Salvatore Crisafulli è tuttora paralizzato e comunica solo con gli occhi: spero che tutti i malati, anche gravi, possano continuare a ricevere l'assistenza che serve loro
del 20 ottobre 2006
Desideravo tanto vedere il Papa per raccontargli quello che ho passato e per dirgli che sono contrario all'eutanasia e che lotterò per la vita finché avrò forza». Salvatore Crisafulli, 41 anni, di Catania, ha realizzato ieri il suo sogno di incontrare il Santo Padre. E stato infatti ricevuto durante l'udienza del mercoledì. Ma non ha potuto riferirgli il suo messaggio di persona, bensì attraverso il fratello Pietro. Salvatore, infatti, da tre anni è completamente paralizzato e non può parlare. Riesce a comunicare con 1' esterno soltanto grazie a un computer, selezionando con gli occhi le lettere da uno schermo. «Ho anche scritto una lettera a Piergiorgio Welby per chiedergli di non desiderare la morte - ha detto Salvatore prima di partire per Roma insieme alla sua famiglia, venti persone in tutto -. Ho ascoltato in tv il suo appello per l'eutanasia e sono rimasto molto colpito. Gli ho scritto per dirgli che capisco quello che prova, perché anche io sono come lui, ma che deve farsi forza e lottare fino in fondo per la vita, non per la morte».
«Anche io come Piergiorgio Welby ho sofferto e continuo a soffrire molto. Dipendo completamente dai miei familiari, vivo tra il letto e la carrozzella - ha continuato Salvatore Crisafulli -. Ma questo non mi impedisce di continuare a sperare. E poi adesso vorrei tanto aiutare le persone che come me sono completamente paralizzate, ma che sono senza assistenza, abbandonate esclusivamente alle cure dei familiari. Vorrei che tutti capissero che anche loro hanno diritto a una vita dignitosa». Salvatore Crisafulli la sua battaglia per una vita migliore l'ha vinta un anno fa, quando, dopo diciannove mesi trascorsi in un letto, senza altre cure se non quelle della madre e dei fratelli, è riuscito a dimostrare ai medici che era cosciente e che, forse, con le cure adeguate la sua situazione clinica poteva migliorare. «Dicevano che ero in stato vegetativo permanente, come Terry Schiavo, quella donna americana alla quale è stata staccata la spina - ha raccontato Salvatore -. Io ero sdraiato sul letto a casa di mio fratello Pietro, in Toscana, e guardavo le sue immagini in televisione. Sentivo i genitori che dicevano che era cosciente e i medici ribadire che i suoi gesti erano involontari. Mi sembrava di rivivere la mia storia». Una terribile vicenda quella di Salvatore Crisafulli, iniziata con un incidente stradale a Catania, l' 11 settembre 2003. Crisafulli stava accompagnando in motorino il figlio Antonio, di 13 anni, a scuola, quando andò a finire contro il furgone di un gelataio, che gli aveva tagliato la strada. «Di quel giorno non ricordo niente - dice oggi -. So soltanto che cinque mesi dopo mi sono svegliato in un letto, a casa di mio fratello Pietro in Toscana». Per quasi un anno e mezzo Salvatore Crisafulli è rimasto senza cure. I medici sostenevano che era in stato . vegetativo permanente e che per lui non c'era niente da fare. «Ma io capivo tutto - racconta -. Li sentivo mentre dicevano che sarei morto. Solo che non potevo muovermi, non potevo parlare. L'unica cosa che potevo fare era aprire e chiudere gli occhi per attirare la loro attenzione. Ma era inutile». Finché la madre, osservandolo, non ha scoperto che il figlio era cosciente. «Un giorno sono entrati nella mia stanza mia madre e i miei fratelli - spiega Salvatore - e mi hanno chiesto di aprire e chiudere gli occhi su comando. Mi dicevano: «Salvatore, se ci senti apri gli occhi». E io lo facevo. Dopo un po' si sono messi a piangere. E io con loro. Speravo che adesso che sapevano che c'ero, i medici mi avrebbero curato. Ma non è andata così». Da quel momento è passato un anno prima che Salvatore venisse ricoverato. A un certo punto, il fratello Pietro, che per assisterlo aveva perso il lavoro, stremato dalla povertà e dalle sue richieste di aiuto inascoltate, è arrivato persino a minacciare di ucciderlo. «Diceva che voleva staccarmi la spina, ma io lo sapevo che dentro di sé non pensava sul serio di farlo - dice Salvatore -. Le sue minacce, però, hanno fatto sì che intervenisse il ministro della Salute in persona». Nel luglio del 2005 dopo solo due mesi dal ricovero presso l'ospedale San Donato di Arezzo, Salvatore Crisafulli è stato riconosciuto cosciente. «Mi hanno insegnato a scrivere su un computer selezionando le lettere con gli occhi, grazie a dei sensori, e adesso riesco a comunicare con la mia famiglia - dice oggi -. Quello che mi è successo è stato terribile. Oggi sto meglio, riesco persino a muovere il braccio destro». I suoi fratelli sperano che, curandosi, un giorno Salvatore potrà stare da solo su una carrozzella. Lui desidera di più: «Voglio che le persone come me ricevano le cure adeguate. E che nessuno più arrivi a desiderare l'eutanasia».
 
Tamara Ferrari
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