nel siparietto di Crozza, Benedetto XVI sarebbe un personaggio isterico spalleggiato da due cardinali-chierichetti, preoccupato di avere buone battute da recitare, fuori di giri, le dita gonfie di anelloni, dalle movenze da burattino. Che cosa c'entra con il Papa reale? Nulla.

Si prende volgarmente in giro il Papa

da Attualità

del 13 novembre 2006

 

Prendiamo ad esempio Maurizio Crozza su La 7

 

E' possibile una satira capace di far ridere e pensare, senza ferire i sentimenti pi√π profondi di larga parte del pubblico? La domanda ti viene spontanea quando senti umoristi, comici, imitatori, showman che fanno strame del Papa.

Prendiamo ad esempio Maurizio Crozza. Il vero problema del suo 'Crozza Italia' è la debolezza dei testi e la mancanza di ritmo, che vanificano l’indubbio talento dell’imitatore. Ma non è questa la sede per approfondire il tema. Talento: perché metterlo a repentaglio piazzando in scena un Benedetto XVI che è la parodia dopolavoristica del Dottor Stranamore, un Peter Sellers schizzato? Nel siparietto di Crozza, Benedetto XVI sarebbe un personaggio isterico spalleggiato da due cardinali-chierichetti, preoccupato di avere buone battute da recitare, fuori di giri, le dita gonfie di anelloni, dalle movenze da burattino. Che cosa c’entra con il Papa reale? Nulla. Se la satira può consistere nell’ingigantire un difetto o un tic per stigmatizzarlo, l’operazione è fallita. E quando un Fiorello annuncia che il Papa fuma tre pacchetti di sigarette al giorno, come un turco, per prepararsi al viaggio in Turchia, la risata può sgorgare soltanto come atto di fiducia in Fiorello che, si sa, è bravissimo ma anche lui ha i suoi passaggi a vuoto; e qui la battuta è debolissima.

Rimandiamo ad altro momento la discussione infinita se si possa fare satira sul Papa. Sul presidente della Repubblica, ad esempio, nessuno si permette qualcosa di simile. Se si possa scherzare poi sull’islam si è discusso recentemente proprio su La7 attorno al tavolo di Giuliano Ferrara – presente tra gli altri lo stesso Crozza – tra imbarazzi e reticenze. Per potere si può, è stato detto o fatto capire, ma a tuo rischio e pericolo. Già.

Intanto il Papa viene allegramente svillaneggiato e i villani commettono l’errore più banale che un comunicatore possa compiere: dimenticano il proprio pubblico, non si sintonizzano su di lui. Perché? Perché, prendendosi troppo sul serio, si concent rano unicamente su se stessi, sul proprio presunto talento, sul proprio ruolo 'sacrale', sul proprio diritto di esprimersi come gli pare. E il diritto di chi, umilmente, sta a casa davanti alla tv e viene ferito nei suoi sentimenti? Di quel diritto i comici democratici fanno democratica carne di porco, nel nome di una 'democrazia aristocratica' ed elitaria che vede lassù, sui pulpiti televisivi e radiofonici, i circoli esclusivi dei mandarini della comunicazione, e quaggiù la gente normale che si sente presa a sberle. Ma forse si è assuefatta, perché è raro che reagisca e invece tace. Se poi reagisci osando sussurrare che la volgarità è ben triste pretesto per far ridere, ti becchi la fatwa di Daniele Luttazzi: «L’accusa di volgarità è il pretesto principe per tappare la bocca alla satira». Luttazzi, in un eccesso di modestia, cita Rabelais, Swift e Sterne. È chiaro con chi ha a che fare il pubblico?

Se questo è il circo, chiediamo ai clown: giù le mani dal Papa, per cortesia. Se proprio dovete allungarle, fatelo con delicatezza e rispetto. E se vi riesce impossibile provare delicatezza e rispetto per il Papa, cercate di provarne per le centinaia di milioni di cattolici in tutto il mondo, che seguendovi vi danno da vivere. Prima della satira, c’è la persona con la sua sensibilità, il suo cuore e la sua anima. Altrimenti è fondamentalismo satirico, roba su cui c’è poco da scherzare.

 

 

Si prende volgarmente in giro il Papa

 

È stato detto che quello anticattolico è l’unico pregiudizio ancora tollerabile. L’affermazione, nonostante una certa paradossalità, coglie il senso di concrete derive che la quotidianità squallidamente presenta. Una di queste, particolarmente indicativa, è dato riscontrare in alcuni programmi televisivi di livello bassino e di pesante volgarità, con fallimentari pretese di ironia, che sembrano sorprendentemente mirare al basso anziché all’alto, nel tentativo continuo di ridicolizzare figure e persone care al mondo cattolico. Tra queste, con ripetuta insistenza, la persona stessa del Papa.

Si tratta nel caso di comportamenti che vanno ben al di là dei limiti di una legittima manifestazione del pensiero, anche fortemente critica, e che oggettivamente si presentano come espressioni altamente offensive.

A fronte di comportamenti del genere potrebbe invocarsi la forza della legge penale, che detti comportamenti oggettivamente ledono in più punti. Ma in questa sede interessa piuttosto richiamare l’attenzione su altri aspetti di una questione che tocca tutti, tanto da essere oggetto di trattazione da parte dello stesso legislatore penale.

Un primo dato riguarda le caratteristiche del comportamento censurato che, non senza una certa dose di vigliaccheria, prende di mira solo la religione cattolica e persone che ne sono rappresentative. Nel caso specifico le espressioni irridenti ed oltraggiose sono rivolte a chi per altezza morale non intende difendersi e per ragioni istituzionali non può difendersi.

Un secondo aspetto attiene alla sostanza del comportamento che non si concretizza solo nell’offesa di una singola persona, pur fatto gravissimo in sé, ma in una lesione molto ampia di beni che una democrazia deve tutelare con la massima cura: anzitutto il sentimento dei cattolici, che pure rappresentano un parte consistente della società italiana; ma poi anche quello di una ben più larga cerchia di persone educate e di buon senso democratico, le quali tuttora ritengono c he esprimere il proprio pensiero critico si possa, vilipendere no.

A fronte del persistere di tali comportamenti, sorprende la disattenzione di molti: nel mondo della cultura, dell’educazione, dei mass-media, della stessa politica. È una disattenzione che al contempo non può non preoccupare. Perché fenomeni del genere, insinuandosi corrosivamente nel tessuto connettivo della società, creano divisioni e dissensi nel corpo sociale, sensi di disgusto e di lesione del sentimento di appartenenza in una casa comune, abbassando così le difese di una sana democrazia ed allentando pericolosamente i collanti della società.

È proprio di questo che ha bisogno l’Italia di oggi?

Umberto Folena, Giuseppe Dalla Torre

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