Il laboratorio 'Una preghiera da Dio' del Meeting 'Triennio e oltre' vuole indicare la preghiera come luogo principale in cui lasciarsi educare da Dio e cercare di educare alla maniera di Dio.
del 20 maggio 2008
Durante il nostro incontro siamo partiti dal riflettere su cosa vuol dire preghiera per ciascuno di noi, cercando di restare agganciati all’esperienza concreta di ognuno. Alla fine abbiamo considerato che pregare significa molto semplicemente vivere e respirare al ritmo della grazia, facendo alcuni passi di approfondimento dentro questo tema.
 
 
Il primo gradino: l’Umiltà
 
Un passo guida: Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: 'Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.  Luca 10, 21
 
Gesù esulta di gioia per la scelta degli umili e così ci rivela che cos’è per Lui la preghiera: è la gioia di un cuore umile, che riceve la preghiera come dono.
Gesù si è lasciato educare dal Padre. Di tutta la sua infanzia, adolescenza, giovinezza i Vangeli ci dicono solo questo: Gesù cresceva in età, sapienza e grazia e stava sottomesso ai suoi genitori. Non sono forse questi i verbi di ogni esperienza educativa?
 
Concretamente:
·        Avere l’umiltà di chiedere  il dono della preghiera: non è anzitutto un impegno mio, è un legame che Dio ha già stretto con me. Ricordarlo spesso mi fa del bene.
 
·        Avere l’umiltà di cominciare dalle piccole cose, dai piccoli passi: un tempo di preghiera quotidiana fisso – anche breve – al quale rimanere fedele, un luogo adatto, una posizione del corpo che mi aiuta, l’ascolto semplice di una pagina del Vangelo.
 
·        Avere l’umiltà di sapere che anche con tutti questi passi la preghiera vera mi aspetta più lontano: avere la capacità di non essere schiavi dei nostri propositi, che pian piano possono sostituirsi a Dio
 
 
Il secondo gradino: il Grido
 
Due passi guida: Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: 'Ecco, chiama Elia!'. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: 'Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce'. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Marco 15, 34-37
 
«Gridare è un’attività profondamente umana: è stata la prima che abbiamo imparato appena venuti al mondo. I nostri polmoni erano ancora chiusi e, al primo contatto con l’aria, appena usciti dal grembo materno, rischiavamo di soffocare. A quel punto abbiamo gridato, inventato il grido. Era un grido vitale, che ci salvava la vita: infatti, nel gridare la nostra disperazione, abbiamo aperto i polmoni permettendo così all’aria di irrompervi. È stato il grido delle nostre origini, che ci ha salvato dalla morte e ci ha dato la vita».
 
«Nasciamo in un grido, viviamo anche gridando, anche se spesso in modo inconscio. Gesù morì gridando: “Gridò a gran voce”. Gridò di fronte al Padre il suo dolore mortale, ma anche il suo amore e il suo abbandono: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. La sua morte fu un appello di angoscia e di fiducia insieme, un’autentica preghiera. Fu anche una pentecoste, come suggerisce Giovanni che usa “effuse lo spirito” in un duplice significato: rendere l’ultimo respiro e, nel contempo, donare lo Spirito ai discepoli. L’ultimo grido di Gesù è stato la sorgente di ogni preghiera».
 
Siamo al vertice della preghiera: lasciarsi fare da Dio. Questo significa lasciarsi “educare” da Dio: lasciare che sia Lui a portare alla luce tutta la bellezza e la vita che abitano nel nostro cuore, nel profondo della nostra persona.
 
Concretamente:
·        Aggrapparmi a Dio proprio quando mi sembra assurdo, quando lo sento lontano quando pregare è una noia, quando tutto mi direbbe  di lasciar perdere, che ho diritto di essere arrabbiato con Lui o deluso. Rimanere fedeli alla preghiera anche se non dà gusto. Dietro questo angolo si trova la porta della vera preghiera.
 
·        Lasciare che la mia preghiera sia il mio grido, smettendo di pensare che Dio voglia sentirsi dire altro.
 
·        Cominciare a prestare ascolto alle grida di chi mi sta vicino e farlo proprio quando non mi sembra di sentire nulla oltre al mio grido. È l’unico modo per aprire il cuore alla speranza, perché mi costringe a uscire da me stesso.
 
 
Il terzo gradino: lo Spirito e la comunione
 
«Attraverso tutte queste grida, riesco a penetrare fino al grido più fondamentale in me, il grido che ancora non ho mai saputo ascoltare bene, quello dello Spirito Santo: “Abbà Padre!”. S.Paolo lo dice esplicitamente: in fondo al mio cuore lo Spirito di Dio, che è anche lo Spirito di Gesù, grida incessantemente: “Abbà Padre”. Questo grido dello Spirito diventerà poco alla volta il mio grido personale: è la prova che sono veramente diventato figlio di Dio. Ho il diritto di farlo mio; mi è dato di balbettare con il Figlio: “Abbà Padre!” da qualche aperte nel cuore di Dio. La preghiera è forse altro da questa tentazione di unirci allo Spirito e di lasciar sgorgare incessantemente il suo mormorio in noi?»
 
 
Concretamente:
·        Sperimentiamo ora insieme un momento di preghiera: l’unico modo per imparare a pregare è pregare.  Questa è la scoperta più bella: ciò che è più propriamente mio è qualcosa, meglio, Qualcuno, che mi  lega agli altri nella comunione più intensa possibile: è lo Spirito che abita in noi. E che è sempre e solo Spirito di comunione!
L’unica verifica della preghiera è allora la dolcezza o durezza del mio cuore (S.Francesco di Sales, don Bosco).
 
·        In un momento personale mi chiedo davanti al Signore: qual è il grido di gioia più grande che ho sperimentato finora nella mia vita? Qual è il grido (situazioni difficili, aspetti di me che non accetto – corpo, carattere, situazione sociale… - problemi di affetti e/o con persone, ecc…) che mi porto dentro e che rimane ancora soffocato? Chi è Dio per me in queste situazioni?
 
N.B.: le citazioni riportate sono tratte da: A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, Ed. Qiqajon. 
don Stefano Mazzer
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