Secondo Pietro Stella, per Don Bosco, soprattutto a cominciare dagli anni '60, «agire secondo i bisogni dei tempi, [ ... ] si traduce in orientamento massiccio verso gli internati». In questo modo l'istituzione di Don Bosco, «attestandosi tra gli istituti educativi specialisti nell'educazione di collegio in un momento in cui questo genere di opere era richiesto dall'ambiente, si garantiva un maggior sviluppo, un più lungo raggio d'azione, un punto d'appoggio più solido, che aveva minori esigenze creative che non gli oratori festivi, un maggior numero di vivai dai quali trarre nuove leve per alimentare la famiglia degli educatori».
Ma l'orientamento in questo senso e per analoghe esigenze sembra determinarsi già prima e quasi parallelamente allo sviluppo degli oratori per gli esterni, con la costituzione a Torino della «Casa annessa», che finirà con l'accaparrarsi il titolo «Oratorio» per antonomasia. Non vi sono estranee esigenze del «Sistema preventivo» portato alle logiche conseguenze, quale sistema di immunizzazione morale, di protezione e di «educazione totale». In questo senso sembra doversi accettare nella sostanza l'affermazione di P. Stella: «Don Bosco, specialmente dopo l'organizzazione della casa annessa, pensa prevalentemente o addirittura esclusivamente a comunità collegiali e ai Salesiani come educatori di collegi»; aggiungendo, però, che la gamma delle «Opere» rimane aperta a differenti possibilità.
C. Danna, che nel luglio del1849 riferisce sul <<Giornale della Società d'Istruzione e d'Educazione» su opere scolastiche e educative torinesi, vede abbinate con naturalezza nell'originario nucleo di Valdocco ambedue le espressioni primarie di aiuto di Don Bosco ai giovani meno favoriti: <<la scuola domenicale» o oratorio e <<1' ospizio» (che si tramuterà gradualmente, ma rapidamente, in internato, per artigiani e studenti).
Questo processo si accelererà a partire dal1860, per cause antiche e nuove, sinteticamente illustrate da P. Stella: le opportunità educative della scuola privata create dalla legge Casati (12 novembre 1859), la nuova situazione dei seminari vescovili di fronte alle richieste dello Stato, gli spazi educativi offerti dai collegi-convitti, governativi e municipali; da parte di Don Bosco, la spinta ad estendere la sua azione al di fuori di Torino e a occupare in istituzioni proprie quanti stavano aderendo alla nascente sua Società religiosa, in favore di più larghi e articolati ceti di giovani, <<bisognosi» culturalmente, professionalmente e moralmente, se non sempre economicamente.
In connessione con questo fenomeno degli anni '60 è importante quanto afferma ancora P. Stella a proposito dell'evoluzione che si determina nell'interpretazione pratica e teorica del <<sistema educativo» di Don Bosco e che viene rispecchiato in alcune espressioni letterarie. <<Riproducono esperienze di collegi e ad essi si riferiscono le biografie di Magone (1861) e di Besucco (1864), il romanzo a sfondo storico Valentino o la vocazione impedita (1866), i Ricordi per le vacanze (1872); molte cose da lui dette allora ai giovani e ai Salesiani non le avrebbe dette in altre circostanze, né sono in tutto applicabili ad altri tipi di esperienze educative; molti principi religiosi sono propriamente formulati per collegiali ospiti dell'istituto o in vacanza presso i familiari».
È ovvio, quindi, che in questa prospettiva, attenzione particolare merita il Valentino, scritto chiaramente a tesi, che si pone quasi al vertice di questo primo sviluppo «collegiale», il cui significato è accresciuto dalla centralità che vi ha un tema capitale per Don Bosco: la «vocazione»
ecclesiastica e religiosa.
Esso è di sicura autenticità, comunque si debba pensare della derivazione letteraria e delle dipendenze. Esce stampato nelle «Letture Cattoliche» nel dicembre 1866, firmato da Don Bosco. Ma lo stampato è preceduto da un manoscritto interamente autografo di Don Bosco, che vi apporta moltissime correzioni e aggiunte. Invece, le varianti tra l'ultima mano del manoscritto superstite e lo stampato appaiono irrilevanti.
Per questo l'edizione genetico-critica del testo fu ritenuta estremamente utile, se non indispensabile, per cogliere alcuni aspetti della concezione religiosa e pedagogica di Don Bosco in un momento significativo della sua evoluzione spirituale.
Per la comprensione di tale lavoro e del significato storico della breve, ma densa, composizione, si toccheranno nell'introduzione i seguenti
punti:
1. Elementi del divenire dell'opera di Don Bosco, che preparano l'emergere delle tematiche religiose, culturali, vocazionali, pedagogiche
contenute nel testo.
2. ll primo divenire delle idee religiose e educative di Don Bosco riecheggiate nel Valentino.
3. Presentazione del manoscritto e del testo a stampa e indicazione
dei criteri di edizione.
4. Analisi del testo in rapporto alle fonti e alle varianti.
5. Individuazione di tipici stili di comportamento emergenti dal profilo dei «personaggi del dramma>>.
6. Sintesi dei contenuti ideali più significativi.
1. Elementi del divenire dell'opera di Don Bosco prima del «Valentino>>
Si accenna a tre serie di fatti, che riguardano rispettivamente il sistema scolastico, il problema vocazionale, il fenomeno dei collegi e dei piccoli seminari.
A partire dalla legge Bon-Compagni del4 ottobre 1848 alla legge Casati del12 novembre 1859 si ha in Piemonte e, dal1860, nelle regioni italiane annesse e costituenti, dal 1861, il regno d'Italia, una progressiva «laicizzazione» della scuola pubblica, 10 tra l'altro «proscrivendo ogni cura e ingerenza dei Vescovi dagli istituti di educazione ed insegnamento».
In questo modo vengono a contrapporsi in misura crescente due sistemi scolastici di ineguale consistenza giuridica ed economica; parallelamente si costituisce una duplice categoria di convitti, nazionali e laici da una parte, e confessionali dall'altra, che si può veder in qualche modo adombrata nei due diversi «collegi» frequentati da Valentino.
Don Bosco avverte il problema, 13 preoccupato inoltre dagli incombenti pericoli morali a cui sono esposti i giovani nelle vie e nelle piazze della città. Di tali preoccupazioni morali si trova chiara eco nella biografia di Domenico Savio (1859), rimasto all'Oratorio dalla fine del1854 agli inizi del 1857, allievo delle classi esterne di latinità del prof. Giuseppe Bonzanino. «L'andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che da' villaggi vengono nelle grandi città, pel nostro Domenico fu un vero esercizio di virtù. Costante nell'eseguire gli ordini de' suoi superiori, andava a scuola, ritornava a casa, senza neppure dare un'occhiata o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse. Se avesse veduto alcuno a fermarsi, correre, saltellare, tirar pietre, o andar a passare in luoghi non permessi; egli tosto da costui si allontanava».
Egli, che ad iniziare dal1847 va lentamente affiancando all'oratorio festivo un "Ospizio" per giovani che lavorano nelle botteghe artigiane della capitale o di studenti che frequentano scuole private o quelle del seminario diocesano, sente ben presto l'urgenza di dare <<ricovero» completo ai giovani all'interno di locali ed edifici acquistati o costruiti.
Procede di pari passo la riduzione ad internato sia dei laboratori che delle cinque classi del ginnasio. Dal 1853 al 1856 vengono allestiti i laboratori interni dei sarti, dei calzolai, dei legatari di libri, dei falegnami e "minusieri"; nel 1861/62 verrà la tipografia, suggerita da Rosmini e con lui discussa già nel 1853/ 54; ancora nel 1862 sarà la volta dei fabbroferrai e nel 1864 della libreria. Parallelamente negli anni 1855-57 saranno messe in opera le prime tre classi del ginnasio, poi nel 1858-1859 la
quarta e nel 1859-1860 la quinta.
A Don Bosco è pure presente fin dagli inizi il problema delle vocazioni sacerdotali e religiose. Al sacerdote genovese, Giuseppe Frassinetti, che alla fine del 1866 intende coinvolgerlo in un piano in favore di giovani poveri desiderosi di intraprendere gli studi ecclesiastici, egli risponde: <<Ottimo pensiero promuovere il suo progetto: questo è quanto desidero e promuovo nella mia pochezza dall'età di dodici anni. Io me le presterò con quattro mani».
In realtà egli ospita ecclesiastici o chierici o giovani avviati alla carriera ecclesiastica fin dai primordi dell'ospizio.
Egli vive con angoscia - ma anche con estremo realismo - le esigenze eli formazione dei giovani inclini alla carriera sacerdotale e le richieste governative sempre più insistenti circa il regime scolastico e le condizioni igieniche e «morali» dei «seminari», che tante preoccupazioni e proteste suscitano nei vescovi italiani.
I problemi si acuiscono con le ripetute ispezioni alle incipienti scuole eli Torino-Valdocco a partire dal 1860 e le difficoltà sollevate dal Provveditore eli Alessandria a proposito del collegio-convitto o «piccolo seminario» attivato nel 1863 a Mirabello Monferrato.
L'interesse vocazionale si specifica ulteriormente man mano che si fa più chiaro e concreto il progetto di una Società di sacerdoti e eli laici, uniti dal vincolo della carità e dai voti religiosi, consacrati alla missione giovanile. Gli anni che precedono la composizione del Valentino segnano tappe decisive in questa direzione: nel 1854 Don Bosco prospetta a un primo gruppo eli chierici e di giovani il nome di Salesiani; nel 1858 a Roma parla a Pio IX eli un primo abbozzo eli Costituzioni; nel1862 si professano i primi voti religiosi temporanei; nel 1864 la Congregazione dei Vescovi e Regolari emana il «decretum laudis>>; nel 1865 si emettono i primi voti perpetui e nel1868 la Società Salesiana è approvata come cliocesana dal vescovo eli Casale Monferrato.
In questa prospettiva la sezione studenti dell'oratorio eli Torino che già ospita seminaristi di varie diocesi, in particolare di Torino e di Asti - si avvierà a diventare sempre più decisamente comunità formativa di incipienti vocazioni ecclesiastiche e religiose. Non è solo una scappatoia legale quella che adotta Don Bosco, quando scrivendo al Provveditore agli studi e al ministro della P.I. informa di aver iniziato un ginnasio o "piccolo seminario" .
2. Il primo divenire delle idee religioso-educative di Don Bosco prima del «Valentino»
Lo sviluppo delle istituzioni comporta necessariamente cambiamenti nello stile educativo. Il «sistema», che Don Bosco denominerà più tardi «preventivo», non è primariamente una teoria, un insieme sistematico di concetti, che si libra immobile al disopra. della realtà cangiante, ma è esperienza teorico-pratica vitale, che aderisce strettamente alla storia, rispecchiandone le differenti condizioni e mutazioni.
Già il «Cronista» del «Giornale d'Istruzione e d'Educazione» aveva notato con perspicacia un sottile differenza di fini e di metodi tra i due spazi educativi rappresentati dall'oratorio festivo e dall'ospizio: in quest'ultimo si poteva accudire «con maggior sicurezza l'educazione della mente e del cuore».
In realtà i documenti pedagogici di Don Bosco elaborati in questo periodo o ad esso riferiti anche se ricostruiti successivamente, rivelano fondamenti comuni e differenze dovute a destinatari e a situazioni diverse.
Si sa che nella primavera del 1854 Don Bosco ebbe un colloquio con il ministro degli Interni dello Stato Sardo, Urbano Rattazzi, sul sistema da lui seguito nella educazione della gioventù. È difficile, ma possibile determinare il nucleo delle idee allora illustrate, anche se la prima testimonianza sarà resa pubblica soltanto nel fascicolo del dicembre 1882 del Bollettino Salesiano.
Don Bosco tiene presenti non le sue istituzioni (l'oratorio, l'ospizio), ma ambienti educativi disparati: gli «<stituti penali», le «pubbliche scuole» e le «case di educazione» (e cioè, i collegi governativi). Egli, perciò, non entra in minute casistiche preventive e protettive, ma si limita semplicemente a indicare il triplice «fondamento» del sistema: timor di Dio, «l'amabile aspetto della religione», le «Conversazioni( ... ) di un amico dell'anima» - «l'assistenza amorevole» e la «benevolenza>> - la ragione, «gli opportuni e benevoli avvisi», i «Sani consigli».
Ad una visuale aperta, non legata alle istituzioni di Don Bosco, si ispira pure il dialogo tra lui e l'insegnante elementare Francesco Bodrato avvenuto dieci anni dopo. 26 La redazione risale agli anni 1881!82, marispecchia una visione del «Sistema preventivo» più arcaica di quella riferita al1854 nella Storia dell'Oratorio di Don Giovanni Bonetti, pubblicata nel BS del1882 . Anche qui vengono richiamati i «fondamenti»: Religione e Ragione, «molle - come afferma Don Bosco - di tutto il mio sistema educativo», arricchiti al termine dal riferimento all'amore: «quando i giovani vengono ad essere persuasi che chi li dirige ama sinceramente il vero loro bene basterà ben sovente ad efficace castigo dei ricalcitranti, un contegno più riserbato, che ne addimostri l'interno dispiacere di vedersi mal corrisposto nelle paterne sue cure»
Rimangono assenti tutte le indicazioni pertinenti a una vita specificamente oratoriana o collegiale.
Invece, decisamente più articolati e particolareggiati, attenti alle situazioni di pericolo e di impegno quotidiano, risultano i documenti storici e «programmatici» costituiti dalle tre classiche biografie di Domenico Savio (1859), Michele Magone (1861) e Francesco Besucco (1864). Esse veicolano una precisa «pedagogia spirituale» da internato con marcato indirizzo «Seminaristico». Il fondamento religioso e morale si intensifica e si specifica. Viene richiamata la completa gamma della pietà giovanile: la preghiera, la divozione alla Vergine Madre, la frequenza dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. Si precisano i mezzi per conservare la purità o castità, tra cui evitare le cattive letture e fuggire i cattivi compagni. È insistente il richiamo all'adempimento dei «doveri» dello studio e del lavoro, non disgiunto dal precetto dell'<<allegria».
In quest'ottica rientra l'opera di Claude Arvisenet, La guida della gioventù nelle vie della salute, che Don Bosco conosce e inserisce nella
collezione delle Letture Cattoliche.
Essa presenta titoli significativi: XIX. Della lettura dei libri di pietà; XX. Della lettura dei libri cattivi («state in guardia contro l'antico serpente», «fuggite, fuggite i cattivi libri, come il peggior serpente»); XXII. Della divozione alla SS. Vergine Madre di Dio («essa è vostra tenera madre, e vi ama più di quanto si possa dire, né vi abbandonerà giammai quando ricorrerete a lei»); XXVI. Dei cattivi compagni; XXVII. Dell'ozio («ho dunque detto che l'ozio è il padre di tutti i vizi, e di più la sorgente di mille tentazioni, di mille cattivi pensieri»); XXVIII. Della castità; XXIX. Del timor del Signore; XXXV.
Del disprezzo di ogni piacere terreno.
Sono motivi ricorrenti negli indirizzi pratici di «governo» giovanile adottati da Don Bosco in questi anni. Si accenna semplicemente ad alcuni interventi.
Nel settembre del1856 per garantirsi una vigilanza indiretta sulle vacanze degli alunni egli li muniva di questa lettera da consegnare ai rispettivi parroci: «Raccomandiamo rispettosamente questo nostro allievo alla benevolenza del suo sig. Parroco facendogli umili preghiere di assisterlo in tempo delle vacanze, e nel suo ritorno tra noi munirlo di un certificato in cui si dichiari: l o Se nel tempo che passò in patria si accostò ai santi
Sacramenti della confessione e comunione; 2° se frequentò le funzioni parrocchiali e si prestò a servire la santa messa; 3° se non ha frequentato cattivi compagni e non ha altrimenti dato motivo di lamenti sulla sua morale condotta».
Più avanti egli scriveva in questo modo a un giovane di famiglia amica, che gli aveva chiesto un parere su taluni libri: «Eccoti i libri di cui ho fatto fare breve rivista. In senso proprio non avvi alcuna cosa proibita: i libri non sono all'Indice. Sonvi però alcune cose assai pericolose per la moralità di un giovane; perciò mentre puoi leggerli devi stare attento su te medesimo, e qualora ti accorga avvenirne danno al tuo cuore, sospenderne la lettura, o almeno saltare que' brani che relativamente possono essere pericolosi».
In una lettera del 21 luglio 1862 da S. Ignazio sopra Lanzo, dove si era recato per gli esercizi spirituali, insiste ancora sui pericoli dei compagni cattivi e dell'ozio: «Sono già andato a visitare più volte l'Oratorio ed ho trovato un poco di bene ed un poco di male. Ho veduto quattro lupi che correvano qua e là in mezzo ai giovani; ed alcuni furono morsi dai loro denti ( ... ). Quest'oggi poi veggo il demonio che fa molta strage coll'ozio. Coraggio, giovani miei, presto sarò con voi, e mi unirò con Don Alasonatti e con tutti gli altri preti, chierici e perfin colla barba del Cavaliere per cacciare lupi, serpenti, ozio dalla nostra casa».
Un programma più organico di impegno morale e religioso propone agli alunni del collegio di Mirabello il30 dicembre 1863: «Vi dirò peraltro quanto il Signore vuole da voi nel corso di questo anno per meritarvi le sue benedizioni: l o Fuga dell'ozio, perciò somma diligenza nell'adempimento dei propri doveri scolastici e religiosi. L'ozio è padre di tutti i vizi.
2° La frequente comunione. Che grande verità io vi dico in questo momento! La frequente comunione è la grande colonna che tiene sù il mondo morale e materiale, affinché non cada in rovina.
3° Divozione e frequente ricorso a Maria Santissima. Non si è mai udito al mondo che taluno sia con fiducia ricorso a questa madre celeste senza che sia stato prontamente esaudito. Credetelo, o miei cari figliuoli, io penso di non dire troppo asserendo che la frequente comunione è una grande colonna sopra cui poggia un polo del mondo; la divozione poi alla Madonna è l'altra colonna sopra cui poggia l'altro polo».
È pure da sottolineare la cura di equilibrare la serietà del «dovere» con espressioni di gioia e di spensieratezza. Scrive al giovanissimo direttore del collegio di Lanzo Torinese, D. Domenico Ruffino, il 22 marzo 1865: «Sabato è un giorno dedicato a Maria SS. Annunziata( ... ). Raccomanda poi in modo supplicante a Don Provera che solennizzi quel giorno con qualche cosa a tavola sì che i giovani abbiano motivo di fare un brindisi a mia salute costà, mentre quasi e forse all'ora stessa io procurerò di farlo qui ad onore di tutti i miei cari figliuoli di Lanzo». Intreccio analogo egli propone per le vacanze agli alunni di Mirabello: «4° Fate a casa la solita meditazione, messa, lettura quotidiana, come facevate in collegio.
La medesima frequenza nella confessione e comunione.( ... )
6° Non si possa mai udire di voi che facciate cattivi discorsi od anche solo ne ascoltiate( ... ). Del resto riposate, state allegri, ridete, cantate, passeggiate, e fate quanto altro vi piace, purché non commettiate peccati».
Altro documento di questo periodo focalizza piuttosto la figura del << direttore» di un collegio regolato secondo i principi della ragione, della religione e dell'amore. È la lettera indirizzata a Don Michele Rua neodirettore del piccolo seminario o collegio-convitto di Mirabello Monferrato, divenuto presto documento orientativo dei direttori salesiani con il titolo <<Ricordi confidenziali». <<Con te stesso. ( .. . )5° Studia di farti amare prima di farti temere. Nel comandare e correggere fa sempre vedere che tu cerchi il bene delle anime ( ... ). Le tue sollecitudini siano tutte dirette al bene spirituale, sanitario, scientifico de' giovanetti dalla divina provvidenza a te affidati». <<Coi giovani studenti. ( ... ) zo Fa' quanto puoi per passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della ricreazione, e procura di dire all'orecchio qualche affettuosa parola, che tu sai, di mano in mano ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto che ti rende padrone del cuore de' giovani».
A queste condizioni egli approvava chi aveva affidato il figlio a un collegio cattolico diretto con questo spirito: <<Ottimo divisamento l'aver messo il suo figliuolo a Mondragone. Colà i maestri, assistenti e direttori cercano il vero bene, quello dell'anima».
3. Documenti e criteri di edizione
Il Valentino, edito in italiano nel 1866 e in traduzione spagnola nel Boletin Salesiano» a puntate saltuarie nel1887, 1888, 1890, è contenuto originariamente in un manoscritto autografo di Don Bosco, il quale ha poi curato e firmato anche la prima edizione a stampa.
a) Il manoscritto
Il manoscritto è conservato nell'archivio salesiano centrale (ASC) alla posizione 133.1/2 Valentino. La segnatura del Fondo Don Bosco inizia con la microscheda 388 C 8 e si conclude con 389 A 10, per un totale dì 39 fotogrammi. L'autografo è redatto su fogli di diverse dimensioni e qualità con la seguente successione:
l. Viene in primo luogo un foglio semplice formato protocollo (mm 310 x 212) su carta uso stampa, senza rigatura orizzontale, numerato da l a 2.
2. Segue un foglio doppio di dimensioni minori (mm 230 x 180), di carta leggera, non rigata, numerato da 3 a 6. Si tratta probabilmente di foglio da lettera, come dimostrerebbe la dicitura BATH impressa con timbro a secco nell'angolo sinistro superiore del foglio. Le condizioni di conservazione e le caratteristiche grafiche dell'intervento di Don Bosco sono identiche a quelle del primo foglio e di quelli successivi.
3. Seguono sei fogli doppi formato protocollo (mm 310 x 212), con carta solida e rigatura orizzontale, numerati da 7 a 29. L'ultima pagina del 6° foglio è rimasta bianca e non è numerata.
Le condizioni di conservazione di tutto il materiale finora descritto sono appena discrete. Tutti i fogli portano i segni della piegatura orizzontale e verticale che il manoscì:'itto ha subito nel passato. Le parti esposte alla polvere e alla luce hanno subito il caratteristico ingiallimento. Il primo foglio (descritto al num. l) è il più danneggiato, soprattutto nel bordo esterno ed inferiore.
Tutte le pagine, da l a 29 sono ricoperte dalla scrittura di Don Bosco. Lo spazio di circa un terzo di foglio lasciato libero sulla sinistra di ciascuna pagina nel corso della prima stesura del testo, è stato successivamente occupato nella fase di revisione da copiose correzioni e aggiunte. Adeguati segni di rimando aiutano a ritrovare con maggior facilità il passo cui aggiungere o sostituire le varianti poste a lato. L'inchiostro, color seppia, talvolta appare più scuro e il tratto grafico non sempre è filiforme allo stesso modo. Quasi tutte le pagine sono chiazzate da piccole o grandi macchie di inchiostro.
4. li capitolo xo del manoscritto (Appendice sulla morte emendato poi con Morte di Man) è redatto su 5 foglietti di carta leggera, di mm 210 x 136, senza rigatura orizzontale. Mentre il quinto foglietto è di carta da lettera, ed è leggermente più piccolo, gli altri quattro sono ritagli di carta uso stampa. Inizialmente i cinque foglietti costituivano tre fogli doppi, con numerazione indicata soltanto nella prima pagina di ciascuno (r-ispettivamente l 2° 3°). Successivamente i fogli furono divisi verticalmente, facilitando la perdita della seconda parte del terzo, lasciando il manoscritto privo delle parole conclusive dello stampato: «per andare a
G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita cominciare la sua eternità dove speriamo avrà trovato misericordia nel
cospetto del Signore>>.
Non basta: vivente Don Bosco o dopo la sua morte tutti e cinque i foglietti furono pessimamente tagliati anche in senso orizzontale. La ricomposizione delle due parti, effettuata recentemente mediante una striscia di carta adesiva trasparente posta sul verso dei singoli foglietti, garantisce una discreta conservazione dell'autografo di Don Bosco.
I tratti grafici, il colore dell'inchiostro, le modalità e l'ubicazione delle correzioni e delle aggiunte non presentano differenze degne di nota rispetto ai fogli precedenti.
b) Edizioni a stampa vivente Don Bosco
Il lavoro di Don Bosco apparve in edizione a stampa nel dicembre 1866, nella collezione delle «Letture Cattoliche», in uno dei tipici fascicoli di piccolo formato ed esigua mole (mm 84 x 135- 64 p.). Le pagine 62-63 riportano il testo di una Divota preghiera nelle presenti calamità della Chiesa, arricchita di una indulgenza di 100 giorni concessa da Pio IX in data 22 ottobre 1866. L'Indice si trova a pagina 64. Segue, rilegato i sieme, un fascicoletto di 16 p. con numerazione propria, intitolato: Museo delle Missioni Cattoliche. Supplemento agli Annali della propagazione della fede.
Lo stampato del 1866 costituisce il testo qui edito e su di esso viene ricostruito il processo genetico dell'opera ricavabile dal manoscritto.
Naturalmente non vengono riprodotte le pp. 62-63 con la Divota preghiera né le 16 pagine del fascicoletto relativo al Museo delle Missioni Cattoliche.
L'edizione a stampa in lingua spagnola porta il titolo Valentino o la vocaci6n contrariada. Episodio contemporaneo por el Sacerdote D. Juan Bosco. Traducida por un Cooperador salesiano. La prima puntata (il capitolo I del racconto) apparve nel «Boletin Salesiano» (1887) n. 5, mayo, pp. 59-60. Seguono a intervalli irregolari le altre sette puntate: (1887) il. 10, octubre, p. 128; (1888) n. l, enero, pp. 11-12; n. 4, abril, p. 52; n. 10, octubre, pp. 127-128; 5(1890) n. 6, junio, pp. 70-72; n. 7,
julio, pp. 80-82; n. 9, setiembre, pp. 106-108 (Capitulo ultimo. Muerte de Mari).
c) Congetture sui tempi di composizione
Non si è riusciti a rintracciare sicuri indizi interni o esterni idonei a delimitare lo spazio cronologico entro cui collocare la redazione del Valentino. Sicuro è il terminus ad quem, rappresentato dall'edizione a stampa, nel dicembre 1866. Da questo punto di vista si potrebbe pensare che Don Bosco, generalmente assillato dalla preoccupazione di garantire il regolare succedersi dei fascicoli delle «Letture Cattoliche», abbia preparato il lavoro lungo il1866, in particolare nei mesi estivi (all'inizio e nella settimana tra agosto e settembre aveva presenziato a due corsi di esercizi spirituali nella quiete di Trofarello), dando all'amanuense il tempo indispensabile di ricavare dal suo manoscritto, spesso tormentato e di ardua interpretazione, la copia da trasmettere alla tipografia, previa ultima rapida revisione dell'Autore.
Ma si può, forse, fare qualche passo nel campo delle congetture e delle ipotesi. Un elemento è dato dal materiale cartaceo su cui è redatto il testo: l'eterogeneità del primo foglio semplice rispetto al foglio doppio di formato minore; e ancora più la successione omogenea dei fogli di protocollo doppi che portano alla fine del capitolo 9°. Il l 0° appare da tutti i punti di vista un'aggiunta. Già fino al capitolo 9° la redazione sembra avvenire in luoghi e tempi diversi, con indisponibilità di materiali omogenei. Addirittura si potrebbe osservare che a pagina 6 ha inizio un tipo di grafia leggermente distinto da quello delle pagine precedenti. Ma lo stacco appare più accentuato tra il termine del capitolo 9° e l'inizio del capitolo 10°. Non solo è diverso il tipo di carta e notevolmente diversa la grafia, ma qualcosa di rilevante emerge dalla stessa analisi dei contenuti.
Nella prima .redazione sembra che la chiusa della lettera debba considerarsi come fine del racconto; nelle mani successive e nello stampato questa previsione scompare; resta spazio per altre vicende e ulteriori considerazioni, quelle, precisamente, offerte dal capitolo 10, che in un primo momento era visto come semplice appendice al racconto.
Nella prima stesura, prima di riportare il testo della lettera, l'Autore avverte: «La lettera esponeva il delitto e la condanna di Valentino e le ultime notizie di Valentino e noi le mettiamo qui per conclusione di questo racconto. Eccone il tenore». Ancora nel manoscritto il testo riappare profondamente mutato, ma sempre con il medesimo significato: l'A. non sembra aver ancora in mente il cap. 10 o lo pensa semplicemente come appendice. (Giunse ... una lettera), «in cui dava ragguaglio del delitto e
della condanna con alcune notizie che lo riguardavano. Credo bene di metterle qui per intiero affinché serva di conclusione di questo racconto.
Era del tenore seguente» (cf. lin. 618-620).
Non risulterebbe infondata l'ipotesi di un iter redazionale meno lineare e rapido di quello a cui potrebbe far pensare la lettura del semplice stampato.
G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita.
Un ulteriore elemento verrebbe a complicare il problema o a portare nuovi elementi di chiarificazione. Iniziando la prefazione a Il pastorello delle Alpi (fase. di luglio-agosto delle «Letture Cattoliche» del 1864 - F.
Besucco era morto il 9 gennaio 1864) Don Bosco scrive: «Mentre aveva tra mano a scrivere la vita di un vostro compagno, la morte inaspettata del giovane Besucco Francesco mi fece sospendere tal lavoro per occuparmi di lui medesimo». 40 Non si è riusciti a trovare riscontri a questo tentativo «Sospeso>> se non in Valentino: naturalmente, nell'ipotesi che il protagonista sia individuabile in un giovane reale avente precisi legami con l'Oratorio e con Don Bosco. In questo caso si potrebbe affacciare l'ipotesi che la stesura del Valentino sia incominciata molto presto rispetto al tempo di completamento e di pubblicazione.
d) Romanzo storico a tesi o fatto reale elevato a simbolo?
Valutando il Valentino dal punto di vista del contributo che se ne può ricavare per la ricostruzione della «mentalità religiosa» di Don Bosco P. Stella scrive: <<Posto pure che si tratti di un episodio a fondo storico, il fatto di cronaca deve aver attirato l'attenzione di Don Bosco, perché egli vi trovava comprovate le sue tesi. Tuttavia non si può negare che l'esposizione manifesta un tessuto abbastanza solido di osservazioni psicologiche, ricavate da un qualche fatto vero e trasferito nel tessuto del romanzo educativo».
Quanto scrive Don Bosco all'inizio del suo opuscolo, autorizzerebbe a pensare a un fatto storico nei suoi tratti essenziali: «Intraprendo a scrivere un fatto vero, ma che riferendosi in parte ad uomini viventi, io stimo bene di tacere i nomi delle persone e dei luoghi cui le cose raccontate si riferiscono». E più avanti, iniziando il racconto della quasi incredibile «missione» di Mari (cap. VII) scrive: «Non crederei a me stesso se la verità del racconto non escludesse ogni dubbio». 42 Ma il modo di condurre il racconto potrebbe far pensare a libertà di ricostruzione con larghi spazi concessi alla drammatizzazione, ai dialoghi amplificativi, alle informazioni e considerazioni rivolte a impressionare, insegnare, edificare. Basti osservare che quelli che potrebbero apparire «documenti» autentici, come le lettere dei protagonisti, nelle varie fasi redazionali compaiono con diverse modifiche; rilevanti risultano le aggiunte e le correzioni apportate alla lettera di Valentino dal carcere.
Si può pensare che se un autentico fatto storico sta alla base la sua ricostruzione viene ampiamente e liberamente rielaborata in funzione largamente «edificante» e educativa, come si illustrerà più avanti con la presentazione dei personaggi del dramma e con la rilevazione delle tematiche religiose e pedagogiche emergenti.
La duplicità degli scopi e dei contenuti avrebbe dovuto teoricamente portare all'individuazione di due serie di «fonti»: «documenti» da cui, per ammissione di Don Bosco, partirebbe il «fatto vero»; e l'eventuale produzione letteraria, che avrebbe ispirato e alimentato l'aspetto didascalico e edificante del lavoro.
Quanto ai «documenti» si potrebbe ritenere che Don Bosco ha così abilmente occultato «persone» e «luoghi», da rendere vano qualsiasi sforzo di identificazione.
Altrettanto infruttuose si sono rivelate le ricerche verso un tipo di letteratura «morale» e «educativa» vicina al Valentino, condotte con una certa cura nell'ambito di analoga produzione esistente soprattutto in Francia, a cUi pure le «Letture Cattoliche» erano più volte ricorse.
Qualche indizio nella direzione sia <<storica» che «esemplare è individuabile in due testi riportati in appendice, uno ricavato da uno scritto di P. Antonio Bresciani e l'altro dalle Memorie Biografiche.
In assenza eli precisi riferimenti a tali fonti, si sono invece cercate e trovate dipendenze e convergenze negli scritti eli Don Bosco stesso, privilegiando quelli più vicini per i contenuti e per la cronologia al Valentino, probabilmente più vivi nella memoria eli Don Bosco e soprattutto più aderenti alle sue preoccupazioni religiose e pedagogiche in quel particolare momento storico. Si riportano, perciò, nell'apparato delle fonti o meglio dei «luoghi paralleli» alcune eli tali testimonianze, ricavate prevalentemente da opere edite o riedite nel decennio 1856-1866. Si può rilevare che in grandissima parte esse trovano ampio riscontro sia nella prima fase redazionale sia in quelle successive e nello stampato.
e) Criteri di edizione
L'edizione non ha lo scopo di garantire l'individuazione del testo autentico del Valentino; esso è assicurato da Don Bosco stesso, che ne ha curato la pubblicazione nel fascicolo 12 delle «Letture Cattoliche» nel dicembre del 1866. L'intento è, invece, di documentare in apparato, sulla base del testo già edito da Don Bosco e qui fedelmente riprodotto, la vicenda redazionale quale si rivela nel manoscritto autografo superstite.
Tale operazione potrà risultare utile per una riflessione su temi religiosi e educativi particolarmente cari a Don Bosco nel momento della fondazione della sua Congregazione religiosa di educatori della gioventù e del suo particolare impegno formativo e istituzionale in favore delle vocazioni
ecclesiastiche e religiose. La rilevazione della genesi e dello sviluppo delle idee di Don Bosco su questi fondamentali argomenti emerge in forma abbastanza lineare dall'esame del manoscritto e delle notevolissima messe eli varianti. Non si è ritrovato il manoscritto immediatamente precedente la stampa. Ma l'ultima mano dell'autografo eli Don Bosco coincide quasi completamente con il testo stampato, salvo l'utilizzazione eli poche, in genere irrilevanti, modifiche o la riutilizzazione eli lezioni antecedentemente scartate.
Si indica con la sigla A la prima mano e con A2 , A3 ... quelle successive. La sigla S serve a indicare il testo edito e i pochissimi refusi tipografici del 1866 corretti nella presente edizione.
L'autografo appare in certi punti eccezionalmente tormentato sì da rendere talora molto ardua l'individuazione di qualche variante, del resto di scarso rilievo: alla linea «Io sen»; alla linea 25 «perciocché»; alla linea 34 «ric»; alla linea 48 «non un».
4. Saggio di raffronto tra testo (nella prima stesura e nella redazione finale) e i «luoghi paralleli»
Tra la stesura originaria A e la redazione finale S le differenze risultano notevoli in modo particolare in alcuni capitoli più tormentati, in specie il II, il IV, il VII (senz'altro il più rielaborato), il IX (simile al VII).
Esse derivano da omissioni di testi di A avvenute in S, da correzioni di A introdotte in S e principalmente da consistenti aggiunte operate in S.
Tali differenze sono riscontrabili in significative accentuazioni dei <<tratti» morali e psicologici di alcuni personaggi, in particolare di Osnero, del direttore del collegio religioso, di Mari (il tema sarà oggetto di particolare attenzione nel punto seguente); e principalmente nell'approfondimento delle idee religiose e pedagogiche di base emergenti dall'intero racconto (lo si rileverà in una breve rassegna delle tematiche princjpali: v. punto 6).
Ma sono pure chiaramente ravvisabili in alcuni elementi «stilistici», connessi con le questioni di sostanza accennate. In genere la stesura A viene arricchita dalla descrizione di situazioni più tese e aggettivazioni più marcate e fosche: bene e male, severità e dolcezza vengono contrapposte con caratterizzazioni più nette: per questo aspetto può apparire singolare sotto la penna di Don Bosco la rievocazione dell'opera devastatrice compiuta da Mari nei riguardi di Valentino (v. cap. VII). Inoltre Don Bosco tende a <<localizzare» fatti e termini riferiti a spazi educativi più esplicitamente legati allo stile della sua persona e delle sue istituzioni, in particolare all'ambiente e al linguaggio di Valdocco. Alle linee 253-255 dopo «discorsi» si specifica: <<qualche volta indifferenti, di rado buoni, spessissimo cattivi». In A si parla soltanto di esame finale, invece nelle linee 282-285 si ricordano prima gli esami semestrali, propri della prassi di
Valdocco. Il riferimento ai <<Cattivi compagni» appare molto più frequente in S che in A (v. lin. 130-131; 297; 474; 701). Le aggettivazioni si fanno più marcate: <<il padre accecato ... » (lin. 486-487); <<diabolico divisamento» (lin. 489-490); «la scelerata g~ida» (lin. 522); «lo condusse in una casa di perversione» (lin. 524); «abbominevoli» (dissolutezze) (lin. 555); (vizi) <<detestabili» (lin. 557), ecc.
Tuttavia tra A e S non sembra determinarsi una frattura. Le varianti, G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita anche più vistose, generalmente si collocano su una linea di continuità e di sviluppo nel senso della specificazione e dell'approfondimento dei temi. Una prima prova è data dall'esame del rapporto tra «luoghi paralleli» col testo nelle successive fasi redazionali. In massima parte essi trovano un riscontro già nel testo A, per quanto questo risulti più scarno e, in particolare, più povero di elementi «donboschiani» del testo S.
Gli unici testi di una certa consistenza, che non trovano riscontro in A, ma solo negli interventi successivi e in S concernono la preghiera a mensa (lin. 59-68), l'indole di Valentino (lin. 143-144), il presentarsi di Valentino al direttore del nuovo collegio (lin. 265-289), alcune tipiche espressioni sui cattivi compagni (lin. 297), la descrizione del carcere (lin. 670-676).
Questo fatto legittima l'impressione che già la prima stesura sostanzialmente corrisponda al pensiero di Don Bosco e, quindi, possa considerarsi abbastanza «personalizzata» in rapporto ad una ipotetica, non accertata, fonte letteraria. Non per questo perdono di significato gli interventi successivi fino al testo S, nei quali la tipica impronta di Don Bosco si rivela molto più decisa e qualificata.
5. Le persone del dramma
Scrivendo, in altro contesto, della <<Conversione» di Mari, la «guida fatale» di Valentino, P. Stella osserva con la consueta perspicacia: «Sarebbe da appurare fino a che punto la pittura del libertino turbato da rimorsi religiosi risponda realmente a un'epoca ancora molto impregnata da abitudini e schemi mentali derivati da una lunga tradizione di costume cristiano».
Analoghe riflessioni potrebbero farsi a proposito di tutti, o quasi, i personaggi e del clima culturale e spirituale nel quale si svolge il destino umano, religioso, vocazionale, con riflessi di eternità, di Valentino e di quanti sono coinvolti nella sua vicenda drammatica. Si ha l'impressione che l'atmosfera sia ancora di fondamentale «cristianità», ma soggetta a fenomeni di «transizione», con larghe brecce aperte verso manifestazioni di più fiacca religiosità e di morale «laica>>, di mondanità, addirittura di libertinismo. Vi sono interessati radicalmente Osnero e Mari, in fasi alterne Valentino stesso e i diversi gruppi di «amici>> che incontra (in collegio, al paese natale, in città). Vi sono condizionati positivamente, in atteggiamento di comprensione e come tattica di conquista, la madre di Valentino, «ben istruita dalla scienza e dall'esperienza» (lin. 38-39), il prevosto e il direttore del nuovo collegio.
È una svolta che coincide con i progressivi contatti di Don Bosco con un mondo storico (politico, scolastico, educativo), che si muove verso una crescente secolarizzazione e laicizzazione (U. Rattazzi, ministri degli Interni e della Pubblica Istruzione, Provveditori agli studi, giornali e giornalisti critici o avversi...), negli anni '50, ma ancor più dal 1859/ 60 in avanti.
Parallelamente sembra accentuarsi in Don Bosco, come si è visto, la preoccupazione di consolidare le sue istituzioni e i suoi metodi di educazione, nel senso anche della più accentuata protezione e difesa, con l'accresciuta fede nella indispensabilità civile, educativa, morale della componente religiosa.
L'ipotesi potrà essere confermata da una rapida delineazione dei «personaggi» che intervengono nel dramma.
a) La madre
«La virtuosa madre» è decisamente «buona cristiana», «tutta intenta a dar una soda educazione al figlio» (lin. 66-67), con fermezza e sapiente comprensione per le sue esigenze giovanili («l'affettuosa genitrice», lin. 69). È l'immagine del «Sistema preventivo» applicato in ambito famigliare. Essa diventa «padrona del cuore del figlio», in vita e, ancora più, dopo morte: «Come potrò dimenticare- dirà ad un certo punto Valentinouna madre così buona e così degna di essere amata?» (lin. 242-243); e già prima: «tutto quello che voi sapete far piacere a mia madre, piace anche a me» (lin. 256-257). La stessa vocazione è un libero dono ricevuto dalla
madre (lin. 389-390; 413-417).
b) Valentino
È il ragazzo «normale», com'è visto da Don Bosco, tra Pietro (1855), Magone (1861) e Besucco (1864), seppure di più solida estrazione sociale: «aveva un carattere dolce ed un indole molto pieghevole» (lin. 143-144), autentico rappresentante della «mobilità giovanile», quindi «qualche volta sbadato>> (lin. 68). Egli si dimostra fortemente influenzabile nel bene (nel nuovo collegio) e nel male (tra i compagni di collegio, di paese, di città, e soprattutto con Mari). Può apparire singolare che dopo cinque anni di seria educazione collegiale con buoni esiti vocazionali, a 18 anni, egli appaia più o meno fragile come ai dodici. Dal carcere lancerà a Mari G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita quest'accusa: «di un onesto giovanetto faceste un galeotto» (lin. 770).
Ma sembra aver il sopravvento l'indole remissiva di base, bisognosa di perenne sostegno, come appare ancora nella lettera dal carcere, nella quale dichiara: «ÌO non sono mai stato, nemmeno adesso non sono uno scellerato. Io sono un giovane infelice, uno sventurato, ma non perverso» (lin. 681-682); e si affida all'antico direttore come a una seconda madre.
Evidentemente gli è mancata fin dall'infanzia l'indispensabile guida paterna, non bilanciata dalle amorevoli cure prodigategli in collegio dal direttore-padre. Ma l'A. non sembra voler evidenziare questo aspetto del problema nel dramma di Valentino. Per la prima educazione gli è sembrato perfettamente adeguato il ruolo svolto da una madre eccezionale (come gli apparirà tale la parte sostenuta dal padre, senza e contro la madre, nell'educazione del figlio, descritta in Severino ossia avventure di un giovane alpigiano, il romanzo biografico che Don Bosco pubblicherà due anni dopo).
c) Osnero
È indubbiamente la figura più ambigua dell'intero racconto, sospesa tra tradizione e novità, tra nostalgie religiose, e perfino rimorsi, e fede in una morale tendenzialmente «laica>>, quella del «galantuomo», dell'onesto cittadino (lin. 37-38; 139-140; 209-210), che per essere tale non ha bisogno di particolari ricorsi religiosi, piuttosto tiepido nella pratica cristiana, conoscitore del parroco e in buoni rapporti con lui, convertibile alla religione, non soltanto come indispensabile forza morale (lin. 190-192; 568-571), ma anche fino al punto da accettare di distruggere libri e giornali cattivi e di osservare la legge dell'astinenza e del digiuno (lin. 335-342).
L'ambiguità è accresciuta dal fatto che nella prima stesura la sua posizione nei confronti della religione appare più sfumata: è semplicemente un fiacco praticante, che «SÌ occupava poco di chiesa e di religione», «non [era] molto amante della pietà, che però riconosce «Come una benedizione del Cielo» la disponibilità di Valentino a un progetto di educazione religiosa; la quale, d'altra parte, deve evitare il «troppo» e non giungere a creare con problemi vocazionali ecclesiastici (lin. 424-426), insanabili contrasti con le mire paterne sul futuro del figlio (lin. 418-424; 435-436). «Accecato» (lin. 487), l'agiato mercante di provincia, fino allora soltanto <<occupato in molti affari di amministrazione, mercati, fiere, talvolta partite al caffè ed all'osteria» (lin. 101-103), ordisce una macchinazione con contorni che raggiungono la massima crudezza soltanto nella redazione finale. «Si appigliò al diabolico divisamento di affidarlo [Valentino] ad un uomo di guasti costumi, affinché insegnasse la malizia al povero figlio» (lin. 489-491); ha il coraggio di esclamare «sia benedetto il Cielo, io sono un padre fortunato», quando riaccoglierà Valentino «riconvertito»; si dispererà quando lo scoprirà ladro e dissoluto, ricorrendo inutilmente a pensieri religiosi; morirà disperato, maledicente e, forse, impenitente alla notizia che Valentino è finito in carcere (lin. 583-606).
d) Il direttore del primo collegio
Don Bosco vi dedica pochi tratti: «affabile sì, ma deciso nel comandare, severo nel pretendere, rigoroso in ogni ramo di disciplina» (lin. 112-114). Ma all'A. più che la persona interessa il «sistema» che essa rappresenta e da cui chiaramente dissente: vi mancano almeno due dei capisaldi su cui egli ritiene edificabile un'educazione autentica e duratura: la religione e l'amore.
e) Il parroco
Benché compaia saltuariamente e venga coinvolto solo secondariamente nel «caso Valentino>>, il prevosto-parroco è una figura di grande rilievo nell'insieme della vicenda. In lui si incarna la figura del prete secondo Don Bosco, in sé e «Secondo i bisogni dei tempi>>, così come appare in tutti i suoi scritti.
E a confermare ancora meglio l'intenzione celebrativa e apologetica dell'A. è da notare che gli elementi positivi si accrescono notevolmente a partire dalla redazione A fino alla stesura definitiva (S).
Egli non attende che Valentino, il quale prima «gli era sempre stato affezionatissimo>> (lin. 193-194), renitente ad avvicinarlo dopo il ritorno dal primo collegio, si decida di andare a trovarlo. Intuisce la crisi ed è lui, il suo parroco, a fare il primo passo e a tentare l'aggancio (lin. 199-201).
Ed è carità sacerdotale che, su segnalazione di Osnero, lo porta a scrivere una lettera inevasa a Valentino smarrito nella città dove era andato per frequentare il liceo, tentando di interessare al caso alcuni amici (lin. 592-593). Ma le sue qualità umane e lo zelo sacerdotale emergono soprattutto nella malattia e nella morte di Mari. Egli accoglie «COn tutta bontà» il «corruttore>>, quando questi, assalito da incubi, ricorre a lui per ritrovare un po' di pace (lin. 747). Le sue parole sono anzitutto di conforto umano (lin. 749-751). Soltanto in un secondo momento, pensando di averne conquistato il cuore, spinto da zelo di buon pastore, osa proporre quale
«rimedio efficacissimo» dei suoi mali «una buona confessione», «potente sollievo» alle sue ansie (lin. 752-760). Respinto rozzamente, egli tenta con discrezione di avvicinarsi a lui infermo, chiede ogni giorno sue notizie, si trova provvidenzialmente presente quando Mari, giunto vicino a rriorte, lo manda a chiamare (lin. 795-798). «Non parlate di perdono- rassicura subito l'infermo- io non fui mai offeso da voi, io vi ho sempre amato e più vi amo adesso» (lin. 802-804). li malato non può resistere all'amore, aprendosi insieme alla misericordia di Dio, che- gli assicura il parroco - «è infinita», garantita dalla «bontà immensa» del Salvatore crocifisso
(lin. 807-814). «Quindi con zelo e con carità gl'incominciò la confessione» (lin. 820-822): capolavoro di disponibilità e di delicatezza, così come
int~ndeva Don Bosco.47 «Visse ancora due giorni» (lin. 834). «Il suo prevosto non lo abbandonò più né giorno né notte» (lin. 836), assistendolo fino all'amministrazione dell'Olio Santo, la benedizione papale e la recita delle preghiere del proficiscere (lin. 855-859).
f) Il direttore del nuovo collegio
È senza dubbio il direttore quale lo pensa Don Bosco, a capo di un collegio da lui immaginato e attuato. Non a caso il tratto più caratteristi-. co non si trova nella redazione A, ma è introdotto nel momento della revisione e dell'approfondimento. Sembra anticipato quanto si troverà nella lettera da Roma dellO maggio 1884 a spiegazione del supremo principio pedagogico dell'amore: «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati ( ... ). Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a far con amore».
Coerentemente, <<alla vista d'un giovanotto così atteggiato quel direttore non giudicò opportuno parlargli di religione, ma discorse soltanto di passeggiate, di corse, di ginnastica, di scherma, di canto, di suono. Le quali cose facevano bollire il sangue nelle vene al vanerello allievo al solo udirne parlare» (lin. 271 -274). È un primo varco per aprirsi le vie del cuore. Seguiranno tempi di attesa paziente e di svariati influssi comunitari. Verrà il momento che consentirà al direttore, a Don Bosco, di risolvere il problema della confessione (lin.318-320), della direzione spirituale (lin. 322-323) e della discussione del problema vocazionale (lin. 369-403). Dopo la lunga eclisse dello smarrimento e della corruzione la figura del direttore tornerà alla ribalta nella lettera dal carcere di Valentino. Anche qui molte delle notazioni più affettuose appartengono alle redazioni successive ad A. In sostanza, il «Caro padre dell'anima» ha preso decisamente il posto della lontana figura materna nel cuore e nelle speranze di riabilitazione dell'antico allievo (lin. 629; 666; 690-695; 709-710).
g) Mari
Nella delineazione della figura di Mari, che è la più contraddittoria, l'A. ha faticato più che per tutte le altre, nello sforzo di dare una coerenza all'evoluzione dei comportamenti e degli atteggiamenti. Non per nulla i due capitoli, che ne trattano, sono i più elaborati e tormentati e le tinte fosche e poi luminose sempre più accentuate man mano che la redazione si avvicina alla fase finale.
Per sé, al punto di partenza, Mari appare soltanto <<un uomo mondano» (lin. 744), un «viveur» maturo e finito, un <<uomo alquanto attempato, il quale aveva passata la vita ne' passatempi e ne' vizi, che solamente la sua età costringeva di abbandonare» (lin. 496-498); <<non era famigliare né col parroco, né con altri preti, ma soleva trattare tutti con gentilezza e con grande cortesia; né aveva mai mostrato contro al suo prevosto alcuna avversione» (lin. 743-745); d'altra parte il parroco continua a considerarlo pecorella del suo gregge («vostro pastore», lin. 759). Nella sua vita si determina una svolta tragica, quando viene pregato di recare aiuto ad un amico. Da questo momento l'A. non esita a caricarlo delle colpe più vergognose, e ne fa portavoce anche la lettera a lui inviata da Valentino in carcere (lin. 768-770). Termini e aggettivi si succedono sempre più pesanti: «guida fatale» (lin. 479), «mala guida» (lin. 480-481), «Uomo di guasti costumi» (lin. 490), disposto a ricorrere ai mezzi più degradanti pur di portare a termine, anche oltre le aspettative paterne, la turpe «impresa» (lin. 505). Infine, «il perfido Mari» (lin. 516; in A: «l'infame Mari»), «compiuta la diabolica sua missione» (lin. 536), riconduce il figlio al padre, con la coscienza di aver compiuto un servizio che l'ha mostrato ancor più «sincero amico di famiglia» (lin. 499 e 539-540). La malattia e la morte diventano invece una sofferta, ma trionfale trasfigurazione. Don Bosco è decisamente per la misericordia e la salvezza, gratuita, sorprendente, per i miracoli della grazia. <<I rimorsi della coscienza i quali sono sentiti anche dai più malvagi>> (lin. 732-733) con l'aiuto di Dio e i soccorsi offerti dalla religione, sicura fonte di salvezza e di felicità, portano a bruciare rapidamente le tappe del terrore, del timore, del dolore, del pentimento, dell'amore. «Compiuta la confessione Mari si mostrò molto più tranquillo, e in mezzo a' suoi mali apparve con aria ilare quale da molti anni niuno l'aveva più veduto» (lin. 827-829). Riesce ancora a vergare il suo testamento spirituale al carcerato lontano: <<Valentino, perdono dello scandalo dato, vivi da buon cristiano e sarai felice in punto di morte. Io muoio pentito; la divina misericordia sia per me e per te, ti attendo all'eternità» (lin. 850-852).
h) Giovani alla deriva
Nel racconto non appare mai la <<gioventù povera e abbandonata» quale era intesa abitualmente, soprattutto allora, da Don Bosco. Vi intervengono anonimi vari gruppi di giovani, provenienti da classi abbienti, dalla moralità e religiosità piuttosto scadenti. Fanno eccezione soltanto, com'è ovvio, i «buoni condiscepoli» del collegio religioso (lin. 293-294; 300-301).
La prima serie si trova nel primo collegio: i «novelli compagni» non vanno troppo per il sottile quanto a discorsi e a letture (lin. 130-132; 146- 148); secondo Osnero sono giovani allegri, senza scrupoli e pregiudizi, degni di essere imitati (lin. 142-143).
Durante le vacanze al paese lo stile non cambia tra giovani sfaccendati e propensi al giuoco e alla vita allegra (lin. 182-184; 196-197; 200-203).
Di ben altro livello morale sono le compagnie che Valentino è condotto a frequentare sotto l'abile regìa di Mari «in varii paesi e città», «per alberghi, giuochi, caffè, balli, teatri», fino alla «Casa di perversione» (lin. 516-524). È la categoria dei viziosi (lin. 530-535), dei «libertini», che reincontrerà nella città dove avrebbe dovuto frequentare il liceo (lin. 565-568), veri «ribaldi», però appartenenti «tutti ad onesta famiglia» (lin. 595-599; 640-646). Don Bosco sembra tradire già l'interesse per un tipo di «gioventù povera e abbandonata», «pericolante e pericolosa», non economicamente e socialmente, ma moralmente e religiosamente. Anch'essa può essere votata al carcere e al fallimento.
6. Tematiche religiose e pedagogiche emergenti dal «Valentino»
In questo paragrafo conclusivo ci si propone di integrare ed esplicitare quanto P. Stella scrive circa la tesi centrale del Valentino: «<n Valentino Don Bosco ci presenta il caso di un giovane frustrato nel suo ideale.
Posteriore alle biografie di Savio, Magone, Besucco, il racconto di Valentino · è quasi il complemento di un discorso pedagogico, posto a chiusura di una serie di esperienze interpretate alla luce del principio che soltanto la religione può dare la 'vera' felicità e solo la religione è fondamento di una compiuta educazione».
Il Valentino, infatti, non appare un prodotto «Casuale», qualunque possa essere stata l'occasione che ha spinto Don Bosco a comporlo, un fatto di cronaca familiare o la lettura di un opuscolo dedicato ad analogo tema.
Già nella redazione iniziale il manoscritto rivela nell'A. intenzioni precise nella proposta e negli essenziali sviluppi di temi a lui cari. Tale intenzione risulta ancor più evidente nella rilevante massa delle correzioni, delle amplificazioni e delle integrazioni. Il testo appare fortemente pensato e programmatico. Del resto, già l'intreccio e le persone del dramma incarnano posizioni ideali e tesi contrapposte ben definite.
Tuttavia, il Valentino non è da considerarsi - poiché così non l'intende l'A.- un specie di «summa» religiosa e pedagogica di Don Bosco.
Non si tenderà, quindi, all'esposizione sistematica. Basterà individuare semplicemente i temi emergenti e le eventuali reciproche connessioni, tenendo presenti le differenze più significative esistenti tra la prima redazione e la stesura definitiva consegnata allo stampato.
a) Religione e vita
Come ha fatto rilevare P. Stella già nel 1960, il Giovane Provveduto (1847), nelle dichiarate intenzioni di Don Bosco, non è soltanto un «libro di pietà». «<l primo pregiudizio da sfatare è il giudicare che il GP sia semplicemente un manuale di devozione( ... ). Il GP è un metodo di vita, un modo di vita cristiana». 5° Ricondotta la tesi ai termini essenziali ciò significa che «l'unico metodo di vita possibile è il praticare la religione (vivere cristianamente), ogni altro metodo di vita è pura illusione ed inganno diabolico».
Il medesimo principio comanda l'intera teologia del Valentino, come radicale criterio interpretativo, prima che del fatto educativo, del destino umano nella sua totalità, nel tempo e nell'eternità. Esso viene visualizzato in apertura del volume dalla figura materna, a cui si contrappone immediatamente il marito Osnero (più avanti affiancato da analogo tipo mentale, Mari).
Non si stabilisce un'antitesi tra integra fede operante, da una parte, e ateismo, incredulità totale, dall'altra. n confronto teorico e pratico avviene piuttosto tra un sistema religioso vissuto con vivificante pienezza di contenuti e Uri~ stile di vita di scarsa interiorità e che tende a non andare oltre il minimo di impegni esteriori: il minimo e l'essenziale di frequenza ai sacramenti, con la mente rivolta piuttosto a quanto poteva apportare un maggior benessere economico, culturale e affettivo nella «civile società». Da una parte si ricercano i «Veri» valori, che in definitiva sono quelli eterni; dall'altra, si intende godere in pieno la felicità offerta dal
«mondo» senza pregiudizi, senza eccessivi scrupoli religiosi e morali; è ovvio che in questa prospettiva Osnero s'immaginasse «di poter ridurre suo figlio ad essere virtuoso ed onesto cittadino senza farlo prima buon cristiano», e al figlio ripetesse: «sii buono e sarai sempre amato ed onorato da tutti. L'onore, la stima, il buon nome, non devono mai essere dimenticati in questo mondo» (lin. 41-43). La redazione A meglio che l'ultima ( S) riproduce con efficacia lo scontro tra i due mondi di valori, riferendo del comportamento di Valentino fanciullo: «In quella sua tenera età Valentino non comprendeva l'importanza degli avvisi paterni. E qualora fosse per commettere qualche male per nulla badava all'onore che metteva in pericolo, ma si fermava spesso riflettendo quanto gli andava ripetendo la madre, che Dio vede tutto, che benedice i giovanetti virtuosi anche nella vita presente e li premia con una felicità eterna nell'altra; al contrario maledice gli empii; loro abbrevia la vita, e li punisce nell'altro mondo con un supplizio eterno» (cf. luogo parallelo, lin. 44-49 S). Il giudizio «mondano» di Osnero inseguirà Valentino (fino ad un certo punto fedele erede del patrimonio spirituale materno) nelle vicende successive: soprattutto l'atteggiamento e la valutazione nei confronti della disciplina del collegio «laico» (lin. 132-143) e l'insanabile conflitto sul problema vocazionale (lin. 418-471). Le successive «resipiscenze>> religiose di Osnero denotano, insieme a una concezione funzionale e moralistica della religione, un fondamentale attaccamento ad essa piuttosto ereditario e alieno da forti impegni: «Sebbene non fosse molto amante della pietà, amava che il figlio si conservasse religioso per conservarlo lontano dai vizi», A (cf. lin. 190-192 S); «Se mai potessi far tornare a casa il mio Valentino
sarei contento che si facesse prete, frate, e qualunque altra cosa, purché tornasse indietro dalla via del disonore!» (lin. 587-591).
b) Religione e educazione
La duplice interpretazione della funzione della religione nella vita ha un peso determinante nell'organizzazione teorica e pratica di due <<sistemi di educazione» profondamente differenziati. Ciò appare evidente nell'educazione familiare, nella quale i due coniugi propongono motivazioni e pratiche chiaramente difformi. Ma l'A. sembra volerlo rimarcare ancora più a proposito di quell'educazione «Strutturata», che è l'educazione «Collegiale». Prima che l'incarnazione di due metodologie (chiaramente presenti, come si vedrà più avanti), i due istituti rispecchiano due differenti <<mentalità religiose»: da una parte, <<un collegio alla moda», a conduzione laicale, <<un luogo molto rinomato, dove si diceva che la scienza, la civiltà, la moralità faceva maravigliosi progressi» (lin. 107-108), nel quale lo spazio religioso è rigorosamente delimitato, donde <<un gran vuoto nelle pratiche di pietà» (lin. 118-119), con conseguente latitudinarismo nell'andamento disciplinare e morale complessivo (lin. 123-132); dall'altra, un «collegio dove la religione [è] in modo eccezionale insegnata, raccomandata, praticata», poiché- e per colmo di ironia la tesi è messa in bocca proprio ad Osnero - «senza religione è impossibile educare la gioventù» (lin. 228-229), un collegio nel quale «Studiare e praticare la pietà» convivono in bella armonia (lin. 254-255).
Poiché religione è anche garanzia di moralità (riferita soprattutto alla disciplina sessuale) e moralità è garanzia di successo nello studio: «Se non c'è moralità gli studi vanno male» (lin. 260-261).
La religione, rappresentata dal parroco, rimane ancora l'unica risorsa a cui ricorrere per il «ricupero» di Valentino (lin. 552-553), quasi a contrapporre la forza della religione alla presunzione di autonomia umana proclamata da Osnero nella disputa sulla vocazione: «Tu devi dipendere da me, e non da altri. Io sono tuo padre, io solo posso e voglio renderti felice» (lin. 433-434).
c) Le «pratiche di pietà»
Accennando a una breve controversia sorta tra il pedagogista R. Lambruschini (1788-1873) e il filosofo A. Rosmini (1797-1855) sul modo e sulla qualità della presenza della religione nell'educazione, P. Braido afferma che «Don Bosco sarebbe stato nella polemica dalla parte del Rosmini, per un'affermazione esplicita del principio religioso, trascendente e cristiano».
Riferendosi all'opera Della educazione e dell'istruzione (Firenze 1849) Lambruschini aveva scritto al Roveretano: «Dalle semplici e misurate parole che ho sempre cercato di usare, trasparirà forse a lei quel più e di più alto ordine che ad occasione ho procurato, senza che
paja, di insinuare negli animi, perché giovi nell'avvenire a quella restituzione dell'ordine morale che abbraccia la vita individuale e la pubblica, la vita religiosa e morale, e la politica e quella della famiglia». A. Rosmini con estremo rispetto osservava: «Io sono persuaso che l'uomo (e molto più la società) non possa raccogliere né anco in questa vita tutto il bene che la Provvidenza ha disposto per lui, se non a condizione, che egli, come a termine fisso, volga tutta la sua attività a ' suoi eterni destini. Non trovo un altro punto d'appoggio così fermo che mai non ceda, dove puntar la leva per muovere, in qualunque circostanza, l'uomo alla virtù, se non quello che è fuori di questa terra, un bene eterno( .. . ). Rendendo piena giustizia alle sue intenzioni, mi si afferiva qui all'animo spontanea la domanda; se non sarebbe naturale, non sarebbe almeno conveniente, che apparisse in tutta la luce, quel principio che deve pur reggere tutto l'uomo in ogni suo fatto, e al quale tutti gli altri principii vogliono essere subordinati, dal quale sono corroborati e santificati».
Il «principio» è affermato con uguale energia da Don Bosco. La presenza della religione nella vita e nell'educazione dev'essere esplicita e legata senza menomazioni all'integrità della visione cattolica, delle forme e dei mezzi da essa proposti. Nel Valentino essa rispecchia, inoltre, la mentalità «pratica» di Don Bosco, che a sua volta riproduce il mondo religioso nel quale è cresciuto, che l'ha plasmato e nel quale vive e opera.
È il mondo nel quale la madre introduce Valentino fin dalla fanciullezza: in casa, in chiesa, perfino a mensa (lin. 30-36, 49-59, 59-68). Valentino lo assimila talmente che alla morte della madre «solamente potè trovare qualche consolazione nel fare preghiere, limosine, penitenze, ascoltare molte messe in suffragio» (lin. 93-95) e ciò che sentirà più immediatamente nel primo collegio sarà «un gran vuoto nelle pratiche di pietà» (lin. 118-119; cf. lin. 123-127); le varie crisi, inoltre, hanno come causa ed effetto, anzitutto, la disaffezione e l'abbandono delle pratiche religiose (lin. 150-152; 179-182); nello stesso rapido processo di degradazione morale, sotto la guida di Mari, ricorre, seppur sempre più flebile, il sentimento del rimorso e la nostalgia della confessione (lin. 521 -522; 528-530): la «Corruzione», infine, significa, insieme a sprofondamento nei vizi, assenza dei sacramenti e di ogni pratica (lin. 555-557).
d) Due metodi educativi a confronto
La contrapposizione tra due diverse concezioni educative non avviene solo quanto ai «fondamenti»; si esprime pure a livello degli orientamenti operativi, delle «tecniche» educative.
Già si è accennato al <<metodo materno», nel quale divino e umano, il serio e il gaio, si fondono in felice sintesi (lin. 70-77).
La sintesi appare più esplicita nella conduzione del collegio cattolico, ben differenziato di contro all'immagine più sfumata, ma inconfondibile, in negativo, del collegio <<laicale». Quest'ultimo è già emblematicamente rappresentato dalla figura del direttore, <<deciso», «severo», «rigoroso»; la disciplina è formalmente a posto, ma evidentemente manca, oltre che una forte atmosfera religiosa, la presenza animatrice degli educatori, onde non è da stupire si potessero contrarre «pericolose abitudini quali sono mentire, giocare e rubare in casa» (lin. 204-205). n <<metodo» usato nel collegio cattolico è delineato in modo più preciso ed è chiaramente riconducibile alla triade «allegria, studio, pietà» formulato ne Il pastorello delle Alpi (1864): «Separato dai compagni, distolto dalle cattive letture, la frequenza dei buoni condiscepoli, l'emulazione in classe, musica, declamazione, alcune rappresentazioni drammatiche in un teatrino, fecero presto dimenticare la vita dissipata che da circa un anno conduceva. n ricordo poi della madre fuggi l'ozio ed i cattivi compagni gli ritornava sovente alla memoria. Anzi con facilità ripigliò l'antica abitudine alle pratiche di pietà» (lin. 292-298).57 Il sistema religioso è coronato significativamente dai «santi Sacramenti» (la Penitenza e l'Eucaristia) e dalla stabile direzione spirituale (lin. 318-323). È tale clima complessivo che fa maturare nell'educando (Valentino) forme di «apostolato» nei confronti del padre (lin. 335-342) e la decisione di seguire la vocazione ecclesiastica (cap. La vocazione).
e) Sistema preventivo e cura delle vocazioni
Non è improbabile che nel Valentino il discorso sul sistema «preventivo» applicato nell'istituzione collegiale venga intenzionalmente collegato con l'assillante e, per Don Bosco, attualissimo problema delle vocazioni ecclesiastiche e religiose.
Nel testo delle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, rielaborato negli anni 1860/ 61 Don Bosco introduce per la prima volta, modificandolo poi negli anni 1862/ 64 il seguente articolo: «5. In vista poi dei gravi pericoli che corre la gioventù desiderosa di abbracciare lo stato ecclesiastico, questa congregazione [società, 1862/ 64] si darà cura di coltivare nella pietà e nella vocazione coloro che mostrano [mostrassero
1862/ 64] speciale attitudine allo studio ed eminente disposizione alla pietà. Trattandosi di ricoverare giovani per lo studio saranno di preferenza
accolti i più poveri, purché mancanti di mezzi onde fare altrove i loro studi [nel 1862/ 64 aggiunge: purché pongano fondata speranza di riuscita
nello stato ecclesiastico]».
In quello che venne poi chiamato il Testamento spirituale di Don Bosco, scritto negli ultimi anni di vita, egli sotto il paragrafo Le vocazioni ecclesiastiche tra l'altro avverte: «Se questo spirito [«il principio di vocazione»] si coltiva, e sarà sviluppato, viene a maturazione e fa copiosi frutti. Al contrario non solo il germe di vocazione, ma spesso la medesima vocazione già nata e cominciata sotto a buoni auspizi, si soffoca o si indebolisce e si perde. I giornali, i libri cattivi, i compagni ed i discorsi non riservati in famiglia sono spesso cagione funesta della perdita delle vocazioni e non di rado sono sventuratamente il guasto ed il traviamento di coloro stessi che hanno già fatto la scelta dello stato». 59 Poche pagine prima aveva annotato: «Quando un giovanetto manifesta segni di vocazione procurate di rendervelo amico. È indispensabile di allontanarlo dalle letture cattive, e dai compagni che fanno discorsi osceni». È in sostanza, nel positivo e nel negativo, la «tesi» del Valentino, arricchita da ulteriore più universale esperienza, che riassume i momenti capitali di una «pedagogia vocazionale» di stile preventivo: attrazione, protezione, formazione, ricupero.
È esattamente questa la metodologia educativa che in famiglia e nel collegio condiziona o, in qualche modo, determina lo sbocciare della vocazione in Valentino. Il senso della protezione, della custodia, non però puramente passiva, ma costruttiva, è presente in ambedue gli ambienti.
La madre, «tutta intenta a dar una soda educazione al figlio» (lin. 28-29) ha cura di «tener il figlio lontano dall'ozio e dai discoli» (lin. 32-33). I frutti risultano evidenti se, come attesterà più tardi Valentino stesso, «mia madre desiderava ardentemente che mi facessi prete, ed io era più ansioso di lei» (lin. 389-390); e più tardi analoga cosa dirà al padre, (lin. 413-417). Il collegio favorirà, insieme ad altri più doviziosi mezzi formativi, il medesimo clima di «fuga» e di protezione (lin. 296-298; 330-331); e Valentino dal carcere non mancherà di rievocare analoghi avvertimenti (lin. 701 -702).
Vi è presente una forte carica affettiva: la vocazione nasce come frutto dell'azione di una «madre affettuosa», che con «amorevoli avvisi» si rende «padrona del cuore del figlio» (lin. 69-70; 73-75); e, insieme, di un ambiente e di un direttore capaci di creare simpatia («il luogo mi piace assai, il direttore sembra tutto di mio genio», lin. 278), come preparazione di un clima favorevole a un rapporto più profondo di direzione spirituale e di orientamento specifico nella scelta vocazionale: il direttore «non perdette più di vista il figliuolo spirituale che aveva acquistato» (lin. 322-323 e 366-403). Una delle due raccomandazioni che Valentino dal carcere prega di fare ai giovani «che si trovassero tuttora sotto alla paterna disciplina» del suo antico direttore, riguarda precisamente la persona più importante a cui affidarsi nella scelta vocazionale: «Nel decidere della loro vocazione ci pensino seriamente e dopo la preghiera si tengano ai
consigli di una guida pia, dotta e prudente» (lin. 702-704): soprattutto, paterna e amorevole, quale Valentino continua a identificare nel suo di-. rettore, i cui «paterni consigli» sogna possano essere norma della sua vita avvenire (lin. 692-693, 709-710).
Intraprendo a scrivere un fatto vero, ma che riferendosi in parte ad uomini viventi, io stimo bene di tacere i nomi delle persone e dei luoghi, cui le cose raccontate si riferiscono. Erano due genitori di età alquanto avanzata e non avevano che un solo figliuolo chiamato Valentino erede unico delle vistose loro sostanze. La madre, buona cristiana, era tutta intenta a dar una soda educazione al figlio. Ella stessa gli fece da maestro molti anni. Fin da fanciullino gl'insegnò le preghiere, il piccolo catechismo coi primi elementi l di lettura e scrittura. Ben istruita dalla scienza e dall'esperienza poneva le più vive sollecitudini a tener il figlio lontano dall'ozio e dai discoli. «Caro Valentino, soleva dirgli, non mai dimenticarti che l'ozio è il padre di tutti i vizi, e che i cattivi compagni conducono se stessi e chi li segue alla rovina: guai a te se ti lasciassi dominare da questi due nemici fatali». La buona genitrice aveva qualche ostacolo nella persona del marito. Osnero, tale è il nome del marito, uomo pieno di cortesia e di onestà, faceva del bene a chi poteva, del male a nessuno. Ma un errore non leggero gli dominava il capo. S'immaginava di poter ridurre suo figlio ad essere virtuoso ed onesto cittadino senza farlo prima buon cristiano. «Caro Valentino, gli diceva talvolta, sii buono e sarai sempre amato ed onorato da tutti. L'onore, la stima, il buon nome, non devono mai essere dimenticati in questo mondo».
Nella sua tenera età Valentino non rifletteva molto agli Il avvisi paterp. 5 ni. Per correggere e nobilitare gli ammalestramenti del marito, la virtuo- 45
sa madre andava spesso ripetendo al suo Valentino: «Mio figlio, ricordati che Dio vede tutto. Egli benedice i giovanetti virtuosi nella vita presente e li premia nell'eternità; al contrario maledice gli empi, loro abbrevia la vita, e li punisce nell'altro mondo con un supplizio eterno». Ogni mattino so lo prendeva per mano, lo conduceva in chiesa, gli dava l'acqua benedetta, gli additava il modo di far bene il segno della croce: lo faceva mettere in ginocchioni accanto a lei: gli apriva il libro di divozione e segnava le preghiere utili per accompagnare la Santa Messa. Nei giorni festivi poi l'aveva sempre seco alla Messa, al Catechismo, all'istruzione e alla benedizione. Quando occorreva di condurlo a ricevere i Santi Sacramenti lo preparava alcuni giorni prima, lo accompagnava fino al confessionale.
Dopo la confessione lo assisteva a fare il ringraziamento, aggiungendo quegli avvisi che una buona ed affezionata madre sa trovare opportuni pei suoi figli. Ella provava gran dispiacere quallora l'avesse veduto porsi a mangiare senza fare prima e dopo il cibo il segno della Santa Croce colla breve preghiera che da' buoni cristiani si suol fare in questa occasione.
Un giorno Valentino se ne dimenticò e la madre lo rimproverò acremente. «Caro Valentino, gli disse, pensa che soltanto gli animali irragionevoli si mettono ingordamente a mangiare senza riflettere da chi ricevono l'alimento. Noi riceviamo la vita e il cibo dal Signore, perciò dobbiamo essergli in ogni tempo riconoscenti, ma specialmente quando facciam uso di questi suoi benefizi: cioè quando ci serviamo del cibo per conservare la vita medesima». Sebbene Valentino apparisse qualche volta sbadato non dimenticava nessuno degli amorevoli avvisi che l'affettuosa madre studiava di seminare nel tenero di lui cuore. Affinché poi il figlio non fosse talvolta annoiato, sapeva a tempo opportuno temperare la pietà con amene ricreazioni. Trastulli, passeggiate, regali, piccoli oggetti per giuop. 7 care, talora anche confetti e commestibili erano le l cose con cui la buona genitrice soleva incoraggiare e ricompensare la diligente condotta del figlio. Così la madre diveniva padrona del cuore del figlio, mentre esso provava le più care delizie nel passeggiare, nel parlare, nel trattenersi con lei.
Ma un gran disastro in colse Valentino nella perdita della madre quando appunto cominciava ad averne maggior bisogno.
Toccava appena i dodici anni allora che l'amata genitrice fu colpita da grave malattia che in pochi giorni la privò di vita. Ella ricevette con somma fretta gli ultimi conforti della religione: di poi chiamò Valentino al suo letto, e gli indirizzò queste ultime parole: «Caro Valentino, io ti debbo lasciare nell'età più pericolosa. Ricordati di fuggire l'ozio ed i catti85 vi compagni. Chiunque ti consigli cose contrarie al bene dell'anima, abbilo per nemico, e fuggilo come un serpente insidiatore. Io non ti sarò più madre in terra, spero di aiutarti dal cielo; per l'avvenire tua madre sarà la p. 8 Madonna Santissima, l pregala spesso, essa non ti abbandonerà, Dio ti benedica ... ».
La violenza del male la impedì di oltre parlare, e pochi minuti dopo era già cadavere.
Valentino fu addoloratissimo per quella perdita, e passò più mesi travagliato da tale malinconia che la stessa sua esistenza era in pericolo. Sofai. 2v lamente potè trovare qualche consolazione nel fare preghiere, limosine le penitenze, ascoltare molte messe in suffragio dell'anima della compianta genitrice. Né mai la dimenticò nelle varie e gravi vicende cui soggiacque nel corso della vita.
Osnero sentì anch'egli la grave perdita della moglie specialmente per l'educazione del figliuolo, di cui egli non poteva gran fatto occuparsi. Affari di amministrazione, mercati, fiere, talvolta partite al caffè ed all'osteria non l gli permettevano di occuparsi dell'educazione del figlio.
Valentino aveva già compiuto il corso elementare e nel paese nativo non essendovi classi superiori era mestieri mandarlo in un collegio per fargli proseguire gli studi.
Fu scelto un luogo molto rinomato, dove si diceva che la scienza, la civiltà, la moralità, faceva maravigliosi progressi. Le divise, i pennacchi, i cappelli bordati incantavano gli allievi ed i parenti dei medesimi.
Valentino acconsentì alla proposta, e andò ad intraprendere un nuovo tenor di vita in collegio. Prima provò qualche clifficoltà ad abituarsi.
Invece della voce di una madre tenera aveva un direttore affabile sì, ma deciso nel comandare, severo nel pretendere, rigoroso in ogni ramo Il di disciplina. Cionondimeno Valentino seppe guadagnarsi l'affezione de' suoi novelli superiori e si applicò di buon animo all'adempimento de' suoi doveri.
Attento ai comandi, puntuale all'orario della scuola e dello studio non l perdeva bricciolo di tempo. Ma trovò un gran vuoto nelle pratiche di pietà. Fino allora soleva ogni mattina ascoltare la santa messa; ogni sera faceva con sua madre un po' di lettura spirituale; si confessava regolarmente ogni quindici giorni, ed andava a fare la comunione ogni volta che il confessore glielo permetteva.
In collegio non era più così. Non si faceva né meditazione, né lettura spirituale; le preghiere si recitavano in comune ma una sola volta al giorno, stando in piedi e con grande fretta. Alla messa gli allievi intervenivano solamente nei giorni festivi, le confessioni avevano luogo una sola volta all'anno, alla Pasqua di risurrezione.
Queste cose cagionavano grande angustia nel cuore di Valentino.
Inoltre pel passato le sue orecchie non avevano mai udito parole men dicevoli; ma coi novelli compagni si usava ogni libertà nel parlare, ogni frizzo immodesto era tollerato, anzi le cose erano a tal punto che libri e giornali osceni correvano liberamente dall'uno all'alltro allievo. Spaventato a quei pericoli Valentino scrisse a suo padre una lettera in cui lo ragguagliava minutamente dei pericoli dell'anima sua, facendo notare quanto la vita di collegio fosse per lui perniciosa. Il Ma in questa lettera si censurare non poco la disciplina e l'andamento del collegio perciò il direttore stimò di ritenerla e non mandarla al suo indirizzo. Qualche tempo dopo Osnero andò a vedere il figlio che allora gli poté esporre liberamente le sue afflizioni. n padre ne fece poco conto e disse che non bisogna darsi in preda agli scrupoli; bensì vivere spregiudicato. «Se non puoi pregare, confessarti e andare ogni giorno alla messa, gli diceva, potrai poi ricompensare tutto in tempo delle vacanze. Ora procura di imitare i tuoi compagni più allegri e fa in modo di imitarli nella vita felice». Valentino aveva un carattere dolce e un'indole molto pieghevole, laonde alle parole del padre si calmò e senza badare a quello che sarebbe per avvenire di lui si pose a leggere libri e l giornali d'ogni genere. Si associò indistintamente ad ogni sorta di compagni prendendo parte ai loro discorsi qualche volta indifferenti, di rado buoni, spessissimo cattivi. Erano scorse poche settimane ed egli non solo non provava più ripugnanza per quel biasimevole tenor di vita, ma cercava con ansietà ogni mezzo di dissipazione. Il Non è caso di notare che in quella vita disordinata non pensò più né a confessarsi né a comunicarsi. Malgrado per altro quella vita dissipata non poteva mai cacciarsi di mente i ricordi della madre, e provava gravi rimorsi perché non li metteva in pratica.
Una sera tra il rincrescimento del male che faceva e del bene che trascurava ne rimase talmente commosso che diede in dirotto pianto. Ciò non ostante continuò nella vita disordinata. L'unica cosa che non ha mai dimenticato fu una preghiera per l'anima di sua madre che recitava ogni sera prima di porsi a letto.
Ma gli studi come andarono? Se non c'è moralità gli studi vanno male. Di mano in mano che Valentino prenldeva gusto alla vita spregiudicata, come avevagli detto il padre, provava ripugnanza allo studio; sicché gli ultimi cinque mesi di quell'anno furono affatto perduti. Nell'esame semestrale aveva ancora ottenuti buoni voti, e il padre dimostrò la sua soddisfazione regalandogli un bell'orologio. Ma nell'esame finale si ebbe un risultato sfavorevole e non fu promosso a classe superiore. A quella notizia Osnero provò grave dispiacere e pel danaro consumato inutilmente· e per l'anno di studio perduto. Ciò tanto più gli doleva, perché il suo Valentino sempre erasi fatto onore nelle classi percorse, e sapeva che una mediocre diligenza gli avrebbe bastato perché venisse onoratamente promosso.
Ma i dispiaceri di Osnero crebbero assai quando Valentino ritornò dal collegio. Il Vide suo figlio entrare in casa l senza quasi nemmeno salutarlo. Volendo fargli qualche osservazione sul cattivo esito de' suoi studi, ebbe questa risposta: «Ho fatto quello che ho potuto, niuno può pretendere di più, e se avessi saputo di ricevere rimbrotti sarei nemmeno venuto a casa». La sera stessa del suo arrivo andò a letto senza più recitare le solite preghiere, nè fare il segno della santa croce. Il mattino invece di andare a messa e servirla con gusto e piacere come in passato, egli dormì fino ad ora molto tarda. Di poi fatta colezione volle subito recarsi a far partita con alcuni compagni la cui frequenza eragli stata rigorosamente proibita dalla defunta genitrice. Un giorno suo padre voleva condurlo seco a passeggio, ma Valentino si rifiutò dicendo avere un appuntamento coi suoi compagni, perciò non potere andare con lui. li leggendario de' Santi, per tanti anni suo libro prediletto, non voleva nemmeno più aprirlo. In vece per lettura favorita aveva alcuni romanzi osceni che un l amico gli aveva regalati prima di partire dal collegio.
Osnero rimase stordito pel cangiamento di suo figlio, e sebbene pel passato non si fosse mostrato molto amante della pietà, amava tuttavia che il figlio si conservasse religioso per conservarlo buono. Gli venne in mente di condurlo dal suo prevosto, cui per lo avanti era sempre stato affezionatissimo, ma Valentino si rifiutò dicendo che dal prevosto ognuno deve recarsi a Pasqua per confessarsi, e non per cagionare disturbo lungo l'anno con visite inopportune. Il Un giorno mentre Valentino si tratteneva con alcuni compagni gli passò il prevosto vicino, ma egli volgendo la faccia altrove finse di non vederlo e voleva andarsene senza neppure salutarlo. Il prevosto osservò tutto, ma simulando di non accorgersene si avvicinò. «Mio Valentino, gli disse, hai fatto buon viaggio, stai bene, tuo padre è in salute?». Egli allora confuso restituì il saluto in fretta, ed asserendo che sarebbe poi l passato a fargli visita continuò cammino e discorso co' suoi amici.
Oltre a ciò Osnero si accorse che Valentino aveva contratto alcune pericolose abitudini quali sono mentire, giuocare e rubare in casa.
Pieno di dolore l'afflitto padre disse un giorno a Valentino:
- Mio caro figlio, quale cosa mai produsse in te un così fatale cangiamento?
- Voi mi avete detto di non !asciarmi dominare dagli scrupoli, e di vivere spregiudicato, io credo di avervi ubbidito.
- Io non intendeva questo ...
- Ma io ho inteso così, e se non mi volete in casa, io so dove andare.
Osnero lo avvisò, lo corresse più volte e lo sottopose anche ad alcuni castighi, ma senza frutto, perciocché un giorno risposegli Un'insolenza, altra volta fuggì, e dimorò tre giorni fuori di casa.
Ad Osnero sembrava impossibile che nello spazio di soli dieci mesi suo figlio così religioso, ubbidiente ed affelzionato fosse a tal segno cangiato da rispondere con baldanza al padre, non voler più sapere di religione, e divenuto un ladro domestico. Era già sul punto di prendere la disperata risoluzione di farlo chiudere in una casa Il di punizione, ma non volendo che il nome di carcere correzionale macchiasse l'onore della famiglia si appigliò a più mite consiglio.
«L'anno scorso, diceva tra se, io ho voluto scegliere un collegio troppo alla moda, mi sono lasciato allucinare dalle apparenze che non infondono né scienza, né moralità. Voglio cercare altro collegio dove la religione sia in modo eccezionale insegnata, raccomandata e praticata.
Bisogna pur troppo confessarlo, senza religione è impossibile educare la gioventù. Ma, come potrò risolvere Valentino ad entrare in un collegio di questa fatta, adesso che già contrasse tante pessime abitudini?»
Si avvicinava la fine di Ottobre, ed era giuocoforza deliberare intorno al luogo da scegliersi per Valentino.
Un giorno Osnero per disporre l'alnimo del figlio a secondare il suo divisamento, lo condusse a fare una partita di campagna; ordinò un pranzo che sapeva tornare di suo gusto, gli fece alcuni regali, lo accarezzò, gli 235 prodigò diverse promesse analoghe a dimande da lui fatte. Alla sera poi giunti ambidue a casa il padre lo chiamò in sua camera, e gli parlò così:
- Caro Valentino, ti ricordi ancora di tua madre?
- Sì che mi ricordo e me ne ricorderò sempre, né mai vado a letto senza fare qualche preghiera per l'anima di lei.
- Le porti ancora qualche affezione?
- Moltissima, e come potrò dimenticare una madre così buona e così degna d'essere amata?
- Faresti tu una cosa che sia a lei di gradimento e a te di grande vantaggio?
A quelle parole Valentino sentì commuoversi il cuore, li le lagrime cominciarono a spuntargli sugli occhi, di poi dando in dirotto pianto si strinse al collo d'Osnero dicendo: - Caro l padre, voi sapete di quanto sia debitore a mia madre, e quanto io l'abbia amata in vita; se ella ancora :vivesse, io mi lancerei nell'acqua e nel fuoco per ubbidirla, voi volete propormi cosa a lei cara? Mio padre, parlate, dite pure, io sono pronto a fare qualunque sacrifizio che possa tornare a lei gradito.
- Valentino, io vorrei proporti un collegio che tua madre prima di morire mi aveva nominato, un collegio dove tu possa studiare e praticare la pietà come appunto facevi nei giorni felici della compianta tua madre.
- Caro padre, lo sono nelle vostre mani; tutto quello che voi sapete far piacere a mia madre, piace anche a me, e sono pronto a fare qualunque sacrifizio per eseguirlo.
Ritorna alla pietà Osnero non si pensava di poter così presto risolvere il figlio a quella multazione, e la riconobbe come una benedizione del Cielo. Mfinché poi l'indugio non generasse difficoltà, volle il dì seguente condurlo dal direttore del proposto collegio per trattarne l'ammessione.
Il direttore fu non poco maravigliato alla prima comparsa di Valentino. Abiti nuovi e fatti con eleganza, un cappellotto alla calabrese, un
cannino in mano, una catenella luccicante sul petto, una lisciata spartita dei capelli azzimati erano le cose che pronosticavano lo Il spirito di vanità che già regnava nel cuore del nostro Valentino. Il padre si accordò facilmente intorno alle condizioni di accettazione, di poi supponendo aver altro a fare lasciò il figlio solo a discorrere col direttore. Alla vista d'un giovanotto così atteggiato quel direttore non giudicò opportuno parlargli di religione, ma discorse soltanto di passeggiate, di corse, di ginnastica, di scherma, di canto, di suono. Le quali cose facevano bollire il sangue nelle vene al vanerello allievo al solo udirne parlare. Ritornato poi il padre, appena poté discorrere liberamente con Valentino, «che te ne sembra, gli disse, ti piace questo luogo, che ne dici del direttore?»
- Il luogo mi piace assai, il direttore sembra tutto di mio genio, ma ha una cosa che mi è affatto ripugnante.
- Che mai, dimmelo, siamo ancora in tempo a provvedere diversamente.
- Tutto in lui mi piace ma egli è un prete, e questo me lo far mirar con ribrezzo.
- Non bisogna badare alla qualità di prete: piuttosto bada al merito ed alle virtù che lo adornano.
- Ma venir con un prete vuol dire pregare, andarsi a confessare, andarsi a comunicare. Da alcune parole che egli mi disse parmi che già conosca i fatti miei ... basta ... Ho promesso, manterrò la parola, il resto vedremo.
Pochi giorni dopo Valentino entrò nel nuovo collegio. Il padre giudicò d'informare il nuovo direttore di quanto era avvenuto del figlio e come
nutrisse tuttora una grande affezione verso la defunta genitrice. Separato dai compagni, distolto dalle cattive letture, la frequenza dei buoni con discepoli, l'emulazione in classe, musica, declamazione, alcune rappre295 sentazioni drammatiche in un teatrino, fecero presto dimenticare la vita dissipata che da circa un anno conduceva. Il ricordo poi della madre fuggi l'ozio ed i cattivi compagni, gli ritornava sovente alla Il memoria. Anzi fai con facilità ripigliò l'antica abitudine alle pratiche di pietà. La difficoltà era nel poterlo risolvere a fare la sua confessione. Aveva già passati due mesi in collegio. Si erano già fatte novene, celebrate solennità, in cui gli altri allievi procurarono tutti di accostarsi ai Santi Sacramenti: ma Valentino non si poté mai risolvere a confessarsi. Una sera il direttore lo chiamò in sua camera e memore della grande impressione che faceva sopra il suo cuore la memQria di sua madre, prese a dirgli così: «Mio buon Valen305 tino, sai di quale rimembranza ti è la giornata di domani?»
- Si che lo so. Dimani è anniversario della morte di mia madre. Madre amatissima, potessi una sola volta vedervi, od almeno una volta ancora udire la vostra voce!
- Faresti tu dimani una cosa che sia di gradimento a lei e di grande vantaggio a te stesso?
- Oh se lo farei! Costasse qualunque cosa!
- Fa dimani la tua santa comunione in suffragio dell'anima di lei, e le recherai grande sollievo qualora ella si trovasse ancor nelle dolorose fiamme del purgatorio.
- Io la fo volentieri, ma per fare la comunione bisogna che io mi confessi ... Se per altro questo piace a mia madre lo farò, e se lo giudica a proposito io mi confesso subito in questo momento da lei.
Il direttore che altro non aspettava, lodò il divisamento, lasciò che si calmasse la commozione, di poi lo preparò e con reciproca consolazione lo confessò; e il dì seguente Valentino si accostò alla santa comunione facendo molte preghiere per l'anima della compianta genitrice.
Da quel giorno la vita di lui fu di vera Il soddisfazione al suo direttore che non perdette più di vista il figliuolo spirituale che aveva acquistato.
Conservava ancor Valentino alcuni libri parte proibiti, parte dannosi ai giovanetti, e li portò tutti al direttore perché li consegnasse alle fiamme dicendo: «<o spero che bruciando essi non saranno più cagione che l'anima mia bruci nell'inferno».
Conservava eziandio alcune lettere degli antichi compagni colle quali gli davano parecchi cattivi consigli; ed egli le ridusse in altrettanti pezzi.
Ripigliò di poi gli studi, scrisse sopra la coperta dei libri i ricordi di sua madre, fuga dall'ozio e dai cattivi compagni.
Mandò quindi una lettera di buon capo d'anno al padre che provò grande consolazione nel vedere il figlio ritornato ai pensieri che per tanti anni aveva nutriti. Così passò il tempo di ginnasio.
Richiamando alla memoria come nella casa paterna vi erano parecchi l libri e giornali cattivi scrisse Valentino tante lettere a suo padre, seppe tanto accarezzarlo soprattutto in tempo di vacanza, fecegli tante promesse, che lo risolse a disfarsi di tutto. Inoltre per alcuni frivoli pretesti il padre mangiava grasso nei giorni proibiti. Valentino col suo contegno, con parole, raccontando esempi, e facendone umile richiesta al padre, riuscì a farlo desistere, inducendolo ad osservar le vigilie comandate dalla Chiesa appunto come deve fare ogni buon cristiano.
Valentino aveva passato cinque anni in collegio colla massima soddisfazione del genitore e de' suoi superiori. Da prima incontrava qualche difficoltà per abituarsi alla nuova disciplina, ma riflettendo che quello era il tenore di vita già praticato con sua madre ne l fu assai contento e ne provava continua allegria. In tempo di vacanza era eziandio di grande conforto e di piacere al genitore che quanto più si andava avanzando alla vecchiaia, tanto più concentrava i suoi affetti e le sue speranze nel caro suo figlio. Intanto Valentino percorreva già l'ultimo anno di Ginnasio con una condotta che lasciava niente a desiderare, e in tutti quei cinque anni·non parlò mai di vocazione. Aveva più volte dimandato al direttore del collegio a qual cosa lo consigliava di appigliarsi compiuto che avesse il Ginnasio. «Sta buono, gli rispondeva, studia, prega, e a suo tempo Dio ti farà conoscere ciò che sarà meglio per te.
- Che cosa debbo praticare, affinché Dio mi faccia conoscere la mia vocazione?
- S. Pietro dice che colle buone opere noi possiamo renderei certi della vocazione e della elezione dello stato.
Alla pasqua del quinto anno del ginnasio dovendosi cominciare gli esercizi spirituali egli disse che in quest'occalsione desiderava trattare della sua vocazione e sebbene da qualche tempo si sentisse grande propensione allo stato ecclesiastico, tuttavia temeva eli esserne impedito dalla sua cattiva condotta passata. Si presentò pertanto in quei giorni al elirettore, e tenne seco lui un colloquio, che noi abbiamo trovato scritto fra le sue carte; Il eccolo: Valentino. Quali sono i segni che manifestano essere o non essere un giovane chiamato allo stato ecclesiastico? Direttore. La probità dei costumi, la scienza, lo spirito ecclesiastico.
- Come conoscere se vi sia la probità dei costumi?
- La probità dei costumi si conosce specialmente dalla vittoria dei vizi contrarli al sesto comandamento e eli ciò bisogna rimettersi al parere del confessore.
- Il confessore già mi disse che per questo canto posso andare avanti nello stato ecclesiastico con tutta tranquillità. Ma e per la scienza?!
- Per la scienza tu devi rimetterti al giudizio dei superiori che ti daranno gli opportuni esami.
- Che cosa s'intende per ispirito ecclesiastico? Per ispirito ecclesiastico s'intende la tendenza ed il piacere che si prova nel prendere parte a quelle funzioni di chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni.
- Niente altro?
- Vi è una parte dello spirito ecclesiastico che è d'ogni altra più importante. Essa consiste in una propensione a questo stato per cui uno è desideroso di abbracciarlo a preferenza di qualunque altro stato anche più vantaggioso e più glorioso.
- Tutte queste cose trovansi in me. Mia madre desiderava ardente390 mente che mi facessi prete, ed io era più ansioso di lei. Ne fui avverso per due anni, per quei due anni che voi sapete: ma al presente non mi sento a nissun'altra cosa inclinato. Incontrerò alcune difficoltà da parte di mio padre che mi vorrebbe in una carriera civile, Ili ma spero che Dio mi aiuterà a superar ogni ostacolo.
Il direttore gli fece ancora osservare che il farsi prete voleva dire rinunziare ai piaceri terreni; rinunziare alle ricchezze, agli onori del mondo, non aver di mira cariche luminose, esser pronto a sostenere qualunque disprezzo da parte dei maligni, e disposto a tutto fare, a tutto soffrire per promuovere la gloria di Dio, guadagnargli anime e per prima salvare la propria. <<Appunto queste osservazioni, ripigliò Valentino, mi spingono ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Imperciocché negli altri stati avvi un mare di pericoli, che trovansi di gran lunga inferiori nello stato di cui parliamo». Ma le difficoltà dovevano appunto incontrarsi dalla parte del padre.
Al mese di maggio di quell'anno Valentino scrisse al padre una lettera in cui gli manifestava la sua deliberazione e gliene chiedeva il consenso. <<Mio padre, diceva, ho attentamente esaminata la mia vocazione, ho dimandato consiglio ai miei superiori e specialmente al confessore; dopo cui ho deliberato di abbracciare lo stato ecclesiastico. So che voi mi amate, e desiderate il mio vero bene, perciò spero che ne sarete al par di me contento.
Quando io era fanciulletto mia madre mi condusse avanti un altare della Madonna, che è nella nostra chiesa, e dopo ripetute preghiere, l'ho più volte udita a dire: Maria, fate che questo mio figlio sia sempre vostro, e se non si oppone al bene dell'anima sua fatene uno zelante sacerdote. Spero che il desiderio di mia madre sarà anche il vostro».
Alla lettura di questa lettera Osnero restò afflittissimo. Egli aveva una vistosa fortuna; Valentino era l'unico erede, e atteso il suo ingegno non ordinario, il suo amore alla fatica, la vivacità del carattere, la bontà e la pieghevolezza dell'indole se gli l presentava davanti una delle più brillanti carriere civili. Perciò l'affezionato genitore desiderava che si appigliasse a qualche carriera nel secolo e fosse per così dire il bastone della sua vecchiaia, il sostenitore del suo nome e della sua famiglia. Scrisse una lettera in cui si mostrava adirato e pentito di averlo messo in quel collegio, criticava quei superiori di averlo educato troppo nella religione, gli comandava di venire immediatamente a casa con proibizione di non mai più parlargli di vocazione. Ma riflettendo alle gravi conseguenze che quella lettera avrebbe potuto produrre, non la spedì, e ne scrisse un'altra più mite del tenore seguente.
«Amato figlio . Dalla tua lettera conosco che tu intendi abbracciare lo stato ecclesiastico. Questa deliberazione è immatura, la tua età ti rende incapace di conoscere quello che tu risolvi di fare. Tu devi dipendere da me, e non da altri. Io sono tuo padre, io solo posso e voglio renderti felice. Le sostanze in casa non ti mancheranno, una luminosa carriera ti si va preparando, un lieto avvenire ti attende. Ma non badare ad altro che a tuo padre. Fammi pronta risposta, e dimmi sinceramente quello che pensi e che vuoi fare».
Valentino lesse la lettera, e con tutta tranquillità rispose al padre così: «La vostra lettera conferma la grande affezione che avete sempre avuta per me. Voi, o padre, volete la mia felicità, e questa felicità io la vedo nello stato ecclesiastico. Nissun onore, niuna carriera, né mai altra ricchezza potrà rendermi felice fuori dello stato ecclesiastico. Padre mio, Iddio del Cielo e della terra è mio e vostro padrone. Se egli mi volesse suo ministro vorreste voi apporvi? La dignità del sacerdote non è superiore a tutte le dignità della terra? Se ci assicurassimo la salvezza dell'anima, non avremmo guadagnato il più gran tesoro che l'uomo possa guadagnare sulla terra? Vi assicuro per altro, che qualunque cosa io faccia non sarò giammai per abbandonarvi. Finché vivrò, l nulla risparmierò per confortare la vostra età, amarvi e rispettarvi e procurarvi una vita felice».
Osnero comprese che colle opposizioni non avrebbe guadagnato nulla sull'animo del figlio, quindi giudicò meglio dissimulare ogni suo divisamento e attendere le vacanze. Perciò gli scrisse che aveva con piacere ricevuta la sua lettera, si facesse animo e che terminati i suoi esami fosse tosto andato a casa. Del resto avrebbero poi parlato di presenza e si sarebbero di ogni cosa intesi alla fine dell'anno scolastico. Valentino con esito felicissimo subì i suoi esami, ma non sapeva risolversi di andare a casa per timore che il padre continuasse ad opporsi alla sua vocazione.
Osnero dal suo canto non vedendo il figlio, venne egli stesso a prenderlo per condurlo in vacanza. Qui ci fu una scena assai commovente. Valentino desiderava che prima di partire il padre gli assicurasse il sospirato consenso di farsi prete; questi nulla voleva promettere, e l'altro non vole465 va nulla l risolvere. In fine Osnero prese questo temperamento dicendo: «Se la tua vocazione ti viene dal cielo, io non voglio oppormi e ti do il mio pieno ed assoluto consenso. Ma siccome io temo che tu non conosca quello che fai, così io voglio che venga a casa; e dopo alcuni giorni di vacanza ci apriremo liberamente il nostro cuore, quindi Il se perseveri nello stesso volere ti lascierò pienamente libero, anzi niente risparmierò per favorirti e secondarti nel nobile tuo disegno>>.
A quelle parole, a quelle promesse Valentino si arrese. Nel congedarsi dal collegio il direttore gli indirizzò queste parole: «Mio buon Valentino, una gran battaglia ti aspetta. Guardati dai cattivi compagni e dalle cattive letture. Abbi sempre la Madonna per madre tua e ricorri spesso a lei. Fammi presto sapere delle tue notizie». Valentino molto commosso tutto promettendo partì col padre alla volta della patria.
La più trista sventura che possa cogliere un giovanetto è una mala guida; di essa purtroppo fu vittima anche il nostro Valentino. Mi trema la penna in mano mentre scrivo, e non crederei a me stesso se la verità del racconto non escludesse ogni dubbio. Quell'infortunio possa almeno servire di ammonimento ad altri.
Giunto Valentino alla casa paterna fu lasciato alcuni giorni in balia di se stesso, senza che gli fosse fatta parola di vocazione. Intanto il padre accecato dal desiderio che suo figlio dovesse divenire il sostegno del suo nome e dello stipite della famiglia, voleva a qualunque costo indurlo a cangiar progetto intorno alla vocazione e per riuscire si appigliò al diabolico divisamento di affidarlo ad un uomo di guasti costumi, affinché insegnasse la malizia al povero suo figlio. Padre infelice, per la speranza di un misero l temporale vantaggio rovina la casa, l'onore, il corpo, l'anima propria e del figlio!
Osnero adunque affidò Valentino ad un certo Mari, affinché lo con495 ducesse in mezzo al mondo, glielo facesse bene conoscere, dipoi deliberasse intorno alla sua vocazione. Questo Mari era uomo alquanto attempato, il quale aveva passata la vita ne' passatempi e ne' vizi, che solamente la sua età costringeva di abbandonare. Osnero disse dunque: «Mio caro Mari, voi siete sempre stato un amico sincero della mia famiglia; ora ho cosa di molto rilievo da raccomandarvi. Il mio Valentino vuol farsi prete, io non voglio ... Voi già mi capite, prendetelo seco voi, fatelo viaggiare, vedere, godere quanto vi è nel mondo. Ciò che spenderete è tutto a mio conto, abbiate soltanto cura della sua sanità». Il «Lasciate far da me, rispose Mari sorridendo, comprendo tutto, voi non potevate scegliere persona più capace per quest'impresa, io procurerò di contentare il figlio e rendere a voi il servizio che desiderate». Partirono, e nel partire Mari si adoperò che Valentino seco non avesse alcun libro di divozione; laonde per fargli passare la noia del cammino gli andava raccontando mille storielle di frati, di preti, di monache; da prima indifferenti, di poi andò avanti grado per grado in cose invereconde. Quindi gli somministrò libri di materie oscene che a prima vista Valentino rigettò con orrore; ma che poco a poco cominciò a leggere per passatempo, di poi per curiosità, e non era ancora scorso un mese quando il povero Valentino erasi già abituato ad ogni genere di lettura e discorsi. Una sola parola di un amico forse in quel momento l'avrebbe ritratto dalla rovina, ma quell'amico non l'ebbe. Così il perfido Mari dopo di avere fatto girare
l'infelice Valentino per alberghi, giuochi, caffè, balli, teatri, dopo averlo fatto viaggiare in varii paesi e città, finalmente riuscì a sedurlo e per colmo di sventura ingolfarlo in quel vizio che S. Paolo vuole che sia nominato fra l i cristiani. Valentino vedeva l'abisso verso cui camminava e sul principio ne sentiva i più acuti rimorsi. Cercò più volte di andarsi a confessare; ma la scelerata guida ne lo ha sempre impedito. Una sera voleva a qualunque costo recarsi presso un convento di cappuccini e
Mari gli fece sbagliare la strada e lo condusse in una casa di perversione.
Valentino fu dolente e provò tale rincrescimento e giunse a tal segno di disperazione che era per precipitarsi giù da una finestra del terzo piano dell'albergo, se Mari non fosse corso a rattenerlo per gli abiti. «In quel momento, disse più tardi Valentino, io giudicava che la morte fosse un male minore dei rimorsi di coscienza, da cui era in quell'istante travaglia530 to». Ma questi rimorsi non durarono molto. Quasi insensibilmente Mari abituò Valentino ai cattivi Il discorsi, ad ogni lettura perversa, e richiamando alla memoria il buon tempo goduto nel primo anno di collegio si abbandonò ad ogni sorta di vizio, anzi dopo sei mesi di vita dilsordinata non solamente non faceva più opposizioni a Mari, ma di buon grado lo secondava in ogni suo malvagio volere. Vedendo le cose a questo punto, persuaso così di avere compiuta la diabolica sua missione, Mari ricondusse Valentino al padre.
- Credo avervi servito, disse Mari salutando Osnero.
- Vi ringrazio, Mari, voi siete sempre stato un amico di mia famiglia, ed ora avrete un motivo di più alla mia gratitudine.
- Padre, disse Valentino correndo ad abbracciarlo, padre, io sono tutto ai vostri cenni.
Non ti farai più prete?
- No certamente, farò qualunque altra cosa, ma non prete.
- Sia benedetto il Cielo, io sono un padre fortunato. Dimani voglio invitare tutti i miei amici a festeggiare il tuo ritorno.
Osnero era come colui che cammina tranquillo sopra un terreno coperto di fiori ignorando che sotto ai medesimi vi sia un abisso profondo, né sarebbesi l giammai immaginato che il ritorno di Valentino dovesse per lui essere presagio d'immensi mali.
Non solamente non faceva più opposizioni a Mari, ma di buon grado lo secondava in ogni suo malvagio volere. Vedendo le cose a questo punto, persuaso così di avere compiuta la diabolica sua missione, Mari ricondusse Valentino al padre.
- Credo avervi servito, disse Mari salutando Osnero.
- Vi ringrazio, Mari, voi siete sempre stato un amico di mia famiglia, ed ora avrete un motivo di più alla mia gratitudine.
- Padre, disse Valentino correndo ad abbracciarlo, padre, io sono tutto ai vostri cenni.
Non ti farai più prete?
- No certamente, farò qualunque altra cosa, ma non prete.
- Sia benedetto il Cielo, io sono un padre fortunato. Dimani voglio invitare tutti i miei amici a festeggiare il tuo ritorno.
Osnero era come colui che cammina tranquillo sopra un terreno coperto di fiori ignorando che sotto ai medesimi vi sia un abisso profondo, né sarebbesi l giammai immaginato che il ritorno di Valentino dovesse per lui essere presagio d'immensi mali.
Poi un altro mutuo che Osnero pagò per non vedere suo figlio tradotto avanti ai tribunali dei malfattori. L'afflitto padre malgrado la sua cadente
età intraprese più volte il viaggio fino a quella città, pregò, avvisò suo figlio, gli raccomandò di ritornare alla religione, alla vita felice che un tempo godeva.
- Padre, rispondeva Valentino, le lezioni di Mari producono il loro effetto, mi è impossibile tornare indietro. So che sono per la strada della rovina, ma bisogna andare avanti.
- Caro Valentino, disse il padre piangendo, dammi ascolto. Vieni a casa, fa quello che vuoi, purché abbandoni la cattiva strada per cui ti sei messo. Questa tua vita ti conduce al disonore, alla miseria, all'infamia, e conduce me anzi tempo alla tomba.
Valentino lo guardò fisso, e come volesse dire essere quello per colpa sua soggiunse: «Perché mi avete impedita la vocazione?» Ciò detto abbandonò il padre in mezzo Il di una piazza, andò da un sensale per contrarre un altro mutuo maggiore dei primi, poi ritornò ai suoi tristi compagni.
Quest'atto fu come un colpo di spada al cuor di Osnero. Conobbe allora la conseguenza fatale di una vocazione impedita, detestò la conoscenza del perverso Mari, deplorò il momento in cui gli aveva affidato il suo caro Valentino, ma fu pentimento senza frutto. Nell'eccesso del dolore si mise a piangere, ed andava per le vie di quella città esclamando: «Se mai potessi far tornare a casa il mio Valentino sarei contento che si facesse prete, frate, e qualunque altra cosa, purché tornasse indietro dalla via del disonore! Padre infelice, figlio sventurato! che tristo avvenire si prepara mai per te!>
Giunto a casa supplicò il suo paroco a dargli lume e consiglio: il parroco provò a scriver lettere a Valentino, che nulla rispose. Supplicò alcuni amici che abitavano nella medesima città affinché volessero tentare i mezzi estremi per richiamare il figlio dalla via dellibertinaggio. Ma mentre queste cose si trattavano giunse la notizia che Valentino si era associato ad alcuni malandrini i quali lo fecero prender parte ad una delle più nefande azioni. Fu sorpreso sull'atto del delitto e coi perversi compagni tradotto in carcere. Osnero non poté sostenere quel colpo fatale: la sua età, la sensibilità del suo cuore parvero trarlo fuori di senno. Cadde svenuto sulle braccia d'alcuni amici che erano accorsi per recargli conforto.
Ritornato in sé un momento, «Maledetto Mari, esclamò, me sventurato, figlio infelice! Io vado a rendere Il conto a Dio ... di una vocazione impedita».
Ciò detto cadde nuovamente in deliquio e sorpreso da fremito violento spirò.
Morto Osnero i creditori di Valentino vollero essere tutti pagati, perCIO si dovette vendere ai pubblici incanti parte delle sostanze paterne.
L'altra parte venne devoluta al fisco che per dare corso ai processi, pagare i mutui fatti, indennizzare alcuni cui Valentino aveva cagionato grave danno, mandò a fondo ogni sostanza. Di Valentino erasi soltanto saputo come tradotto da uno ad un altro carcere, la sua causa era giudicata assai grave, la sua stessa vita in pericolo, di poi passarono più anni senza che niuno avesse potuto avere sentore di lui. Finalmente per posta giunse al direttore del collegio, dove egli aveva fatto il ginnasio, una lettera, in cui dava ragguaglio della condanna a lui toccata con alcune notizie che credo bene di mettere qui per intiero:
Sempre amato Sig. Direttore.
Chi vi scrive è un vostro antico ed una volta a voi caro allievo che ora è un condannato ai lavori forzati. Inorridite, perdonatemi e leggete.
Quando partii da voi per recarmi in vacanza col povero mio genitore aveste la bontà di darmi alcuni ricordi che avrebbero fatto la mia fortuna, se li avessi posti in pratica; ma stolto che fui, li ho trascurati con irreparabile mio danno. Mi diceste di scrivervi presto. Ma un poco per colpa, un poco per impotenza noi feci mai. Ora mi è dato di farvi pervenire una lettera per mano sicura, e perciò compio il mio dovere, e verso nel vostro paterno cuore le amarezze dell'animo mio, come già un tempo depositava ogni segreto della mia coscienza.
Che tristi fatti succedettero Il dopo la nostra separazione! L'infelice mio padre per impedirmi la vocazione mi affidò ad un uomo scellerato, che con modi scaltri e seducenti mi ingolfò in ogni sorta di vizi.
I rimorsi, l'orrore al male mi hanno sempre accompagnato, ma non potei mai risolvermi a ritornare indietro. L'ultimo delitto, inoridisco a dirlo, fu un assassinio. O cielo! che nefanda parola! Un vostro allievo che riportò il primo premio di moralità; che voleva abbracciare lo stato ecclesiastico oppure percorrere una luminosa carriera nel secolo, ora è costretto di coprirsi della più nera infamia e chiamarsi assassino. Ascoltate. Dopo aver passato alcuni anni nel giuoco e nei bagordi io mi trovava oppresso dai debiti ed inseguito dai creditori. Colla speranza di guadagno aveva passata una notte nel giuoco con alcuni ribaldi. Quando trovandoci senza danaro uno di loro propose d'introdurci in una casa mentre il padrone dormiva, e commettere un furto. Ognuno guardò fisso in volto il male augurato consigliere e tremò a quella detestabile proposta, giacché appartenevano tutti ad onesta famiglia, ma niuno ardi fare osservazioni
- Con false chiavi e con qualche rottura eravamo già penetrati in una camera, scassinata una cassa di ferro, già poste le mani sopra una vistosa somma di danaro, allora che svegliandosi il padrone, «ai ladri, ai ladri» si mette a gridare, «ai ladri», gridano i servitori, e tosto danno di piglio a stanghe, bastoni, tridenti od altro che cadde loro nelle mani. Uno dei miei compagni per frenare le grida di spavento e per difendersi sconsigliatamente sparò una pistola che andò a colpire un braccio della moglie del padrone che giaceva tuttora in letto ammalata. Alle grida che si andavano da ogni angolo elevando tentammo di fuggire, ma non fummo più a
tempo. La forza pubblica si era impadronita di tutte le uscite e noi in numero di cinque cademmo nelle mani de' gendarmi. La povera ammalata sia per la ferita toccata, sia pel male che già aveva, o per lo spavento che provò rimase convulsa e nel giorno seguente cessò di vivere. Il Intanto fummo tutti condotti prima in una di poi in altra prigione. Finalmente dopo due anni uno fu condannato ai lavori forzati a l vita, io e gli altri tre ad anni quindici della medesima pena. Ora sono qui da tre anni; in vista della mia buona condotta mi vennero già condonati due anni. Chi sa che qualche favorevole avvenimento non mi procuri altra diminuzione di pena!
O caro padre dell'anima mia, chi l'avrebbe mai immaginato che un vostro allievo, il quale accolse con tanto piacere i vostri avvisi, e fu tante volte confortato dalle vostre carezze dovesse un giorno diventare, orrendo a dirsi! un galeotto? Ora ascoltate dove andarono a terminare tutte le agiatezze di mia famiglia ed in quale condizione io mi trovo. Da mattino a sera condannato a duri e faticosi lavori senza altro compenso che continui strapazzi e non di rado sonore vergate. Il mio letto è un duro saccone; una scodella di minestra al sale, un po' di pane e di acqua sono il mio alimento quotidiano. Ma questo è niente. L'odio poi, il disprezzo, le imprecazioni, le oscenità, le bestemmie che orrende e continue ci suonano all'orecchio rendono questo luogo simile all'inferno. Il disonore portato
alla famiglia, l'infamia, di cui ho coperto il mio nome, il tristo mio avvenire, la morte anticipata all'amato mio genitore sono rimorsi che mi agitano giorno e notte. Forse voi direte: Come hai tu potuto diventare tanto scellerato, mentre per cinque anni fosti cotanto buono con noi? Io non sono mai stato, nemmeno adesso non sono un scellerato. Io sono un giovane infelice, uno sventurato, ma non perverso. L'opposizione fatta dal padre alla mia vocazione, una guida infame mi condussero prima alla frequenza di perversi compagni, di poi all'abisso in cui mi trovo. Ma la religione fu sempre meco ed in ogni malvagia azione non potei mai dimenticare quella parola che con tanta bontà mi avete più volte fatto risuonare all'orecchio: Se perdi l'anima tutto è perduto, se salvi l'anima tutto è salvo in eterno. Il Ora conosco le enormità de' miei delitti, adoro la mano del Signore che mi ha percosso e accetto l i miei mali in penitenza de' miei misfatti. Non so quale sia per essere il futuro mio destino; ma se mai potrò un giorno uscir dal luogo del disonore, correrò immediatamente ai vostri piedi; i vostri consigli saranno la norma delle mie azioni per tutta la vita; anzi ho ferma speranza che nella vostra grande bontà sarete per darmi presso di voi una qualunque siasi occupazione comunque vile, purché io possa lavorare, far penitenza e salvarmi l'anima. Vogliate .intanto raccomandare càldamente ai genitori di giovani studenti di aprire l'occhio se dove mettono i loro figli ad educare vi sia religione e moralità, né mai si oppongano alla scelta della loro vocazione. Ma non cessate mai di raccomandare due cose speciali a' miei antichi compagni o ad altri giovanetti che si trovassero tuttora sotto alla vostra paterna disciplina, che: Fuggano i cattivi compagni come nemici funesti che conducono anima e corpo alla rovina; 2° Nel decidere della loro vocazione ci pensino seriafai. 15' mente Il e dopo la preghiera si tengano l ai consigli di una guida pia, dotta e prudente. Qualora per altro incontrassero difficoltà da parte dei genitori non seguano il mio esempio, si acquietino, preghino, insistano presso ai parenti con pace e tranquillità, fino a tanto che vengano tolti gli ostacoli e possano compiere le cose che sono secondo l'adorabile volontà del Signore.
Pregate Dio perché mi conceda la grazia di poter ancora rivedere l'amato vostro cospetto per essere guidato dai paterni vostri consigli, riparare i miei scandali con una vita cristiana finché per la grande misericordia del Signore mi sia dato di abbandonare l' esiglio e la valle del pianto per quindi volare in seno al Creatore per lodarlo e benedirlo in eterno.
Mari erasi trovato anch'egli presente alla morte di Osnero, e quando esso i lanciogli contro quella maledizione, lo fissò con uno sguardo così minaccioso e truce che ne rimase tutto atterrito. Pareva che quello sguardo gli volesse dire: Mari, tu sei cagione delle mie sciagure, e della mia morte. E sebbene la vera causa del suo male fosse Osnero medesimo, perciocché egli non avrebbe mai dovuto affidare suo figlio ad un uomo scostumato, per altro è vero altresì che Mari fu lo strumento fatale di
quella iniquità, né mai avrebbe dovuto aderire all'inconsiderata proposta di un amico con mezzi così empi e nefandi. Ora dovete notare che Mari vantavasi per uomo spregiudicato in fatto di religione, non aveva mai dato segno di paura, né pei vivi, né pei morti; tuttavia dopo la morte di Osnero gli pareva che il terribile sguardo di lui lo accompagnasse giorno e notte. Fu talvolta veduto lasciare il pranzo e fuggire spaventato, come diceva, dal tetro aspetto di Osnero che lo minacciava.
Non di rado notte tempo svegliavasi gridando e chiamando i suoi servi Il perlché accorressero ad allontanargli lo spettro o l'ombra di Osnero. Quest'ombra, questo spettro credo fossero niente altro che i rimorsi della coscienza i quali sono sentiti anche dai più malvagi.
Mari stesso non potendo persuadersi che ciò non fosse trasporto di fantasia, giudicò di trovare qualche sollievo nei giuochi, nelle feste da pranzo, nelle partite cogli amici, ma non riuscì a migliorare la sua sorte, perciocché appena ritornava a casa, gli spettri, le ombre, le immaginazioni lo atterrivano più che mai. Uno dei suoi antichi amici gli suggerì un giorno di andare a chiedere qualche buon consiglio dal paroco. «preti, gli diceva, hanno certi segreti o consigli o benedizioni, come dicono essi, che spesse volte sono efficacissimi a calmare le interne desolazioni». Mari non era famigliare né col paroco, né con altri preti, ma soleva trattare tutti con gentilezza e con grande cortesia; né aveva mai mostrato contro al suo prevosto alcuna avversione se non quella che un uom mondano suole avere ! pei ministri della religione. Ritardò ciò non di meno alcuni giorni finché vedendo ognor più crescere le sue pene, ed i suoi affanni, si deliberò di fare la proposta visita al suo paroco. Quell'uomo di Dio lo accolse con tutta bontà, e discorrendo ascoltò la relazione delle angustie e dei mali di Mari. In fine il buon pastore cercava di calmarlo facendogli fol. osservare essere quello un effetto della profonda impressione cagionata dalla perdita dell'amico Osnero. Di poi stringendo affettuosamente a
Mari la mano, disse: «Tuttavia, o caro Mari, io credo di proporvi un rimedio efficacissimo pei vostri mali, e che vi apporterà un sensibile vantaggio.
- Si parlate, io farò e prenderò il rimedio che sarete per suggerirmi, io vi ho sempre stimato assai, ed ho in voi molta confidenza.
- Voi pel passato non avete badato gran cosa alla religione. Le gravi vostre occupazioni forse ve ne hanno distolto. Ora ascoltate la voce del vostro pastore, preparatevi, fate una buona confeslsione, e in questo voi troverete un potente sollievo ai vostri mali.
A queste parole inaspettate Mari cangiò di colore in volto dando un severo sguardo al paroco, di poi pigliando il cappello si alzò in piedi. «Signor prevosto, sono vostro servo, queste non sono cose da proporsi a Mari. - Ciò detto tutto pien di collera immantinenti partì.
Giunto a casa con sua grande sorpresa trovò una lettera inviatagli da Valentino. In quella gli rimproverava nel modo più duro e risentito le perfide insinuazioni con cui l'aveva messo per la via del disonore e della desolazione. «I vostri perversi consigli, terminava la lettera, condussero la mia casa alla rovina, mandarono il caro mio padre anzi tempo alla tomba, e di un onesto giovanetto faceste un galeotto».
Questi rimproveri furono un colpo di fulmine all'abbattuto animo di Mari, sicché vie più sembravagli di essere inseguito dallo spettro di Osnero, e dal rimorso di aver fatto infelice V allentino. Cadde quindi nella inedia a segno che aveva a noia ogni sorta di cibi, e in breve si trovò ridotto ad una estrema debolezza. Febbri, infiammazioni degli intestini, ed una specie di ulcerazioni, furono come le conseguenze dei mali già esistenti. Il
In quello stato compassionevole Mari cominciò a pensare seriamente ai casi suoi, e accorgendosi che l'ulcerazione dei visceri estendevasi fino alla gola, ed una quantità di piccole pustule invadevano la lingua che gonfiando sensibilmente lo minacciavano d'impedirgli la loquela, non poté più illudersi della gravità del male. «Povero Mari, fu udito esclamare tra sé, ogni cosa sta per finire per te, tu devi abbandonare il mondo, e dove andrai? Il tuo corpo al cimitero, ma l'anima tua? Povero Mari! Se tu avessi pensato per tempo a questo momento, quanto mai ora saresti con fortato!» Dopo chiese una bibita che non poté inghiottire. Fece allontanare i suoi servi ed i suoi amici per riposarsi un momento; ma appena poté gustare alcuni istanti di sonno che l subito si svegliò gridando e chiamando aiuto. Il «Miei cari, disse a' suoi amici, in questo momento m'apparve tremenda in sonno l'ombra di Osnero, che mi rivelò prossima la morte e la comparsa che presto dovrò fare innanzi al Giudice supremo. Forse non sarò più a tempo, tuttavia voglio fare l'ultima prova; andate tosto a pregare il signor prevosto, ditegli che io sono vicino a morte, e che lo attendo al più presto possibile». prevosto soleva andare ogni giorno a prender notizie di Mari, ma gli fu sempre vietato di avvicinarsi al suo letto. In quel momento egli
si trovava appunto alla porta di casa chiedendo di entrare. Fu sull'istante introdotto dall'infermo.
- Signor prevosto, gli disse Mari commosso e maravigliato di vederlo così presto presso di lui, perdonatemi le ingiurie che vi ho fatto, io vi ho oltraggiato ...
- Non parlate di perdono, io non fui mai offeso da voi, io vi ho sempre l amato e più vi amo adesso che Il mi fate il più grande piacere di ammettermi alla vostra presenza.
- Signor prevosto, soggiunse Mari rompendo in lagrime, posso ancora avere speranza di salvarmi?
- Sì, caro Mari, la misericordia di Dio è infinita. Egli vi diede tempo, vi dà la volontà e dispose che io qui mi trovassi per aiutarvi. Fatevi animo, voi siete nelle mani di un amico.
- Dio vorrà-perdonare la moltitudine delle mie iniquità?
- Sì, Mari, io ve l'assicuro a nome di questo Salvatore, la cui bontà immensa vedete rappresentata sopra questo crocifisso». Ciò diceva, mostrandogli l'immagine di un crocifisso che portava sempre seco nelle visite agli infermi.
Che fare adunque?
Una buona confessione.
Non ne son più capace, le forze mi mancano.
Non ve ne date pena, io sono il vostro prevosto, io vi aiuterò, rispondete solamente a quanto vi dimando.
Quindi con zelo e con carità gl'incominciò la confessione. Uno interrogava, l'altro rispondeva, e dove Mari restava confuso, il prevosto con disinvoltura ammirabile faceva la parte di confessore e di penitente. Ma che? dopo alcuni minuti Mari apparve così sfinito di forze e la sua lingua gonfiò così sensibilmente, che gli si impediva quasi affatto di parlare.
Ciò nondimeno, non senza gravi difficoltà, poté terminare la sua confessione.
Compiuta la confessione Mari si mostrò molto più tranquillo, e in mezzo a' suoi mali apparve con aria ilare quale da molti anni niuno l'aveva più veduto. Chiamati quindi i suoi parenti ed amici fece uno sforzo e profferì queste ultime parole: «Ho dato scandalo, perdonatemi, i miei mali e la mia morte siano in penitenza de' miei peccati. Mio Dio, vi ringrazio, mio Dio misericordia». Desiderava molto di ricevere il Viatico, ma le ulcerazioni della gola e la gonfiezza Il della lingua ne lo impedirono.
Visse ancora due giorni in quello stato di angustia e l di patimento con piena cognizione, ma con piena rassegnazione ai divini voleri, senza poter parlare. Il suo prevosto non lo abbandonò più né giorno né notte, e qualora egli avesse tentato per qualche istante di allontanarsi Mari lo prendeva tosto per mano, gliela baciava affettuosamente e lo invitava con segni di caldo desiderio a rimanere. Baciava spesso il crocifisso, e ripeteva meglio che poteva le frequenti giaculatorie che di quando in quando gli erano suggerite.
Poche ore prima che mandasse l'ultimo respiro, apparve molto agitato: voleva parlare e non poteva, baciò il crocifisso, di poi portò gli occhi sopra gli astanti, e non potendo dire parole, si mise a piangere. Gli astanti erano costernati perché non potevano comprendere quello che volesse esprimere e pensarono di portargli una penna con un foglio di carta per provare se mai avesse potuto in qualche Il modo palesare i suoi pensieri.
Mari ne mostrò piacere, prese la penna e sorretto nella persona dai suoi amici, e appoggiando la mano sul braccio del prevosto scrisse queste parole: «Valentino, perdono dello scandalo dato, vivi da buon cristiano e sarai felice in punto di morte. Io muoio pentito; la divina misericordia sia
per me e per te, ti attendo all'eternità». Dopo lasciò cadere la penna e facendo una specie di sorriso, come di chi ha soddisfatto ad un suo grande desiderio, si adagiò di nuovo sul suo capezzale, entrando quasi subito in agonia, senza più dare alcun segno di cognizione. Il prevosto che poco prima gli aveva amministrato l'Olio Santo allora gli compartì la benedizione papale. Di poi mentre leggeva le preghiere del proficiscere l'anima di Mari lasciò di vivere nel tempo Il per andare a cominciare la sua eternità dove speriamo avrà trovato misericordia nel cospetto del Signore.
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