Forse Gianfranco non ha mai pensato di mettere per iscritto le sue idee sul lavoro educativo con i giovani. Per carattere e formazione era un tipo pratico, che mirava subito agli aspetti concreti per cercare sempre l'intervento più diretto e risolutivo dei bisogni. La pedagogia del quotidiano si costruisce con la presenza, con ogni gesto quotidiano di accoglienza e simpatia. Ogni saluto, ogni parola, anche il sorriso diventa segno consapevole dell'attenzione ai giovani che vanno incontrati con i gesti più che con le parole; pedagogia dell'esempio, del buon esempio.
del 23 aprile 2008
Nel novembre 2007 è morto – all’età di 48 anni – Gianfranco La Rosa, Salesiano Cooperatore, educatore, sposo e papà di tre figli.
Aveva compiuto la sua scelta di campo dopo la laurea in giurisprudenza e l’aver vissuto in un quartiere della periferia di Catania l’esperienza del volontariato e dell’obiezione di coscienza.
Avvicinatosi alla sensibilità e alla spiritualità salesiana, con un gruppo di coetanei, cogliendo l’esigenza di formazione professionale dei giovani di quel quartiere ha promosso nel 1989 la costituzione di un centro di formazione professionale («Oscar Romero»), assumendone la direzione.
Le sue capacità relazionali e gestionali lo hanno portato a incarichi sempre di maggior responsabilità, fino alla ultima nomina a direttore dei servizi di orientamento.
Queste poche righe sono state pensate in suo ricordo, e anche per rendere omaggio, così come egli faceva sempre, a tutti quelli che come lui nel quotidiano si dedicano ai giovani, con passione e fiducia, nel silenzio: lavoratori nascosti e sconosciuti che incontrano migliaia di ragazzi, educatori spesso disconosciuti, ma sempre attivi, la cui presenza è sostenuta più da convinzioni e valori che da soddisfazioni sociali ed economiche.
Forse Gianfranco non ha mai pensato di mettere per iscritto le sue idee sul lavoro educativo con i giovani. Per carattere e formazione era un tipo pratico, che mirava subito agli aspetti concreti per cercare sempre l’intervento più diretto e risolutivo dei bisogni. Praticità però costantemente supportata da una gran mole di lavoro di riflessione, condotta sia a livello interiore (il «ri-pensare» con se stesso) che a livello collettivo e comunitario (il «pensare» insieme agli altri).
La costante e intensa dialettica di azione-riflessione-azione in lui e nei numerosi gruppi con i quali interagiva, riproduceva creativamente un clima fecondo e positivo dove le opinioni e i progetti si confrontavano e generavano.
Questo movimento era supportato da alcune idee generatrici, alimentate da una salda adesione ai principi dell’umanesimo cristiano, che avevano nei concetti di «crescita» e «cambiamento» punti di riferimento costante della prassi pedagogica. Tale prassi poi trovava contorno nella abitudine alla verifica collettiva, intesa non come esclusiva tecnica migliorativa dei risultati, ma come introspezione riflessiva mirante alla rielaborazione personale, alla ricerca motivazionale e significativa.
Questi valori di riferimento e la concreta prassi hanno permesso lo sviluppo di un metodo di lavoro di cui qui espliciteremo – come proposta al lettore – gli elementi più significativi.
 
Punto centrale, snodo determinante per la riflessione e la progettazione educativa della pedagogia del quotidiano, è il concetto di «bisogni educativi della persona».
Questi rappresentano le esigenze evolutive concrete ed oggettive della persona, che si innestano dentro i percorsi relazionali di tipo educativo come forza propulsiva per il cambiamento e la crescita.
Ogni bisogno è rilevato attraverso la partecipazione diretta, prima vissuta e poi studiata, delle condizioni della persona, analizzato con scrupolo secondo il principio della gradualità e in modo diretto, partendo dal dialogo e dal senso di protagonismo individuale: «Ma cosa ti manca?».
I bisogni generano le priorità e tutte le priorità devono essere condivise.
Così altro concetto generatore di metodo e prassi pedagogica è quello di «condivisione»: sempre partecipazione diretta della vita dei giovani (tutti utenti del suo servizio personale) e dei colleghi, perché la condivisione si innesta nel servizio, concepito non come struttura organizzativa ma come scelta di vita centrata sulle persone.
Il bisogno pedagogico diventa quindi un punto di partenza di vita e di lavoro, elemento trasformante per modificare la realtà, punto di partenza per la coscienza personale e collettiva.
E il bisogno riconosciuto (consapevolmente riconosciuto) è il fondamento per la motivazione al cambiamento. Partire dai bisogni, non dalle idee, non dalle opinioni, rilevati con la partecipazione e il coinvolgimento, attivati dalla consapevolezza attraverso il confronto e la riflessione.
 
La partecipazione è presenza educativa, presenza quotidiana, l’essere accanto, il quotidiano essere insieme alle persone, i giovani e gli adulti. E nella presenza si concretizza la fatica quotidiana della cura dei rapporti, nella continua mediazione delle relazioni, nel dipanarsi degli incontri formali ed informali (soprattutto informali) nella fitta trama degli incontri della piazza, del cortile, del corridoio.
L’educatore fa della cura delle relazioni umane l’obiettivo primario del proprio impegno professionale, con una consapevolezza crescente, fatta di chiarezza (poche parole, ma semplici e dirette) e di tolleranza, sempre rispettosissima delle opinioni e delle scelte.
Chiarezza e tolleranza sono i due capisaldi di questo impegno: chiarezza come approfondimento e chiarificazione, lavoro continuo nel capire e nel parlare; tolleranza come accettazione e confronto, ricerca di convergenza e progetti comuni.
Per questa via la cura assume il valore della mediazione e dell’accoglienza. Ciò a partire dai ragazzi cosiddetti difficili alle cui esigenze e richieste d’aiuto bisogna dare risposta con la riflessione e la progettazione, mai con lo scarto e il rifiuto.
 
La pedagogia del quotidiano si costruisce con la presenza, con ogni gesto quotidiano di accoglienza e simpatia. Ogni saluto, ogni parola, anche il sorriso diventa segno consapevole dell’attenzione ai giovani che vanno incontrati con i gesti più che con le parole; pedagogia dell’esempio, del buon esempio.
L’attenzione al quotidiano significa quindi valorizzazione del gesto, come forma rivelatrice della persona, manifestazione dei suoi bisogni. Allora il gesto quotidiano va fatto oggetto di riflessione, mai dato per scontato. Questa prassi si ferma proprio sul quotidiano e lo trasforma in strumento educativo, lo finalizza pedagogicamente (cioè in modo consapevole) verso obiettivi gradualmente evolutivi.
Dentro tale cornice nessuna esclusione è possibile, anche il gesto più disordinato e fastidioso (anche il più violento), trasformato in elemento di riflessione, offre una chiave di lettura per un intervento formativo, fatto di riconoscimento, riflessione e azione, portato avanti con pazienza e caparbietà.
Proprio la pazienza e la caparbietà richiamano l’elemento della fiducia e della speranza, elemento costitutivo di questo tipo di educazione, che guarda sempre il quotidiano nella prospettiva del futuro, concetto attinto dalla spiritualità cristiana e trasformata in atto consapevole di vita: «io ho fiducia».
Il costante richiamo ai valori si innesta quindi nel quotidiano non come etichetta posticcia ed estranea, ma come parte costitutiva dello stare insieme, fatto di memoria e attesa (ricordo del motivo per cui stiamo insieme lavorando per i giovani e fiducia nel fatto che il nostro lavoro produrrà i suoi buoni frutti), consolidato dall’amicizia (conseguenza inevitabile di una siffatta gestione relazionale) che apre alle confidenze e allo scambio solidale.
Questo quotidiano, che è «l’oggi che qui ci fa incontrare», è il campo dove si gioca la partita per costruire la convivenza futura (oggi di giovani inseriti in percorsi di formazione e domani di adulti che lavorano e fanno famiglie e partecipano alla vita sociale), luogo concreto ed eccezionale dell’incontro e dello scambio, ambito di crescita e di lotta, dove l’educatore, adulto consapevole e responsabile, mantiene la funzione del mentore, richiamando ai valori e al futuro, alla speranza e al cambiamento, alla possibilità, insita in ogni esperienza di vita, della ripartenza e del ricominciamento.
 
La spirale evolutiva di partenza e ripartenza, il ciclico richiamo al ricominciamento come esigenza e come dovere, in questa pedagogia del quotidiano, disegna la fenomenologia di un bisogno intimo della persona, perché concretamente innestato sui percorsi della crescita, che di continuo richiedono corsi e ricorsi, cadute e ripensamenti, slanci e rideterminazioni.
La persona, la vita concreta di ogni persona, è fatta di questa necessità ove le strade si intersecano e interrompono, riprendono e poi finiscono, ricominciando sempre in un labirinto di «sentieri interrotti» che l’educatore (anch’egli innestato in tale dinamica) ha il compito di individuare, valorizzare e rendere consapevoli all’intelligenza e alla volontà del giovane che incontra.
Tutto questo postula il «pensare alla grande», richiamarsi ai valori universali che alzano sempre il tiro degli obiettivi, concretamente ancorati al «qui ed ora» del quotidiano, ma direttamente orientati all’altrove e al domani del sociale. La speranza alimenta il quotidiano e «ricominciare» diventa la parola d’ordine di ogni giorno.
 
Allora il fatto formativo, l’incontrarsi quotidiano che scandisce la comune costruzione del rapporto educativo (nella classe, ma anche nel cortile e poi per le strade, le piazze, i bar) diventa il passionale dedicarsi all’uomo, nel quale l’aspetto strettamente istruttivo dell’insegnare e dell’apprendere è occasione strumentale per far transitare valori e significati, i valori dell’uomo (universale richiamo alla giustizia e alla pace) e i significati delle persone (particolare bisogno di motivazione al cambiamento).
Ogni fatto formativo, celebrato come un evento che ricorda e progetta, concentra ogni attenzione sulla consapevolezza personale, sia dei giovani che degli adulti.
Gli adulti, forse più dei giovani, richiedono l’autoformazione continua, necessaria per la consapevolezza e il mantenimento dei progetti, riunioni di aggiornamento e di verifica, giornate intere a sospendere tutto per riflettere e riprogettare, costruire cultura comune, intesa di gruppo, nel grande obiettivo di realizzare, in ogni ambito di lavoro, scuola, sede formativa, oratorio, una comunità educante consapevole ed unita, coerente nei valori e nei linguaggi, aperta ai bisogni e agli eventi trasformativi.
 
Questi sono gli argomenti sui quali si discuteva con Gianfranco La Rosa, pomeriggi e serate passate ad appassionarsi insieme sui temi che riguardano il futuro, i cambiamenti sociali, le rivoluzioni possibili e impossibili, il desiderio di migliorare se stessi e il mondo che ci circonda. Gianfranco, educatore del quotidiano, per molti di noi è stato un mentore, con il compito, non sempre facile, di richiamare il significato del nostro esistere come uomini.
Girolamo Monaco
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