Chi non ha amato il coraggio di Antigone? Era la pretesa di esistere a prescindere da qualsiasi legame col padre. Il rifiuto della dipendenza originaria...
La sparizione dei padri è un fenomeno che dovrebbe mobilitare la lega per la protezione degli animali, visto che gli uomini sono animali. La cultura dello scarto, denunciata da Francesco, ha la sua espressione massima in questo dato ormai misurabile come la diminuzione delle tigri del Bengala.
Proprio papa Bergoglio, pur di suscitare attenzione sul fenomeno, ha invocato che se c’è ancora la paternità batta un colpo, magari anche sul sedere dei bambini, con una «sculacciata». Scandalo, reprimende, non si fa, non si deve. Oramai i padri non sono nemmeno odiati. Non c’è bisogno di ucciderli. Non esistono. Non devono esistere. E i padri, invece di essere obbediti, hanno obbedito a questo imperativo: di non esistere più come padri. Guai a sculacciare.
In senso molto alto tutto questo è frutto del prevalere di Antigone. Ella è la ragazza in cui a vincere sono le ragioni del cuore, la legge interiore che viene prima di quelle scritte. E perciò si pone contro Creonte, lo zio e re. È figlia di Edipo, Antigone, ma è la prima e unica creatura al mondo a non avere il complesso di Edipo, a non avere il problema del rapporto con il padre.
Queste idee non sono mie, non sono così profondo. Me le affidò in un’intervista per Il Sabato Giacomo B. Contri, certo un genio. Disse – ed era il 1991 –: «Avere il complesso di Edipo vuol dire invece essere strutturalmente figli. Antigone è la prima figura della storia dell’umanità che non è edipicamente centrata sul padre. Antigone non è una figlia!». La “fraternité” della Rivoluzione francese e dell’illuminismo è questa esaltazione dell’essere fratelli, senza che questo sia conseguenza dell’essere figli.
Questo che sembrava nel 1991 un paradosso gustoso, troppo sottile per palesarsi nella vita quotidiana, si manifesta oggi come nichilismo: non importa in alcun modo avere padre o madre, basta esistere. Non è necessario in nessun senso avere un padre, tant’è vero che, come hanno stabilito i giudici di Londra, è legale avere tre genitori, e guai a specificare chi sia padre o madre dei tre.
Insomma, la post-modernità ha portato a compimento nel campo giuridico e dell’ingegneria genetica quello che nella modernità illuminista pareva un dato sentimentale. Chi non ha amato il coraggio di Antigone? Era la pretesa di esistere a prescindere da qualsiasi legame col padre. Il rifiuto della dipendenza originaria. E questo l’ha fatta essere un’eroina criminale. Oggi orribilmente vittoriosa in occidente.
C’è un riflesso sociologico nell’Italia di oggi di questa assenza paterna. L’Istituto Giuseppe Toniolo (che è l’Ente fondatore dell’Università Cattolica) ha pubblicato pochi giorni fa La condizione giovanile in Italia presso il Mulino (19 euro). C’è un capitolo che riguarda “Le figure di riferimento dei giovani in Italia”, curato dalla professoressa Rita Bichi. La domanda, rivolta ad un campione vastissimo di giovani tra i 19 e i 31 anni, era questa: «Se dovessi pensare a una figura di riferimento nella tua vita, quella con cui ti confronti più spesso per parlare di te, chi diresti?». Il padre è indicato da 9 ragazzi su 100. La madre da 33. Se poi si va più nello specifico del sesso e delle differenti appartenenze regionali, viene fuori questo. Che solo 6 giovani donne su 100 indicano il padre. Stupisce la differenza territoriale: chi ha maggior legame con la figura paterna è il ragazzo settentrionale con circa l’11 per cento. Al Centro siamo al 6,5, e al Sud l’8 per cento.
Io dico però questo: sarebbe un guaio dare la colpa alla deriva culturale nichilista. In realtà esiste sì il trascinamento devastante del pensiero collettivo ma c’è la libertà. C’è la possibilità di essere umilmente, poveramente padri. E per i figli di accorgersene.
Renato Farina
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