Ma perché mai il Signore, prima ti dà una Croce, poi te la toglie, o te l'alleggerisce?
del 01 gennaio 2002
Articolo scritto per il settimanale diocesano e apparso sullo stesso il 7 marzo 1993.
Ogni volta che l'orario mi permette una piccola sosta nella stazione di Firenze, non manco di entrare nella vicina basilica di S. Maria Novella.
E corro subito, sulla sinistra, a inginocchiarmi davanti a un singolare affresco intitolato «Trinità», ma che in effetti riproduce la Crocifissione: con lo Spirito che aleggia facendo splendere il capo del Padre, il quale, sovrastando sul Figlio in Croce, sembra gli protegga le spalle.
L'opera, splendida, è del Masaccio. Ma io corro a contemplarla, non tanto per motivi estetici, quanto perché nella diuturna penombra della Chiesa, al timido guizzare delle fiammelle, mi sento subito immerso nel mistero struggente del Calvario e, soprattutto, perché nell' affresco è riportato un messaggio teologico di grande densità.
Dietro la Croce, infatti, che sembra sollevarsi da terra, Dio Padre, con le braccia distese, sostiene con i suoi polsi non solo il legno, il «dulce lignum», ma anche il carico delle sue ferraglie patibolari, i «dulces clavos», e, soprattutto, il peso del condannato, il «dulce pondus».
Vi assicuro: è una contemplazione che vale la lettura di tutti i quaresimali del Savonarola.
È un «testo» che fa schizzare dal cuore «tuo» fiotti di speranza con la stessa forza con cui, dal costato «suo» schizzano fiotti di sangue, del quale vorresti ubriacarti.
È un invito alla fiducia che parte dal cuore di Dio. Egli alleggerisce sempre le Croci dei suoi figli. Anzi, se ne fa carico totale. E, poi, per farli giungere questi messaggi d'amore, non disdegna di usare, come carta per scrivere, perfino i calcinacci!
Certo il nostro Dio è un Dio che sconcerta. Non allineato con nessuna logica umana. Imprevedibile.
E noi lo avvertiamo, soprattutto quando la vita, prima o poi, ci conduce a dover intrecciare rapporti col dolore, fisico o morale, e con Colui che ne permette il devastante dispiegarsi sulle nostre carni o sulla nostra anima.
Ma perché mai il Signore, prima ti dà una Croce, poi te la toglie, o te l'alleggerisce?
Perché si diverte con noi, con questo stile che non è assolutamente praticato nei nostri giochi di amore terreni?
Perché questo «cuci-scuci» sul panno già sfibrato della nostra povera vita?
È difficile rispondere. L'unica cosa che si può dire (essenziale, però, e appagante) è che il Signore non ci lascia soli nella prova. No! Il suo non è il divertimento di chi prova gusto a vederci dondolare sull' altalena dei dolori. Egli è triste quando noi siamo tristi. Piange quando piangiamo. Non solo accanto al letto delle malattie fisiche che distruggono inesorabilmente il nostro corpo, ma anche al capezzale dei nostri dolori morali: la fuga di una figlia, che è partita in campeggio con compagni sconosciuti, e non è tornata più. L'abbandono della casa nuziale di lui che si è innamorato della sua collega d'ufficio. Il pianto di quei genitori che se ne vanno insieme alloro crepuscolo mentre osservano nei figli il rifiuto di tutti i valori portanti che innervano l'esistenza. L'ombra di un fallimento economico. Il capestro strozzino degli usurai... che stanno alle porte.
Quante croci, di fronte alle quali il volto del Padre si oscura, come se fossero ostacoli ineluttabili anche per lui!
Ma ecco che Egli si muove a compassione di chi lo invoca, e corre a deporlo dalla croce, o a sostenerlo con tutto il suo carico.
Grazie, Trinità Santissima, per questo messaggio di luce, di speranza e di coraggio che ci trasmetti dalle croste di quelle pareti.
Io non so se tornerò più a Firenze, a contemplarti in questo mistero del Tuo «con-soffrire» con gli uomini.
Una cosa è certa: che continuerò a lottare, perché so che alle spalle ci sei Tu e che, quando per me incomberanno le ombre della notte, forse grazie anche all'af fresco del Masaccio, mi addormenterò tranquillo tra le Tue braccia.
don Tonino Bello
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