Sono i giovani del Libano quest'anno a dar voce alle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Se meditare il percorso di Cristo verso il Calvario significa anche guardare al male e al peccato che feriscono l'umanità, le meditazioni offrono una risposta ai pregiudizi e all'odio “che induriscono i cuori.
Sono i giovani del Libano quest’anno a dar voce alle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. A loro, sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, Benedetto XVI aveva chiesto di esprimere, nelle XIV stazioni della Passione di Cristo, le ansie e le attese dei popoli del Medio Oriente. E così, nell’anfiteatro Flavio, la cristianità conoscerà le ingiustizie, le divisioni fra cristiani, il fondamentalismo e la violenza che dilaniano i popoli mediorientali, ma anche le sofferenze e i mali dell’intera umanità.
“Una speranza salda, una fede viva”: sono gli strumenti che la Via Crucis consegna al cristiano per “camminare in una vita nuova”. Se meditare il percorso di Cristo verso il Calvario significa anche guardare al male e al peccato che feriscono l’umanità, le meditazioni scritte da un gruppo di giovani libanesi sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, offrono una risposta ai pregiudizi e all’odio “che induriscono i … cuori e conducono a conflitti religiosi”, all’ingiustizia senza limiti e alla violenza. La fiducia in Dio rialza, la forza dello Spirito sostiene, unisce alla volontà di Dio e insegna che l’amore può tutto: eccola la risposta dalla terra dei cedri. Giunge da chi ha vissuto la sofferenza, da chi ha patito discriminazioni, da chi non vede riconosciuti i propri diritti. Al Colosseo, la sera del Venerdì Santo, le nuove generazioni del Libano chiederanno il rispetto della libertà religiosa (VII stazione) - “così le diverse religioni potranno ‘mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società’” -, porteranno le sofferenze dei popoli del Medio Oriente. Nelle donne di Gerusalemme che piangono Gesù, si potranno intravedere le donne di oggi ferite nella loro dignità e violentate dalle discriminazioni (VIII stazione), nel peso dei peccati umani - la Croce che fa cadere Cristo per tre volte - la ferita di quelle divisioni che nella Chiesa (IX stazione) “allontanano i cristiani gli uni dagli altri”. C’è la realtà contemporanea nelle meditazioni dei giovani libanesi, ma ci sono anche intense preghiere a Dio: per coloro che, similmente a Pilato, “impegnano la loro autorità al servizio dell’ingiustizia e calpestano la dignità dell’uomo e il suo diritto alla vita” (I stazione), per chi crede “di potersi sostituire a Dio e determinare da se stesso il bene e il male”, “in nome della ragione, del potere o del denaro”, per quel “laicismo cieco che soffoca i valori della fede e della morale in nome di una presunta difesa dell’uomo”. Di fronte al “fondamentalismo violento che prende a pretesto la difesa dei valori religiosi” (II stazione), poi, l’invito è a guardare Cristo, che si è identificato con i deboli. E allora i popoli umiliati e sofferenti, “in particolare quelli dell’Oriente martoriato” possono portare proprio con Lui “la loro croce di speranza”. Note di liturgia orientale sono disseminate nelle meditazioni di quest’anno, ispirate anche all’esortazione post-sinodale di Benedetto XVI “Ecclesia in Medio Oriente”, e nella XII stazione che ricorda la morte di Gesù sulla Croce, viene esaltata la vita in Cristo; é così che nasce la preghiera per quanti promuovono l’aborto e difendono l’eutanasia, “perché si impegnino nell’edificazione della civiltà della vita e dell’amore”. Infine la deposizione di Gesù, che conduce al silenzio del Sabato Santo, è la grande apertura alla speranza, soprattutto per quanti cercano il senso della vita, perché credano che Cristo ha vinto la morte e il peccato.
Tiziana Campisi
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