Bebe correva e tirava di scherma, rideva e non si perdeva un'uscita scout. Esattamente come oggi, l'entusiasmo al posto degli arti. S'è guardata i Giochi alla tv, la scout Beatrice: non voleva perdersi una gara. Quella gara.
La camicia azzurra è quasi una predizione. E il fazzolettone al collo le cade come una medaglia. S’è guardata i Giochi alla tv, la scout Beatrice: non voleva perdersi una gara. Quella gara. E lì al campo estivo ha tirato fuori dallo zaino la sua nuova dotazione, sistemata accanto al sacco a pelo e alla gavetta, in lega d’alluminio. La sua dotazione è in lega di carbonio: lei l’ha portata per sciogliere l’ultimo nodo: lei che di nodi, da brava scout, s’intende a meraviglia. Nonostante che a Beatrice Vio, detta Bebe, 15 anni, di Mogliano Veneto, la vita ne abbia ingarbugliato uno da stringere il cuore. E da restringere l’orizzonte. Bebe correva e tirava di scherma, come il suo idolo Vezzali; rideva e non si perdeva un’uscita scout. Fino a quattro anni fa, quando la meningite le ha portato via tutti gli arti: l’amputazione come unica soluzione. Solo lei non ha mollato e anzi ha addentato quel nodo fino a liberarsi della disperazione, ché Bebe oggi ancora corre e tira di scherma (ha appena conquistato l’argento, in Coppa del mondo, a Varsavia), ride e non si perde un campo scout.
LA PASSIONE FA LA FORZA. C’è una foto di Bebe Vio, del 2009, che sembra un’epifania. È stata scattata a Mestre: c’è lei, sulla carrozzina, che posa l’avambraccio destro, pure quello una protesi, sulla spalla di chi è accovacciato al suo fianco: un ragazzone che col pollice della mano garantisce che tutto è ok. Di più, che tutto sarà ok: perché gesto e foto non hanno nulla di consolatorio, non sono lì a sostenere il morale. Basta scrutare i loro occhi, quelli di Bebe e del ragazzo che un poco le somiglia, quasi fosse un “fratello maggiore”: guardano avanti, oltre l’obiettivo. E sorridono a un futuro che sanno vedere solo loro. Perché il ragazzo accovacciato accanto a Bebe, quel pomeriggio del 2009, ha pure lui le protesi agli arti inferiori. Si chiama Oscar, Oscar Pistorius, e di lì a tre anni – passando per il mondiale dell’anno scorso – arriverà, è arrivato, a compiere il giro di pista alle Olimpiadi di Londra: «Se penso dove sono, piango». A far compiere il giro del mondo alla sua storia. E a dirci, in pratica, che «gli uomini falliscono non per mancanza di intelligenza ma per mancanza di passione. Gli entusiastici sono dei lottatori. Hanno la forza della fermezza». No, questa non è di Pistorius, anche se lui sa indossare la frase come pochi. È, nientemeno che, di Luigi Einaudi. Cosa c’entra? Be’, l’ha inviata lo scorso marzo un lettore al Corriere.it per rispondere a un appello di Bebe che, dopo aver esordito con un «Ciao mondo» – quello che il suo amico Oscar ha colpito al cuore – e aver spiegato di sentirsi «una ragazzina fortunata », chiedeva un sostegno per poter partecipare, in qualità di tedofora (troppo pochi i suoi 15 anni per gareggiare), ai Giochi Paralimpici di Londra che apriranno i battenti fra due settimane.
QUELLA FOTO GIÀ PARLAVA. Desiderio esaudito. Lei ci sarà, ancora non sa se in carrozzina o con ai piedi i cheetah, i “ghepardi” di Oscar: le leve di carbonio che Bebe, su consiglio del “fratello maggiore”, ha provato sulla pista di Trieste, sotto gli occhi del tecnico dell’atletica paralimpica azzurra. Quei “ghepardi” che ha portato con sé al campo scout per testarli in vista di Londra e che userà un giorno in gara, dal momento che è stata convocata dal c.t. per uno stage. «Obiettivo Rio 2016», ha spiegato lei: «Dove vorrei gareggiare sia nella scherma sia nell’atletica». Un condizionale che aveva già il futuro negli occhi di Bebe, in quella foto con Pistorius. Il 29 agosto i due si ritroveranno ai loro Giochi. Lui, di ritorno da «un’esperienza sconvolgente» vissuta in quello stesso stadio, per difendere i tre ori di Pechino; lei, pronta a ripercorrere il suo sentiero, tenendo acceso, di qui a Rio e chissà fin dove ancora, il fuoco che ha dentro. E che porterà, in forma di fiaccola, per le vie di Londra, da “futura paralimpica”, come reciterà l’accredito al collo: lì, dove oggi tiene il fazzolettone scout e domani, c’è da scommetterlo, appenderà una medaglia. Ancora Einaudi: «L’entusiasmo è la scintilla del vostro sguardo, lo slancio della vostra andatura, la forza nella vostra mano, l’irresistibile esplosione della vostra volontà». E non c’è altro da aggiungere.
Cesare Fiumi
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