In questa rubrica vogliamo conoscere più a fondo la Spiritualità Salesiana a partire dagli scritti di don Bosco
L’apostolo san Paolo dice che senza la fede è impossibile piacere a Dio, sine fide impossibile est placere Deo [Eb 11,6]. Noi dunque dobbiamo sempre tenere accesa nel nostro cuore questa fiaccola della fede. Abbiamo bisogno che la fede ci illumini in tutti i passi della nostra vita. La fede deve essere il cibo che ci sostenta nella vita spirituale, secondo quello che dice la sacra Scrittura: iustus ex fide vivit, l’uomo giusto vive di fede. Affinché questa fede che noi abbiamo da Dio ricevuto nel santo battesimo non venga mai meno nel nostro cuore dobbiamo spesso eccitarla. Dobbiamo per ciò fare sovente atti di fede; protestare col cuore che noi crediamo fermamente alle principali verità della cattolica religione e a tutto quello che Dio per mezzo della sua Chiesa volle che ci fosse insegnato. Ciò che noi facciamo recitando la formola dell’atto di fede.
Ma, caro cristiano, la fede non basta per l’eterna salute, ché ci è pur anche necessaria la virtù della speranza, la quale ci faccia abbandonare noi medesimi nelle mani di Dio, come un figlio nelle braccia della tenera madre. Noi abbiamo bisogno di ottenere da Dio molti favori e questi non soglionsi da Dio concedere se noi non li speriamo. Noi abbiamo commesso chi sa quanti peccati; abbiamo perciò bisogno che Dio ci usi misericordia e ce li perdoni. Abbiamo continuamente bisogno dell’aiuto della grazia di Dio per vivere santamente su questa terra. Ora questa misericordia, questo perdono, questo aiuto della sua grazia Iddio non vuole concederlo se non a chi lo spera. Inoltre Iddio tiene preparato nell’altra vita un mare di delizie; ma nessuno potrà giungere a goderlo senza la virtù della speranza.
Per la qual cosa noi dobbiamo fare frequenti atti di questa virtù; ravvivando nel nostro cuore una grande fiducia di tutto ottenere dalla somma bontà di Dio per i meriti del nostro Signore Gesù Cristo. Per risvegliare e mantenere sempre viva in noi questa virtù recitiamo dunque con divozione la formola dell’atto di speranza. Fra tutte le virtù poi la carità è la maggiore e la più eccellente. Senza di essa tutte le altre non potrebbero farci ottenere l’eterna salute. Ma in che consiste questa virtù della carità? Consiste nell’amar Dio sopra tutte le cose ed il prossimo come noi stessi per amor suo. L’amore dunque verso Dio e verso il prossimo deve sempre essere come un fuoco acceso nel nostro cuore. Primieramente noi dobbiamo amare Dio con tutto il cuore perché egli è uno spirito perfettissimo, un essere d’infinita bontà, un bene sommo. Dobbiamo anche amarlo perché egli ci ha colmati d’innumerevoli benefici; ci ha cavati dal nulla col crearci; ci ha fatti nascere nella religione cattolica che è la sola che ci possa condurre al porto della salute. Egli, sebbene da noi tante volte offeso, non ci colpì colla morte come avrebbe potuto fare e come fece a molti altri ai quali dopo il primo peccato non diede più tempo a pentirsi. Egli per nostro amore discese dal cielo in terra fra gli stenti e le pene; per noi soffrì la morte la più dura. Egli per un eccesso d’amore si lasciò per nostro cibo nella santa Eucaristia. Egli infine ci tiene preparato un bel posto in cielo per tutta un’eternità. E chi è mai colui, il quale considerando questi tratti d’amore di Dio verso di noi non si senta ardere il cuore verso Dio?
Ma noi dobbiamo anche amare il prossimo come noi stessi. Tutti gli uomini del mondo sono nostri fratelli, perché figli di uno stesso padre che è Dio. Tutti hanno diritto che noi li amiamo. E Gesù Cristo di ciò fece un espresso comando dicendo; hoc est praeceptum meum ut diligatis invicem [Gv 15,12]: questo io vi comando che vi amiate l’un l’altro. E non solo dobbiamo amare gli amici, ma anche i nemici. Il nostro divin Salvatore ce ne diede l’esempio perdonando e pregando per gli stessi suoi crocifissori. Sia dunque sempre acceso in noi questo fuoco della carità.
Disse un giorno Iddio a Mosè: “Ricordati bene di eseguire gli ordini miei e fa’ ogni cosa secondo il modello che ti ho mostrato sopra la montagna”. Lo stesso dice Iddio ai cristiani. Il modello che ogni cristiano deve copiare è Gesù Cristo. Niuno può vantarsi di appartenere a Gesù Cristo se non si adopera per imitarlo. Perciò nella vita e nelle azioni di un cristiano devonsi trovare la vita e le azioni di Gesù Cristo medesimo.
Il cristiano deve pregare, siccome pregò Gesù Cristo sopra la montagna con raccoglimento, con umiltà, con confidenza.
Il cristiano deve essere accessibile, come lo era Gesù Cristo, ai poveri, agli ignoranti, ai fanciulli. Egli non deve essere orgoglioso, non aver pretensione, non arroganza. Egli si fa tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo. Il cristiano deve trattare col suo prossimo, siccome trattava Gesù Cristo coi suoi seguaci: perciò i suoi trattenimenti devono essere edificanti, caritatevoli, pieni di gravità, di dolcezza e di semplicità.
Il cristiano deve essere umile, siccome fu Gesù Cristo, il quale ginocchioni lavò i piedi ai suoi apostoli e li lavò anche a Giuda, quantunque conoscesse che quel perfido doveva tradirlo. Il vero cristiano si considera come il minore degli altri e come servo di tutti.
Il cristiano deve ubbidire come ubbidì Gesù Cristo, il quale fu sottomesso a Maria e a san Giuseppe, ed ubbidì al suo celeste Padre fino alla morte e alla morte di croce. Il vero cristiano obbedisce ai suoi genitori, ai suoi padroni, ai suoi superiori, perché egli non riconosce in quelli se non Dio medesimo, di cui quelli fanno le veci.
Il vero cristiano nel mangiare e nel bere deve essere come era Gesù Cristo alle nozze di Cana di Galilea e di Betania, cioè sobrio, temperante, attento ai bisogni altrui e più occupato del nutrimento spirituale che delle pietanze di cui nutrisce il suo corpo.
Il buon cristiano deve essere coi suoi amici siccome era Gesù Cristo con san Giovanni e san Lazzaro. Egli li deve amare nel Signore e per amor di Dio; loro confida cordialmente i segreti del suo cuore; e se essi cadono nel male, egli mette in opera ogni sollecitudine per farli ritornare nello stato di grazia.
Il vero cristiano deve soffrire con rassegnazione le privazioni e la povertà come le soffrì Gesù Cristo, il quale non aveva nemmeno un luogo ove appoggiare il suo capo. Egli sa tollerare le contraddizioni e le calunnie, come Gesù Cristo tollerò quelle degli scribi e dei farisei, lasciando a Dio la cura di giustificarlo. Egli sa tollerare gli affronti e gli oltraggi, siccome fece Gesù Cristo allorché gli diedero uno schiaffo, gli sputarono in faccia e lo insultarono in mille guise nel pretorio.
Il vero cristiano deve essere pronto a tollerare le pene di spirito, siccome Gesù Cristo quando fu tradito da uno dei suoi discepoli, rinnegato da un altro ed abbandonato da tutti.
Il buon cristiano deve essere disposto ad accogliere con pazienza ogni persecuzione, ogni malattia ed anche la morte, siccome fece Gesù Cristo, il quale colla testa coronata di pungenti spine, col corpo lacero per le battiture, coi piedi e colle mani trafitte da chiodi, rimise in pace l’anima sua nelle mani del suo celeste Padre.
Di maniera che il vero cristiano deve dire coll’apostolo san Paolo: Non sono io che vivo, ma è Gesù Cristo che vive in me. Chi seguirà Gesù Cristo, secondo il modello quivi descritto, egli è certo di essere un giorno glorificato con Gesù Cristo in cielo e regnare con lui in eterno.
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