Il Professor Ratzinger ci aveva accolti con la ben nota gentilezza nella sua casetta dove abitava con la sorella Maria, nei pressi di Regensburg. La casetta avrebbe potuto ospitare una famiglia di quattro o cinque persone...
Il Professor Ratzinger ci aveva accolti con la ben nota gentilezza nella sua casetta dove abitava con la sorella Maria, nei pressi di Regensburg. La casetta avrebbe potuto ospitare una famiglia di quattro o cinque persone. Era nuova, in mezzo a tante altre simili. Ma il professore ne era particolarmente fiero perché l'aveva potuta acquistare grazie ai diritti d'autore del suo best seller Introduzione al cristianesimo, tradotto in molte lingue e pubblicato in Italia dalla Queriniana, cioè da Padre Rosino Gibellini e da chi scrive, che stava lasciando l'attività editoriale.
Ci accoglieva dunque come i suoi giovani editori di lingua italiana, che l'avevano inserito fra i primi titoli della già prestigiosa collana Biblioteca di teologia contemporanea.
Questa volta gli portavamo l'edizione italiana di un suo nuovo volume. Comprensibile la sua soddisfazione e la cordialità della sua accoglienza. Ci volle suoi ospiti, facendoci trovare a nostro agio, intrattenendosi in una prolungata e confidenziale conversazione, dopo la cena, servita con semplice signorilità dalla sorella.
Dopo gli anni fecondi, ma turbolenti di Tubinga, stava trascorrendo anni più sereni nella tranquilla università di Regensburg, ma non lasciava mancare la sua voce nell'acceso dibattito, che infuocava gli animi della chiesa e della società tedesca.
Al mattino, prima di lasciarci, ci invitò a firmare il libro degli ospiti. Ebbi l'impressione che non fossero molti, confermando la convinzione che la sua fosse una vita riservata, dedicata soprattutto agli studi.
Quando ho avuto l'occasione di incontrarlo altre volte, ricordava immancabilmente sorridendo il gradito augurio "Ad multos libros", lasciato scritto sul suo libro.
Ma io portavo con me soprattutto il ricordo del suo studio, che aveva poco dello studio tradizionale. Era una stanza rettangolare lunga e stretta, dove era posto un tavolo lungo e stretto, che serviva come scrivania. Davanti al tavolo, appeso alla parete, dominava un enorme dolcissimo crocefisso a grandezza naturale, davanti al quale il Professore studiava, rifletteva e scriveva.
Quel crocefisso, dopo alcuni decenni, mi apparve improvvisamente sotto nuova luce, quando, lo scorso anno, all'annuncio della sua irrevocabile e clamorosa decisione di lasciare il soglio di Pietro, qualcuno commentò sbrigativamente, con saccente superficialità, il suo gesto: "Non si scende dalla croce".
Non so se il Professore sia mai salito sulla croce, ma sono certo che non abbia desiderato salire su quella "croce" del comando sulla quale tanti desiderano salire e pochi discendere.
Non ha avuto una vita facile: già allora egli stava sotto la croce degli attacchi di chi lo vedeva dalla parte della restaurazione e guardiano intransigente dell'ortodossia.
Indipendentemente dal giudizio che si vuol dare delle sue posizioni, bisogna riconoscere che le sue non erano le più facili, né le più diffuse, né le più popolari.
I tempi erano violenti e gli animi infiammati: chi non era d'accordo, non poteva aspettarsi sempre rispetto e dialogo civile.
Ma lui continuò fermo e mite. Tentò di spiegare, di farsi capire, di convincere, di intervenire, ma trovò che le sue parole e le sue misure erano deboli. Era consapevole che la sua persona portava con sé le tensioni del passato, con le contrapposizioni difficilmente cancellabili.
Quando scelse di far tacere le parole, il suo silenzio scosse il mondo.
E quando l'elicottero si alzò per portarlo verso Castelgandolfo sentii, che stava conquistando i cuori: "Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me".
Il Professore stava salendo sulla cattedra credibile ed eloquente dell'umiltà. Chissà, pensavo, se avrà portato con sé quel suo bel crocefisso bavarese!
Certamente stava portando con sé la sua serenità, regalando al mondo la sua lezione più bella.
Piergiordano Cabra
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