Siccome l´esempio delle azioni virtuose vale assai più di qualunque elegante discorso, così non sarà fuor di ragione un cenno sulla vita di un giovanetto, il quale in breve periodo di tempo praticò sì belle virtù da potersi proporre per modello ad ogni fedele cristiano, che desideri la salute dell´anima propria. Qui non ci sono cose straordinarie, ma tutto è fatto con perfezione a segno, che possiamo applicare al giovane Comollo quelle parole dello Spirito Santo: Qui timet Deum nihil negligit; Chi teme Dio nulla trascura di quanto può contribuire ad avanzarsi nelle vie del Signore.
Quivi sono molti fatti e poche riflessioni, lasciando che ciascuno applichi per se quanto trova adatto al suo stato.
Tutto quello, che qui si legge, fu quasi tutto tramandato a scritti contemporaneamente alla sua morte, e già stampato nel 1844; e mi consola assai di poter con tutta certezza promettere la verità di quanto scrivo. Sono tutte cose pubbliche da me stesso udite e vedute o apprese da persone, della cui fede non avvi luogo a dubitare.
Anzi i Superiori, che in quel tempo reggevano il seminario di Chieri, vollero eglino stessi leggere e correggere ogni più piccola cosa, che non fosse abbastanza esatta.
Giova notare che questa edizione non è riproduzione delle precedenti, ma contiene molte notizie, che allora sembravano inopportune a pubblicarsi, ed altre che pervennero più tardi a nostra cognizione.
Leggi volentieri, o lettor cristiano, e se ti fermerai alquanto a meditare quel che leggi, avrai certamente di che dilettarti, e farti un tenor di vita veramente virtuosa.
Che se scorrendo questo scritto ti sentirai animato a seguire qualcheduna delle accennate virtù, rendine gloria a Dio, al quale, mentre lo prego ti sia ognor propizio, queste poche pagine unicamente consacro.
Nella diocesi di Torino, nel fertile paese di Cinzano e nella borgata detta Apra, ebbe i suoi natali il nostro Luigi Comollo il 7 Aprile 1817. I suoi genitori furono Carlo e Giovanna Comollo, ambidue di professione contadini. Sebbene di condizione non molto agiata essi avevano peraltro quei beni, assai più delle ricchezze pregevoli, quali sono la virtù e il timor di Dio. Il nostro Luigi sortì dalla natura un´ anima buona, cuore arrendevole, indole docile e mansueta, cosicchè, giunto appena all´uso di ragione, tosto si videro allignare in lui quei primi semi di virtù e divozione, che mirabilmente si andarono perfezionando in tutto il corso della vita. Come potè apprendere a pronunziare i santi nomi di Gesù e di Maria, li ebbe ognora quali oggetti di tenerezza e riverenza. Non mostrava mai quella nausea o svogliatezza nel pregare, che è propria dei fanciulli; anzi quanto più erano prolungate le preghiere, tanto più erane allegro e contento.
È più volte avvenuto, che, terminate le solite orazioni, diceva alla madre sua: « Mamma, ancora un Pater in suffragio delle povere anime del Purgatorio.» Imparò con facilità a leggere e scrivere, e poichè la carità aveva piantato salde radici nel tenero suo cuore, così egli si servì ben tosto di quella prima istruzione a proprio e altrui spirituale vantaggio. Ne´ giorni festivi, mentre quelli di sua età andavano qua e là a trastullarsi, egli, raccoltine alcuni insieme, si tratteneva coi medesimi leggendo, o spiegando loro quel tanto che sapeva, oppure raccontando un qualche edificante esempio. Questo gli procuro la stima e il rispetto de´ suoi coetanei in guisa, che, lui presente, niuno ardiva prorompere in parole sconcie, o men che oneste. Che se ciò inavvedutamente avveniva, tosto l´un l´altro avvertiva: « Zitto c´è Luigi che sente.» Sopraggiungendo egli ogni discorso men buono era interrotto. All´udire parole disdicevoli ai buoni costumi o alle cose di religione: « Non parlar così, tosto coll´ammirabile sua affabilità diceva, questo non istà bene nella bocca di un giovane Cristiano.»
Un suo patriotta compagno della sua giovinezza raccontò e depose quanto seguo. « Ho passato più anni della mia vita col giovane Comollo, e sebbene ei fosse un santerello ed io un vero dissipato, tuttavia egli mi soffriva e mi dava spesso degli avvisi, che mi sono tuttora altamente impressi nella mente. Un giorno io lo invitai a spendere danari nel giorno della festa del paese.
- Che vuoi fare dei soldi, egli mi chiese, e in che spenderli? - In comperarmi dei confetti.
- Ma io non ne ho.
- Non sai come provvederne? - No, io nol saprei.
- Aspettare che tuo padre non veda e poi prenderli dalla sua saccoccia.
- E quando egli lo sappia come se la passeranno le mie spalle e le mie orecchie? - Oh tuo padre nol saprà mai. E poi bisogna essere coraggiosi; del resto possiamo far niente.
- Non possiamo far niente di male e questo lo desidero di cuore.
- Non parliamo così. Fatti dei quattrini, compreremo dei confetti, li mangeremo allegramente, e tuo padre ne saprà nulla.
- O che tu mi burli, o che vuoi tradirmi. Lo sappia o non lo sappia mio padre, se io rubo divento un ladro. Dato che mio padre nol sappia, potrò evitare i castighi di lui, ma non quelli di Dio, il quale vede tutto in cielo, in terra ed in ogni luogo.
- Il pensiero che Dio vede tutto e che si trova in ogni luogo mi ha servito di ritegno in tante occasioni. Più volte ero sul punto di lasciarmi strascinare a commettere mancanze in casa mia ed altrove, ma pensando che Dio mi vedeva e che poteva punirmi sull´ istante, mi nasceva tosto in cuore ribrezzo al male e me ne asteneva.»
Secondochè esigeva la condizione sua, Comollo conduceva bestiami al pascolo, ma sempre lontano da persone di sesso diverso, e con libretti spirituali tra le mani, che leggeva da sè solo o con altri. Invitare i suoi compagni alla preghiera, raccontare loro curiose istorielle, cantare con essi delle laudi sacre erano i modi pratici, con cui Luigi teneva i suoi piccoli amici in allegria e li allontanava dal male. Con questo tenor di vita mentre edificava gli altri col buono esempio era l´ammirazione delle persone provette, le quali stupivano a tanta virtù in un giovanetto di prima età.
« Io aveva un figlio, afferma un padre, di cui non sapevo che farmi: l´aveva trattato con dolcezza e con rigore, e tutto indarno. Mi venne in mente di mandarlo con Luigi, se mai gli fosse riuscito di renderlo alquanto docile, e più non mi fosse cagione di disgusto. Il mio monello dapprima mostravasi ritroso a frequentare chi poco secondava le sue mire, ma ben presto, allettato dalle attrattive di Luigi, divenne amico e compagno delle sue virtù in guisa, che al presente dimostra ancora la morigeratezza e la docilità, che ebbe da quell´anima buona succhiata.»
Singolare era l´obbedienza verso i suoi genitori. Da suo zio Comollo, dotto ecclesiastico e parroco di Cinzano, egli aveva imparato questa obbedienza la quale abbraccia, sostiene e conserva tutte le altre virtù; perciò ad ogni cosa egli proponeva sempre quanto l´obbedienza proponeva. Pronto e attento a quanto veniva dai genitori ordinato pendeva ansioso da ogni lor cenno, studiandosi con tutta sollecitudine di prevenire anzi i loro comandi. Era la consolazione e la gioia della casa paterna. Quando al sopravvenire di qualche siccità, grandine o perdita di bestiami i suoi parenti mostravansi afflitti, Luigi era colui che li confortava a prendere come favore del Signore quanto accadeva. « Di questo avevamo bisogno, egli diceva; ogniqualvolta la mano del Signore ci tocca, ci usa sempre tratti di bontà; è segno che si ricorda di noi, e vuole che noi eziandio ci ricordiamo di Lui.»
Non era mai che si allontanasse dai suoi genitori senza l´espressa loro licenza, di cui era gelosissimo osservatore. Una volta andò nella città di Caselle a visitare alcuni parenti con limitato permesso. Allettati essi dall´ amabilità del suo edificante parlare, non gli permisero di partirsi per tempo. Del che ebbe tale rincrescimento, che si ritirò in disparte a piangere nel vedersi costretto a disubbidire, e, come giunse a casa, tosto dimandò perdono della disubbidienza suo malgrado commessa.
Si allontanava alle volte dalla presenza altrui, ma a fine di ritirarsi in qualche cantuccio della casa a pregare, o far meditazione. « Più volte il vidi, mi afferma una persona che fu con lui allevata, mangiare in fretta, sbrigarsi di alcune occupazioni impostegli, e mentre altri godevano un po´ di ricreazione, sotto qualche pretesto andarsi, a nascondere in un fosso da vite, se era in campagna, sul fenile, se era in casa, ed ivi trattenersi in preghiere vocali, o leggere libretti divoti ed imparare racconti edificanti, che egli leggiadramente ripeteva ai suoi amici.» Tanto è vero, che anche fra le glebe Iddio sa guidare i rozzi e gli indotti per le sublimi vie della santità.
A questi bei segni di virtù andavano strettamente uniti i veri caratteri di divozione ed una grande tenerezza per le cose di religione. La qual cosa dimostrò fin da che fece la sua prima confessione. I suoi genitori si occupavano di lui come di un prezioso gioiello, che Dio aveva loro affidato, e sebbene non toccasse ancora i sette anni già l´avevano istruito intorno a tutto quello, che è necessario per fare una buona confessione. Parecchi giorni prima che facesse tale atto di pietà pregava più del solito e stava molto ritirato. Il mattino della confessione fece un accurato esame di sua coscienza; di poi andò a presentarsi al confessore. Quando si trovò nel suo cospetto, richiamando alla memoria il gran pensiero che il confessore nel tribunale di penitenza rappresenta lo stesso Gesù Cristo provò tale confusione, congiunta colla riverenza a quel Sacramento, tale apprensione per le sue colpe (se pur aveva colpa), sì grave dolore dei suoi peccati, che proruppe in un profluvio di lagrime, ed ebbe bisogno di conforto a dar principio e continuare la sua confessione.
Con pari edificazione degli astanti fece la sua prima comunione. Si può dire che appena ebbe l´uso di ragione si adoperò con tutti i mezzi a lui possibili a prepararsi degnamente a ricevere questo augusto Sacramento; ma la quaresima precedente a quella sua grande festa fu passata in continuo esercizio di cristiana pietà. I dieci giorni più prossimi al suo gran giorno, come egli soleva chiamarlo, passolli in vero ritiro con suo zio, senza più trattare con altra persona fuori del suo confessore. Avendo più volte udito a predicare che Dio ricompensa grandemente le opere di carità che si fanno verso ai poveri, volle egli pure farne una speciale.
« Caro zio, gli disse un giorno dei suoi esercizii, a forza di risparmi voi sapete che mi sono messi insieme tre franchi. Se voi siete contento io li userò a comperare un paio di pantaloni ad un giovanetto che dimora qua vicino. Egli forse non potrebbe venire a fare la sua pasqua, perchè ne ha un paio tutti rotti.» Il buon zio ne fu commosso, acconsentì a fare quella spesa, ma il giorno della comunione diede pari somma al caro nipote, affinchè la conservasse per quell´uso che egli avesse giudicato migliore.
Da quel tempo in poi tanto si affezionò ai Sacramenti della confessione e comunione, che nell´accostarvisi provava consolazione grandissima; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che ne approfittasse. A questo riguardo soleva dire ad un confidente compagno: « La confessione e la comunione furono i miei sostegni in tutti gli anni pericolosi di mia giovinezza.» Ma comunque frequente gli si permettesse l´uso della comunione, tuttavia non potendo saziare il fervente amore, onde ardeva pel suo Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla comunione spirituale. Al quale proposito quando, divenuto chierico, trovavasi nel Seminario, udivasi più volte a dire: « Fu per l´insigne opera di s.Alfonso, che ha per titolo: Visite al SS.Sacramento, che imparai a fare la comunione spirituale, la quale posso dire essere stata il mio conforto in tutti i pericoli, cui andava soggetto negli anni che fui vestito da secolare.»
Alla comunione spirituale e sacramentale univa frequenti visite alle chiese, dove sentivasi talmente compreso dalla presenza di Gesù, che ben sovente giungeva a passarvi ore intere, sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti.
Spesso era mandato in chiesa a far quelle cose di cui gli si dava incombenza, spesso egli medesimo vi si recava sotto pretesto di avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva solennità, non si faceva catechismo o predica, non si dava benedizione, nè altra funzione aveva luogo in chiesa, a cui egli non intervenisse con animo allegro e contento a prestar quei servizi di cui fosse capace. Ma qualcheduno farà le maraviglie dicendo: Onde mai un giovanetto di sì tenera età apprese a praticare sì rare virtù? Ne do pronta risposta. Egli aveva uno zio di nome Giuseppe Comollo, di felice memoria, prevosto di Cinzano, anima veramente buona, che nulla aveva di mira se non il bene delle anime alla sua cura affidate. Egli amava questo suo nipote, e questi amava lui teneramente. Sicchè il nostro Luigi, diretto nelle cose spirituali e temporali da sì prudente e pio direttore, ne andava copiando le virtù di mano in mano che cresceva negli anni.
L´essere il Comollo alieno affatto dalle ragazzate che son proprie della giovanile età, sofferente e tranquillo a checchè potessegli a cadere, affabile cogli eguali, modesto e rispettoso con chiunque gli fosse superiore, ubbidiente con tutti, dato alla divozione, prontissimo nel prestare quei servigi, che in Chiesa gli erano permessi e che erano compatibili colla sua età, tutto faceva presagire che il Signore lo destinava a stato di maggior perfezione. Egli ben penetrato della grande importanza, che si deve porre nella elezione dello stato, più volte avea consultato il suo zio prevosto, cui confidava ogni segretezza del suo cuore, e avutane risposta per quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo stato ecclesiastico, ne rimase al sommo contento, essendo pur tale il suo vivissimo desiderio. Suo zio al vedere rampollo sì vigoroso, che prometteva sì bei frutti, volle secondarlo nelle sue sante risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sè un giorno:
- Hai dunque, gli disse, ferma volontà di farti prete?
- È appunto questo che io desidero e niente altro, rispose.
- E perchè?
- Perchè essendo i preti, quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi anche aprire a me stesso.
A questo fine fu mandato a fare il corso di grammatica ossia di terza ginnasiale nella città di Caselle presso di un Sacerdote di nome Strumia. Perfezionando colà sempre più le virtù che ovunque lo facevano conoscere per modello di vita cristiana, fu pure ivi della più grande ammirazione a tutti quelli, che in qualche modo ebbero occasione di conoscerlo. Testimoni oculari raccontano con meraviglia un particolare progresso nello spiritò di mortificazione. Già da piccolino soleva far fioretti alla Madonna coll´astinenza di qualche porzione di cibo o di frutta, che gli si dava per companatico: « Questo, diceva, bisogna regalarlo a Maria.» Qui in Caselle andò più avanti; oltrecchè offriva ogni settimana digiuni a Maria, nei pranzi stessi e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto, si toglieva da tavola nel meglio del mangiare. Bastava portare a mensa qualche pietanza di special suo gusto perchè non ne mangiasse, e questo sempre per amor di Maria.
« Il Comollo, scrive il professore Strumia, fu per me una meraviglia ambulante. Con un aspetto angelico, sempre allegro, sempre attento ai suoi doveri, era la delizia di tutti in ricreazione, modello di studio e di moralità in ogni cosa; ma la sua sobrietà non era di un fanciullo bensì di una persona attempata e consumata nella virtù.»
Questo tenor di vita contribuì efficacemente all´avanzamento nello studio e nella pietà, perchè è un fatto da lunga esperienza comprovato, che la sobrietà nei giovani, e segnalamente negli studenti, riesce di gran giovamento alla sanità corporale ed assai al bene dell´anima.
Sul cominciare dell´ anno scolastico 1835, tempo in cui io frequentava le scuole nella città di Chieri, mi trovai casualmente in una casa di pensione, ove si andava parlando delle buone qualità di alcuni studenti. « Mi fu detto, prese a narrare il padrone di casa, mi fu detto che a casa del tale vi deve andare uno studente santo.» Io feci un sorriso prendendo la cosa per facezia. « È appunto così, soggiunse, ei deve essere il nipote del Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata virtù.»
Non feci gran caso allora di queste parole, sinchè un fatto molto notevole me le fece assai bene ricordare. Erano già più giorni da che io cedeva uno studente (senza saperne il nome) che dimostrava tanta compostezza nella persona, tale modestia camminando per le vie, e tanta affabilità e cortesia con chi gli parlava, che io ne era del tutto maravigliato. Crebbe questa maraviglia allorchè ne osservai l´esattezza nello adempimento dei suoi doreri, e la puntualità colla quale interveniva alla scuola. Ivi appena giunto si metteva al posto assegnato nè più si muoveva, se non per fare cosa, che il proprio dovere gli prescrivesse.
Egli è consueto costume degli studenti di passare il tempo d´ingresso in ischerzi, giuochi, e salti pericolosi e talvolta immorali. A ciò pure era invitato il modesto giovanetto; ma esso si scusava sempre con dire che non era pratico, non aveva destrezza. Nulla di meno un giorno un suo compagno gli si avvicinò, e colle parole e con importuni scuotimenti voleva costringerlo a prender parte a quei salti smoderati che nella scuola si facevano. « No, mio caro, dolcemente rispondeva, non sono esperto, mi espongo a far brutta figura.» L´impertinente compagno, quando vide che non voleva arrendersi con insolenza intollerabile gli diede un gagliardo schiaffo sul volto. Io raccapricciai a tal vista, e siccome l´oltraggiatore era d´età e di forze inferiore all´ oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia. Ma l´ offeso aveva ben altro spirito: egli rivolto a chi l´areva percosso, si contentò di dirgli: « Se tu sei pago di questo, vattene pure in pace che io ne sono contento.» Questo mi fece ricordare di quanto avevo udito, che doveva venire alle scuole un giovanetto santo, e chiestane la patria e il nome, conobbi essere appunto il giovane Luigi Comollo, di cui avevo sì lodevolmente inteso a parlare nella pensione del fu Marchisio Giacomo.
Da un cuore così ben fatto, da una condotta così ben regolata è facile argomentare, come il Comollo si diportasse in fatto di studio e di diligenza, ed io nol saprei meglio esprimere che colle parole stesse del benemerito suo e mio Professore, il quale si degnò di scrivermi del seguente tenore:
« Benchè il carattere e l´indole dell´ ottimo giovane Comollo possano essere meglio noti a V.S. che l´ebbe per condiscepolo, e potè più da vicino osservarlo, tuttavia assai di buon grado le mando in questa lettera il giudizio ch´io me n´ era formato infin d´allora, quando l´ebbi a scolare pel corso dei due anni 1835 e 1836 nello studio dell´ Umanità e della Retorica nel Collegio di Chieri. Esso fu giovine d´ingegno e fregiato dalla natura di un´ indole dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo studio della pietà, e sempre si mostrò attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso e vigilante nell´ adempimento del suo dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a rimproverare della benchè minima negligenza. Nol vidi mai altercar con alcuno dei suoi compagni; il vidi bensì a rispondere alle ingiurie ed alle derisioni coll´affabilità e colla pazienza. Egli poteva essere proposto per esemplare ad ogni giovane per la intemerata sua condotta, per l´ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso m´aveva fatto un ottimo augurio, allorchè seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica. Io lo guardava come destinato a confortare la vecchiaia del venerando suo zio, il degno Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed aveva così di buon´ ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare e singolari virtù. Mi giunse perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua morte, e solo mi confortai nel pensiero che in breve tempo aveva con le sue virtù compiuta anticipatamente una lunga carriera. Forse Iddio lo volle a sè chiamare con immatura morte, perchè lo vedeva oltre la sua età provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo in ciò venerare la divina volontà.
« Ella mi chiede che io le dica qualche singolarità in lui osservata; ma quale cosa potrò io dirle che sia più singolare della sua uniformità e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga di novità e mutazioni? Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino all´ ultimo pel corso di due anni egli fu sempre a se stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la virtù, la pietà, la diligenza »... Così il suo Professore.
Nè queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. « Io conobbi, dice il padrone di sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell´ età sua, ma di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D´umore sempre uguale ed allegro, imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di special suo gusto. Mostrandosi sempre contento di quanto se gli offriva, non mai si udì da lui proferire: Questo è troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì dalla sua bocca una parola meno che onesta, o non moderata. Parlava volentieri di cose spirituali, e se qualcuno metteva fuori discorso o racconto spettante alla religione, esigeva sempre che si parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri. Amantissimo del ritiro, non mai usciva senza licenza de´ suoi medesimi padroni, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si assentava. In tutto il tempo, che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere da virtuosi, e riuscì a tutti di gran dispiacere allorchè dovette cambiar luogo per vestire l´abito clericale, e recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù.»
Io pure posso dire lo stesso, giacchè in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme, non l´udii mai a querelarsi delle vicende del tempo, o delle stagioni, del troppo lavoro, o del troppo studio; anzi qualora avesse avuto un po´ di tempo libero, tosto correva da qualche compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire per cose spettanti allo studio o alla pietà.
Non minore era l´impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che riguardava alle cose di pietà. Ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di certo potè intimamente conoscerlo.
« Mi ha richiesto la S.V. di darle notizie di un figliuolo, del quale mi è carissima la memoria, perciò dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo Luigi, uno di quelli, in cui riguardo io debba usare espressioni evasive, o di cui io tema esagerare nel rendergliene la più lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una classe fra le altre distinta di studenti dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava e primeggiava il nostro Comollo. Mi rincresce che ci tocchi lamentare la morte del Prefetto delle scuole, il professore Robiola, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio potrebbe dirci molte cose di gloriosa rimembranza. Quanto a me, oltre il poterla assicurare di non avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza, nemmeno leggiera, posso asserirle, che, assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola, devotissimo nell´assistere alla santa Messa ed ai divini uffizi, frequente ai santi Sacramenti della confessione e comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in ogni atto di virtù, l´avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio e raro modello di virtù. Per quanto lo comportava la sua classe, l´anno di Retorica fu nominato a carica, la quale si concede solamente a´ studenti più distinti per pietà e studio. Si desiderava allora, e si desidera ancora al presente un giovane studente, d´indole e costumi simile al Comollo Luigi. Ricordava nel suo nome il nostro s.Luigi, e molte sue virtù andava ricopiando nei fatti.
« Non mi si domandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia resa di questa; posso dirle tutto il bene possibile in un giovane. Raptus est, ne malitia mutaret intellectum ejus. Spero che ora in cielo preghi per me.» Sin qui il Direttore spirituale del pubblico Ginnasio e Liceo di Chieri.
Il dotto professore Robiola allora Prefetto delle scuole ossia Delegato governativo sopra gli studi nella città di Chieri ci lasciò pure questa onorevole memoria intorno al Comollo. « Io desidererei che questo meraviglioso giovanetto serva di modello a tutti gli studiosi dei nostri tempi.»
Da queste relazioni ognuno può di leggieri arguire come la condotta del Comollo fosse un complesso di virtù piccole, ma compiute in guisa, che lo facevano universalmente ammirare quale specchio di singoiar virtù. Io aggiungo qui ancora alcune cose da me particolarmente osservate nella sua condotta esterna. Terminati appena gli esercizi di pietà, che nei giorni festivi avevano luogo nella cappella della Congregazione, per lo più gli studenti andavano al passeggio od a qualche altro divertimento. Ma il Comollo persuaso di poter fere a meno di questi passatempi, tosto recavasi al Catechismo dei fanciulli solito a farsi nella Chiesa di S.Antonio. Ad esso, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente interveniva. O fosse beneficio dell´ indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù acquistata col domare se stesso, pareva che in lui fosse affatto estinta quella stessa curiosità ed ansietà di vedere ed ascoltare generalmente comune a tutti quelli, che dai villaggi vengono nella città, il che d´ altronde è proprio dell´ età giovanile. Il suo andare e venire dalla scuola era tutto raccoglimento e modestia, nè mai andava qua e là vagando o collo sguardo o colla persona, eccetto che per prestare il dovuto rispetto ai superiori, alle chiese, a qualche immagine o pittura della Beata Vergine. Non succedeva mai che passasse innanzi a questi oggetti religiosi senza scoprirsi il capo per venerazione. Più volte nell´accompagnarlo mi avvenne di vederlo levarsi il cappello senza saperne la ragione; ma guardando poscia attento, scorgeva quinci o quindi in qualche muro dipinta l´immagine della Madonna.
Era ormai sul finir del corso di Retorica, quando io l´interrogava sulle cose più curiose, o sui monumenti più ragguardevoli della città, ed egli rispondeva di non ne essere punto informato, come se fosse forestiero. Come, gli diceva io, tante persone partono di lontano per venir a vedere la rarità di Chieri, e tu ci dimori e non ti dài nemmeno pensiero di visitarle? - Eh mio caro, diceva scherzando, ciò che non giova per domani, mi do poca premura di cercarlo oggi; volendomi con ciò significare che se tali rarità avessero contribuito ai beni eterni, che formavano il suo domani, non le avrebbe trascurate.
Quanto più il Comollo era alieno dalle curiosità e occupazioni temporali, tanto più era informato ed istruito delle cose di Chiesa. Non facevasi esposizione delle quarant´ ore od altra pubblica religiosa funzione che egli nol sapesse, e, se il tempo glielo permetteva, non vi intervenisse. Aveva il suo orario per la preghiera, lettura spirituale, visita a Gesù Sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato. Alcune mie circostanze vollero, che per più mesi mi recassi al Duomo appunto nell´ora in cui il nostro Luigi vi si recava a trattenersi col suo Gesù. Piacemi pertanto descriverne l´atteggiamento. Ponevasi in qualche canto presso l´altare quanto poteva, ginocchione, colle mani giunte, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi bassi, e tutto immobile della persona; insensibile a qualsivoglia voce o rumore. Non di rado mi avveniva, che, compiuti i miei doveri, voleva invitarlo a venir meco per essere da lui accompagnato a casa. Pel che aveva un bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire, perchè egli si movesse; era sempre lo stesso, finchè io non mi accostava scuotendolo. Allora, come risvegliato dal sonno si moveva, e sebbene a malincuore aderiva al mio invito. Serviva molto volentieri alla santa Messa anche nei giorni di scuola, quando poteva; ma nei giorni di vacanza servirne quattro o cinque era per lui cosa ordinaria.
Benchè fosse così concentrato nelle cose di spirito non vedevasi mai rannuvolato in volto o tristo, ma sempre ilare e contento, colla dolcezza del suo parlare rallegrava tutti quelli con cui trattava, ed era solito a dire che gli piacevano grandemente le parole del profeta David: Servite Domino in laetitia: Servite il Signore in santa allegrezza. Parlava volentieri di storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e questo in maniera umile e gioviale sì, che, mentre proferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo all´altrui.
Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali. Il trattare e parlare di tali argomenti con lui tornavagli di grande consolazione. Ragionava con trasporto dell´ immenso amore di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa comunione. Quando discorreva della Beata Vergine, si vedeva tutto compreso di tenerezza, e dopo di aver raccontato, o udito raccontare qualche grazia concessa a favore del corpo, egli sul finire tutto rosseggiava in volto e alle volte rompendo anche in lagrime esclamava; « Se Maria favorisce cotanto questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? Oh! se tutti gli uomini fossero veramente divoti di Maria, che felicità ci sarebbe in questo mondo! »
Tale era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire che se ne parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza. A me stesso una volta accadde che scherzando mi servii di parole della Sacra Scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non doversi faceziare colle parole del Signore.
Qui credo fare cosa grata, col raccontare alcuni episodii piacevoli e nello stesso tempo edificanti avvenuti a questo modello della gioventù. La sua pietà e il suo buon cuore non mai venne meno eziandio, quando trattavasi di dare qualche segno di gratitudine. Ciò fece specialmente conoscere nell´onomastico del suo professore di Umanità o quarta ginnasiale, che nel 1835 era il Dottore Giovanni Bosco. La carità, la pazienza, e le belle maniere con cui trattava gli allievi, la sua sollecitudine per farli progredire nello studio e nella pietà, l´avevano fatto per così dire l´idolo di tutta la sua scolaresca, dimodochè ognuno aspettava con impazienza il giorno onomastico di lui, per fare quanto la gratitudine poteva suggerire. Il nostro Luigi non volle essere degli ultimi; Al mattino di qnel giorno 24 giugno egli andò per tempo a fare la confessione e servì la santa Messa, in cui ricevette la S.Comunione. Questa offerta, queste preghiere tornarono graditissime al caro professore; perchè, esso diceva, provengono dal più virtuoso de´ miei allievi.
Dal canto suo il professore non volle cederla in generosità. Egli fissò il prossimo giovedì per fare con tutti i suoi allievi una passeggiata fino ai così detti prati di Palermo, che distano tre chilometri da Chieri. Colà stava preparata una magnifica refezione. Sulle prime si lessero varie composizioni ed il professore rispose più volte. Gli applausi, i battimani furono indescrivibili. Seguì poscia la merenda in cui ciascuno mangiò e bavette a piacimento. Ben bevuti e ben pasciuti si diedero a saltare, correre e cantare a più non posso.
Ma ad un certo punto della ricreazione si spande la voce che Comollo è scomparso. Si temeva di lui qualche disgrazia, tanto più che pochi giorni prima era morto un giovane, annegato nelle acque della fontana Rossa a pochi passi distante di colà. Tutti pertanto rimasero pieni di spavento e si posero a fare indagini tutto all´intorno, ma inutilmente. In fine lo ritrovarono in un sito che niuno si pensava. Era nascosto presso la vicina cappella tra un cespuglio ed un pilastro della medesima.
- Comollo, gli fu detto, che fai tu qui? Tutti sono inquieti sulla tua sorte e ti cercano con ansietà. Vieni.
Egli volse uno sguardo come chi è disturbato da una cara occupazione e rispose:
- Mi rincresce la vostra inquietudine, ma oggi io non aveva ancora recitato il Santo Rosario, e desiderava di pagare questo tributo alla B.V.
Salutati i compagni e ringraziato il professore partirono ciascuno alla volta di Chieri.
Mentre traversavamo questa città giunti alla piazza detta del Piano ci siamo trovati vicino ad un saltimbanco, che con giuochi e salti tratteneva gli oziosi e i buontemponi.
- Guarda qui un momento, dissero due compagni al Comollo; ascolta che belle cose! Costui ce ne dice tante che ci fa ridere assai!
Il Comollo con una strappata si licenziò dai due poco delicati amici dicendo: - Costui dirà dieci parole per far ridere, ma l´undecima è cattiva e vi darà scandalo. Altronde mio zio mi ha molto raccomandato di non mai fermarmi ad assistere nè ciarlatani, nè saltimbanchi, nè bussolotti, nè altri pubblici spettacoli; perchè egli diceva: In questi luoghi uno può andare coll´anima innocente, ma sarà un miracolo se ritorna in questo stato.
Un giorno alcuni compagni vollero andar con lui nel ritorno dalla scuola. Ma per la via passando di parola in parola finivano con discorsi che a lui non piacevano. Egli si pose ad accelerare il passo per lasciarli addietro. Allora i finti amici dissero: - Giacchè hai tanta fretta ricevi questo libro. Tu in esso troverai tanti belli esempi.
- Luigi lo prese, ma giunto a casa trovò che sebbene non fosse libro assolutamente proibito era tuttavia certamente dannoso all´ inesperta gioventù.
Senza sgomentarsi, come per divertirsi preparò una bella fiammata, poi chiamò la padrona di casa, e gettando sul fuoco quel libro si mise a ridere, saltare, scherzare dicendo: - Eccoti o libro! Tu volevi mandar me ad abbruciare, ed io brucio te. Sì! brucia pure su questo fuoco, che così per cagion tua io non andrò a bruciare nell´inferno.
Ascoltava assai volentieri a parlare dei suoi compagni, dei suoi superiori ed anche in generale dei preti. Ma quando alcuno voleva raccontare qualche cosa ad essi riguardante, tosto premetteva o doversene parlar bene, o tacere affatto, perchè erano ministri di Dio. In simile guisa andava il nostro Luigi preparandosi alla vestizione clericale, di cui parlava sempre con venerazione e con gioia. « Possibile, soleva dire, che io miserabile guardiano di buoi abbia a diventare prete, pastore delle anime? Eppure a niun´altra cosa mi sento inclinato: questo mi dice il confessore, mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario. Ne andrò a subire l´esame, l´esito del quale mi sarà quale arbitro della volontà divina sulla mia vocazione.» Si raccomandava anche spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perchè il Signore lo illuminasse, e gli facesse conoscere se fosse o no chiamato allo stato ecclesiastico. Così fra la stima dei compagni, fra l´amore dei superiori, onorato e tenuto da tutti qual vero modello d´ogni virtù compiva il corso di retorica l´anno 1836.
La preparazione fatta dal Comollo prima di vestire l´abito chiericale può certamente servire di norma ai giovani studiosi nel fare la scelta dello stato, e segnatamente a quelli che aspirano allo stato Ecclesiastico. La vocazione o chiamata allo stato sacerdotale deve venire da Dio, perciò un giovane non deve far conto di quanto possono consigliare i parenti nel loro interesse temporale, o di quanto può suggerire la vanagloria e il desiderio di terrene comodità. Volete accertarvi della vostra vocazione? Prima di ogni cosa sceglietevi un buon confessore, a lui aprite l´interno del vostro cuore; e per quanto vi è possibile non cangiatelo mai. Qualora poi per qualche ragionevole motivo lo doveste cangiare, al momento della scelta dello stato apritegli bene la vostra coscienza, di poi chiedete il suo parere, e voi tenendovi a quello certamente seguirete la voce del Signore; perchè egli dice nel Vangelo: Qui vos audit, me audit: cioè chi ascolta la voce del direttore spirituale ascolta la voce di Dio; e ciò riguardo alle qualità morali che sono la dote più essenziale, anzi indispensabile per un giovane, che intenda abbracciare lo stato Ecclesiastico.
Un amico lo aveva interrogato sopra alcune cose spettanti la vocazione; egli rispose con questa lettera.
« Mio Caro,
Tu mi chiedi come sia nato in me il desiderio di abbracciare lo stato Ecclesiastico, e quali siano i mezzi per conoscere la vocazione e perseverare in questa. Non è cosa da me dettarti consigli su cosa tanto importante, ma trattandosi di un amico mi aprirò con te in tutta confidenza, narrandoti ciò che io stesso ho fatto. Oltre la propensione che fin da piccolo sentiva pel Santuario, e la frequenza dei Sacramenti, gli esempi che avea continuamente sott´occhi del mio buon zio prevosto mi erano di grande eccitamento. La semplicità del suo vivere, la santità dei suoi costumi, la tranquillità sua in ogni più spinoso affare, il suo spirito di pietà, la sua carità per i poverelli, la pace e l´allegrezza costante della sua bell´ anima, erano per me un continuo stimolo a farmi migliore e ad amare quello stato, che esso aveva abbracciato.
E di lui mi giovai per procedere con sicurezza in quella via, nella quale il Signore mi chiamava. Gli apersi tutto il mio cuore in confessione, non gli tenni segreta la menoma cosa che riguardasse la mia coscienza, anzi gli diedi fin dalle prime volte ogni più ampia licenza di servirsi a mio vantaggio, anche fuori di confessione, di quanto io gli avea confidato. Esso, da quell´uomo prudente che era, potè così sempre guidarmi con sicurezza.
Due cose mai non omisi dietro suo consiglio. La meditazione e l´esame di coscienza tutti i giorni. Ai giovani principalmente sembrano sul principio cose noiose. Ma se perseverassero per un po´ di tempo in queste due pratiche di pietà, oltre il vantaggio spirituale, ne proverebbero tale consolazione e piacere da non lasciarle più. Per conoscere la mia vocazione aggiungeva ancora tutte le mattine alle solite orazioni la seguente preghiera.
Eccomi ai vostri piedi, o Vergine pietosa, per impetrare da voi la grazia importantissima della scelta del mio stato. Io non cerco altro che di fare perfettamente la volontà del vostro divin Figlio in tutto il tempo della mia vita. Desidero ardentemente di scegliere quello stato che vie più mi renderà consolato, quando mi troverò al punto della morte. Deh! Madre del buon Consiglio, fatemi risuonare all´ orecchio una voce, che allontani ogni dubbiezza dalla mente mia. A voi si aspetta, che siete la Madre del mio Salvatore, essere altresì la Madre della mia salvezza; perchè se voi, o Maria, non mi partecipate un raggio del divin sole, qual luce mi rischiarerà? Se voi non m´istruite, o Madre dell´increata Sapienza, chi mi ammaestrerà? Udite dunque, o Maria, le mie umili preghiere. Indirizzatemi dubbioso e vacillante, reggetemi nella retta via, che conduce all´eterna vita, giacchè voi siete unica speranza di virtù e di vita, i cui frutti non sono altro che frutti di onore e di onestà. - Quindi conchiudeva con tre Pater, Ave e Gloria.
Ecco, o mio caro, quello che io ho fatto per non isbagliare la mia vocazione. Tu pure fa lo stesso, ma apri soprattutto il cuore al tuo confessore, e la sua decisione abbila come una voce del cielo.»
In quanto poi alla scienza che è pure di tutta necessità dovete rimettervi al giudizio dei vostri esaminatori, e riconoscere negli esami la volontà di Dio. Così fece il Comollo, quando si trovò in somigliante congiuntura di sua vita.
Presentatosi egli pertanto all´ esame e sortitone l´esito favorevole si andava preparando alla clericale vestizione coi più vivi sentimenti di pietà e di fervore. Io non saprei come chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza, che ebbe a provare in quella circostanza. Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva sovente in lagrime, si tratteneva molto in Chiesa, sicchè, giunto il giorno di sua festa, (così chiamava il giorno di sua vestizione chiericale) fece la sua confessione generale con una fervorosa comunione. Di poi contento come se fosse sublimato alla più onorevole carica del mondo, tutto compreso dallo spirito di pietà e da sentimenti religiosi, raccolto e modesto, che pareva un angiolo, fu insignito del tanto rispettato e desiderato abito ecclesiastico. Tal giorno fu sempre per lui memorando, e soleva dire essersi il suo cuore totalmente cangiato: di pensoso e rannuvolato essere divenuto tutto ilare e gioviale, e che ogni qualvolta rammentava quel giorno sentivasi inondare il cuore di tenera gioia. Una lettera indirizzata ad un suo professore ci ha conservate le sante impressioni di quella giornata.
Venne intanto il giorno dell´ apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi doveva far campeggiare non istraordinarie, ma compiute virtù.
I giorni che trascorsero tra la vestizione e la partenza pel Seminario li passò nel ritiro e nelle pratiche di pietà. I suoi genitori non cessavano di raccomandargli l´esatto adempimento dei suoi doveri e la fuga dei cattivi compagni. « Caro Luigi, gli disse sua madre la vigilia della partenza, tu parti pel Seminario ed io ti accompagno col pensiero e colla preghiera. Là avrai superiori che sapranno guidarti pel cammino della virtù: sii loro ubbidiente. Ma per carità non dimenticare il pericolo incorso in queste vacanze per un cattivo compagno. Ti sembrava buono, noi tutti lo giudicavamo tale e ci siamo tristamente accorti che era un lupo da fuggire. Se mai ti accadrà di incontrare compagni, che parlino con poco rispetto delle cose di pietà, che mormorino dei superiori o disapprovino le loro disposizioni, costoro non siano mai tuoi amici e procura di star lontano da essi.»
Giunto in Seminario, tosto si persuase che non basta il luogo per infondere la scienza e la virtù, ma è necessaria una puntuale osservanza delle regole, e l´esatto adempimento de´ proprii doveri. Massima sollecitudine per i doveri di studio e di pietà, ardente desiderio di mortificazione erano i pensieri che occuparono l´anima del Comollo in tutto il corso del Seminario. Per non mai dimenticare se stesso, erasi scritto sopra un pezzo di carta, che teneva sempre nel libro o nel quaderno, di cui giornalmente doveva servirsi: Fa molto chi fa poco, ma fa quel che deve fare; fa nulla chi fa molto, ma non fa quello che deve fare.
Egli aveva letto come Sant´ Alfonso facesse voto di non perdere mai tempo. La quale cosa eragli motivo di alta ammirazione, e studiatasi con tutto l´impegno d´imitarlo. Perciò fin dal suo primo entrare nel Seminario si appigliò con tale diligenza alle cose di studio e di pietà, che approfittava di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi, che tendessero all´esatta occupazione del tempo. Suonato il campanello, subito interrompeva checchè facesse per rispondere alla voce di Dio (così chiamava il suono del campanello), che lo chiamava al suo dovere. Mi accertò più volte, che, dato un tocco del campanello, gli era impossibile continuare ciò che aveva fra le mani, perchè rimaneva tutto confuso e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la virtù dell´ubbidienza.
Non parlo dei superiori, ai quali ubbidiva con tutta prontezza e giovialità, senza mai dimandar conto o ragione di ciò che gli era ingiunto. Agli stessi colleghi assistenti, anche agli uguali mostravasi attento, docile ad ogni loro ordine, e consiglio, non altrimenti che ai superiori medesimi.Dato il segno di studio, puntualissimo v´interveniva, e in raccolto atteggiamento si applicava in maniera che a qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si facesse, pareva fosse insensibile, nè punto più della persona si moveva, se non ad un novello segno del campanello.
Un dì avvenne che un compagno, passandogli dietro, gettogli a terra il mantello. Esso si contentò di fargli un semplice motto, acciocchè meglio si guardasse altra volta. Il compagno, dimenticando che era pur chierico, non badando che la carità comanda di sopportare i difetti altrui, e di non oltraggiare il nostro simile, montò in collera e rispose con voce alterata, con parole offensive e minacciose. Allora il Comollo, senza far conto degli insulti a lui diretti si appoggiò di nuovo sullo scrittoio e tutto tranquillo continuò a studiare, come se niente a lui fosse stato detto o fatto.
Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di cose scientifiche, anzi in tempo di studio soleva formarsi nella mente una serie delle cose, che meno intendeva, per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui avea special confidenza, onde averne la spiegazione. In tali trattenimenti co´ suoi compagni faceva sempre uso della lingua latina. Ciò gli tornava di grande vantaggio, perciocchè giunse a maneggiare questa lingua nelle materie scolastiche con molta speditezza e con una famigliarità meravigliosa. Egli sapeva animare le conversazioni con varie utili ricerche e racconti, ma osservava costantemente quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà di tacere quando altri parla. Pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola per dar campo a che altri liberamente parlasse.
Abborriva grandemente lo spirito di critica o di censura sulle persone altrui; parlava dei superiori, ma sempre con riverenza e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità e moderazione; parlava dell´orario, delle costituzioni o regolamenti del Seminario, degli apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione e di contento; di modo che io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso teneva nella sua mente: Degli altri o parlare bene o tacere affatto. Qualora poi fosse stato costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui procurava sempre interpretarli nel senso migliore, dicendo avere imparato da suo zio, che un´azione di cento aspetti, novantanove cattivi ed uno buono, si doveva prendere sotto l´aspetto buono e giudicarla favorevolmente. Per l´opposto parlando di se stesso taceva tutto quello, che poteva tornare in sua lode senza mai far parola di carica, onore o premio a lui compartito, che anzi, avvenendo di essere lodato, metteva la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l´esaltava.
Un compagno pieno di stupore nel rimirare un giovane cherico adorno di tante belle virtù, gli disse un giorno: Certamente, Comollo, tu sei un santo. Esso senza far caso delle espressioni di encomio prese due pezzi di pane, da noi piemontesi detto grissino, e ponendoseli a guisa di corna sopra la testa, scherzando rispose: Ecco un santo, cioè un diavoletto.
Quei fiori di tenera divozione, onde noi l´abbiamo veduto adorno tra le glebe, nei pascoli e negli studi, ben lungi dall´appassire cogli anni pervennero a mostrarsi in tutta la loro vaghezza e perfezione. Era bello a vedersi come il Comollo, dato il segno della preghiera o di altra sacra funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e, composto nella persona e con edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, compieva le pratiche religiose; nè mai in lui si ravvisò il minimo rincrescimento nel portarsi in cappella, o in altro luogo ad assistere a´ suoi religiosi doveri. Il mattino al primo tocco di campanello si alzava di letto, e, aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d´ora prima degli altri in chiesa a preparare l´ anima sua per l´orazione.
Tutte le volte che i Seminaristi assistevano alle solenni funzioni di chiesa, non solevano più recarsi a recitare la corona della B.V.; ma il Comollo non seppe mai astenersi da siffatta speciale divozione, perciò terminate queste pubbliche funzioni, mentre ognuno passava il tempo nella permessa ricreazione, egli con altro compagno si ritirava in cappella a pagare, come soleva dire, i debiti alla sua buona Madre, colla recita del Santissimo Rosario. Nei giorni di vacanza e particolarmente nelle ferie del SS.Natale, di carnovale, delle solennità Pasquali egli, anche più volte al giorno, si allontanava dai comuni divertimenti, a fine di recarsi a recitare quando i salmi penitenziali, quando l´ufficio dei defunti, o quello della B.V., e questo in suffragio delle anime del purgatorio.
Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato, oltre a frequenti visite e oltre a comunicarsi spiritualmente, approfittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi sacramentalmente, e ciò con grande edificazione di coloro, che trovavansi presenti. Premetteva alla comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS. Dopo la confessione non voleva più parlare d´altro, che di cose riguardanti alla grandezza, alla bontà, all´ amore del suo Gesù, che desiderava ricevere nel dì seguente. Giunta poi l´ora di accostarsi alla sacra mensa io lo scorgeva tutto assorto nei più alti e divoti pensieri. Composta la persona in santo atteggiamento, a passo grave, cogli occhi bassi, dando anche in iscuotimenti di commozione avvicinavasi al Santo dei Santi. Ritiratosi poscia a suo posto, pareva fosse fuor di sè, tanto vivamente vedevasi commosso e da vita divozione compreso. Pregava, ma ne era interrotto da singhiozzi, da interni gemiti e da lagrime; nè poteva acquetare i trasporti di tenera pietà, se non quando, terminata la Messa, si cominciava il canto del mattutino. Avvertito più volte a frenare quegli atti di esterna commozione, come quelli che potevano offendere l´occhio altrui: « Mi sento, rispondevami, mi sento tale piena di affetti e di contento nel cuore, che, se non permetto qualche sfogo, mi pare di essere soffocato. Nel giorno della comunione, (diceva altre volte), mi sento ripieno di dolcezza e di gaudio, che non so nè capire nè spiegare.» Da ciò ognuno vede chiaramente, come il Comollo fosse avanzato nella via della perfezione giacchè quei moti di amor di Dio, di dolcezza, di contento per le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che altamente gli stava radicata nel cuore e costantemente lo guidava nelle sue azioni.
A questa divozione interna andava strettamente congiunta un´esemplare mortificazione di tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in giardini o in ville, senza che egli avesse minimamente veduto le cose più notevoli, che tutti gli altri avevano ammirato. Non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo compagno qualche buon discorso in lingua latina attento il continuava, non mai badando a checchè occorresse. Talvolta accadde che dopo il passeggio interrogato se avesse visto suo padre, che pur gli era passato vicino, e l´aveva salutato, rispondesse di non averlo veduto. Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo gli era di grave cruccio, dovendo trattare con persone di altro sesso; onde appena detto quello che la convenienza e il bisogno volevano, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte, se quelle sue parenti (colle quali trattava con tanto riserbo) fossero grandi o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondeva che all´ombra gli parevano alte, che più oltre nulla sapeva, non avendole mai rimirate in faccia. Bello esempio degno di essere imitato dalla gioventù, e particolarmente da quelli, che aspirano o già si trovano nello stato ecclesiastico!
Le azioni più semplici e indifferenti divenivano per lui mezzi opportuni ad esercitare la virtù. Era assuefatto d´incrocicchiar l´una coll´altra le gambe e di appoggiarsi col gomito, quando gli veniva bene a mensa o nello studio o nella scuola. Per amor di virtù anche di questo si volle correggere, e per riuscirvi pregò istantemente un amico di ammonirlo ed anche imporgli qualche penitenza ogni qual volta l´avesse veduto nelle succitate posizioni. Di qui procedeva quella esteriore compostezza per cui in chiesa, nello studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed edificava chiunque il rimirasse.
Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d´ordinario quando più sentivasi bisogno di far colezione, era appunto allora che se ne asteneva. A mensa era parco al sommo: beveva poco vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza e vino, contentandosi di mangiare pane inzuppato nell´acqua, sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporale sanità, ma in realtà era per ispirito di mortificazione. Difatto, avvertito che tale modo di nutrirsi poteva cagionargli male di capo o di stomaco, rispondeva: « A me basta che non possa nuocere all´anima.» Nel sabato di ogni settimana digiunava per amor della B.V.; e nelle altre vigilie, nel tempo quaresimale, anche prima che fosse per età tenuto, digiunava con tale rigore, e prendeva cibo in sì poca quantità, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, ebbe a dire più volte che il Comollo voleva uccidersi. Questi sono i principali atti di penitenza esterna che mi son noti, dai quali lieve cosa sarà argomentare quello che ei nudrisse in cuore, e come l´animo del Comollo fosse di continuo occupato in teneri affetti d´amor di Dio, di viva carità verso il prossimo, e di ardente desiderio di patire per amor di Gesù Cristo.
« La vita, che il Comollo tenne nel Seminario, diede sempre (così depone un suo superiore) ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri si di studio come di pietà, esemplare affatto nella sua morale condotta, così che tutto il suo contegno dimostrava un´indole la più docile, ubbidiente, rispettosa e religiosa.»
Egli era piacevole nel parlare, perciò chiunque avesse tristezza alcuna, conversando con lui ne rimaneva consolato. Era così modesto, edificante nelle parole e nei tratti, che anche i più indiscreti erano obbligati a riconoscere in lui uno specchio di modestia e di virtù. Un suo collega soleva dire, che il Comollo era per lui una continua predica; che era un miele, il quale raddolciva i cuori, e gli umori anche i più bizzarri. Un altro disse più volte che voleva adoperarsi a tutta possa per farsi santo, e per riuscirvi avea deliberato di seguire le tracce del Comollo; e benchè si vedesse di gran lunga indietro la quel modello di virtù, nulladimeno era assai contento di quel tanto che veniva in sè ricopiando.
Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale, sua condotta era quello stesso del Seminario. Assiduo ai ss.Sacramenti, frequente alle sacre funzioni, puntuale nel fare il Catechismo ai ragazzi in chiesa (il che faceva vestito ancor da borghese), ed anche per le vie ogni volta gli avveniva di incontrarne.
Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. « Ho già passato circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo gran caldo mi hanno fatto assai bene per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avanzi di logica e di etica, che si sono omessi nel decorso dell´anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio, che mi suggerisci, ma ho già incominciato a leggere la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il tempo. Spero che ciò farò un altr´anno. Del resto la mia stanza è tuttora l´ameno paradiso terrestre; quivi entro salto, rido, studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che te per far la battuta. A mensa, in ricreazione, a passeggio sempre mi godo la compagnia del caro mio zio, il quale sebbene cadente pegli anni è sempre giulivo e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella dell´altra, che mi contentano all´estremo.
Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegre; e se mi vuoi bene prega il Signore per me, ecc.»
Affezionatissimo quale era a tutte quelle cose, che riguardavano l´ecclesiastico ministero, godeva molto quando vi si poteva occupare, chiaro segno che il Signore lo chiamava allo stato, a cui aspirava. Suo zio prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l´ottima inclinazione del nipote, l´incaricò di fare un discorso in onore di Maria SS. Egli esprime a quest´uopo i suoi sentimenti in altra lettera scritta al solito amico.
« Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall´ altro mi confonde. Mio zio mi diede incombenza di fare un discorso sulla gloriosa Assunzione di M.V.L´essere eccitato a parlare di questa cara Madre mi riempie di gioia il cuore. Dall´altro canto, conoscendo la mia insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere condegnamente gli encomi. Checchè ne sia, appoggiato all´aiuto di colei, di cui debbo favellare, mi dispongo ad ubbidire; l´ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde l´ascolti a recitare, e mi faccia le osservazioni, che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, sia riguardo alla materia.
Raccomandami all´Angelo Custode pel buon viaggio... Addio.»
Io tengo presso di me questo discorso, nel quale, quantunque siasi servito di accreditati autori, nulla di meno la composizione è sua, e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti, di cui ardeva il suo cuore verso la gran Madre di Dio. Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. « Sul punto di comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza e la voce, e le ginocchia non mi volevano più reggere. Ma tostochè Maria mi porse la mano, divenni vigoroso e forte; di maniera che lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il minimo intoppo; questo fece Maria, io non già; sia lode a Lei.»
Di lì a qualche mese essendomi recato a Cinzano, richiesi che se ne dicesse del Chierico Comollo e della predica da lui fatta. Tutti mi rispondevano con parole di encomio. Suo zio diceva di veder l´opera di Dio manifestata nel suo nipote: - Predica da santo, mi diceva taluno. Oh, esclamava un altro, pareva un angelo da quel pulpito, tanto era modesto e franco nel ragionare! Altri: Che bella maniera di predicare. - Ciò dicendo ne ripetevano alcuni sentimenti e perfino le stesse parole, che fisse ancora avevano nella memoria. Senza dubbio sarebbe stato grande il bene, che avrebbe fatto nella vigna del Signore un coltivatore di così buona volontà. Tale era l´aspettazione del vecchio suo zio, tale la speranza dei genitori, tale il desiderio de´ suoi compatrioti, de´ suoi superiori, de´ suoi compagni. Ma Iddio lo vedeva già abbastanza maturo pel cielo. Ed affinchè la malizia del mondo non venisse a cangiare il suo intelletto volle compensarne la buona volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già acquistati e di quelli, che bramava grandemente di acquistarsi.
Non è mio scopo di esporre cose che io giudichi soprannaturali; io intendo soltanto di raccontare i fatti quali sono avvenuti, lasciando ognuno in libertà di farne quel giudizio che gli paia migliore.
Nelle vacanze autunnali dell´anno 1838, mi sono recato a Cinzano per concertare alcune cose spettanti al vicino anno scolastico. Un bel giorno uscii a passeggio col Comollo sopra un colle, donde scorgevasi vasta estensione di prati, campi e vigne. - Vedi Luigi, presi a dirgli, che scarsezza di raccolti abbiamo quest´ anno! Poveri contadini! Tanto lavoro e quasi tutto invano!
- È la mano del Signore, egli rispose, che pesa sopra di noi. Credimi, i nostri peccati ne sono la cagione.
- L´anno venturo spero che il Signore ci donerà frutti più abbondanti.
- Lo spero anch´ io, e buon per coloro che si troveranno a goderli.
- Su via, lasciamo a parte i pensieri malinconici, per questo anno pazienza, ma l´anno venturo avremo più copiosa vendemmia e faremo miglior vino.
- Tu ne beverai.
- Forse tu intendi continuare a bere la solita tua acqua? - Io spero di bere un vino assai migliore.
- Che cosa vuoi dire con ciò?
- Lascia, lascia... il Signore sa quel che si fa.
- Non dimando questo, io dimando che cosa vuoi dire non quelle parole: Io spero di bere un vino assai migliore. Vuoi forse andartene al paradiso?
- Sebbene io non isperi di andare dopo morte al paradiso se non per pura misericordia del Signore, tuttavia da qualche tempo mi sento un sì vivo desiderio di andare a gustar l´ambrosia dei Beati, che parmi impossibile che siano ancora lunghi i giorni di mia vita. - Questo diceva il Comollo colla massima ilarità di volto, in tempo che godeva ottima sanità, e si preparava per ritornare in Seminario.
Quasi le medesime cose manifestò nella occasione in cui venne a Torino. Sul finire dello stesse vacanze si recò nella capitale, e dimorò più giorni in casa di una persona di molto buon giudizio, da cui rilevo e trascrivo le seguenti parole « Noi fummo tutti grandemente edificati dalla modestia di quel buon Luigi.
Cortese, affabile, semplice inspirava pietà in ogni sua azione, ma specialmente quando pregava, pareva un altro San Luigi. Era nostro piacere grande che si fosse trattenuto ancora qualche giorno con noi, ma ei se ne volle assolutamente partire. Nell´ atto che si licenziava: - Addio, gli dissi, forse non ci vedrem più.
- No, no, rispose egli, non ci vedrem più.
- Non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per la mia età già di molto avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro, che tu venga a dir Messa nuova.
Allora egli con parole franche e risolute: - Oh! rispose, io non dirò Messa nuova; l´anno venturo ella vi sarà ancora, ed io non vi sarò più. Preghi intanto il Signore per me: addio. - Queste ultime parole, pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciarono vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: Chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover morire? Quando poi ci fa partecipata la dolorosa notizia di sua morte, pieni d´ammirazione esclamammo: Troppo bene ei la previde! »
A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone colla stessa precisione di sentimenti e di parole.
Finite queste ultime vacanze e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a un luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi stava rimirando la patria con una serietà insolita. Suo padre fece alcuni passi verso di lui dicendo: - Che fai Luigi? Non sei bene in sanità? Che guardi?
- Io sono in buona sanità, mi sento bene, ma non posso togliere lo sguardo da Cinzano.
- Che guardi adunque? ti rincresce forse di recarti in Seminario?
- Non solo non mi rincresce, ma desidero di arrivare al più presto in quel luogo di pace; quel che guardo si è il nostro Cinzano, che lo rimiro per l´ultima volta. - Richiesto di nuovo se non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: - Niente, niente, rispose; sto benissimo, andiamo allegri, il Signore ci aspetta. - Queste parole, dice suo padre, le abbiamo più volte in famiglia ripetute, ed ogni qual volta passo in quel sito, anche presentemente, a stento posso trattenere le lagrime. - Il presente ragguaglio fu a me e ad altri riferito prima della morte del Comollo.
Nonostante tutti questi presentimenti del fine del suo vivere mortale, che il Comollo aveva in più circostanze esternati, con la solita sua pacatezza, con aria sempre uguale e imperturbata ripigliò seriamente i suoi studi e continuò esemplare nelle pratiche di pietà. All´esame semestrale conseguì (come l´anno antecedente) un premio di sessanta lire, che in ciascun corso ogni anno si suole assegnare a colui, che più si distingue nello studio e nella pietà.
Sebbene egli dimostrasse la medesima sollecitudine nell´adempimento dei suoi doveri, la medesima giovialità ed allegria nel ragionare e nel fare la ricreazione, tuttavia io scorgeva un non so che di misterioso nella sua condotta. Lo vedevo oltre l´usato attento nella preghiera e in tutti gli altri esercizi di pietà. In quel tempo in Seminario non si aveva la comodità di fare la S.Comunione se non alla Domenica. Ciò rincresceva al Comollo, e per soddisfare in qualche modo la sua divozione, al giovedì chiedeva di potersi recare a servire qualche messa nella Chiesa di S.Filippo annessa al Seminario. Per ciò fare era d´uopo perdere la ricreazione e la colezione; ma egli si sottometteva di buon grado a queste privazioni, giudicandosi assai bene ricompensato dalla comunione che comodamente faceva nel servir la S.Messa.
Voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino. « Quelli, diceva, sono veramente pastori del gregge di Gesù Cristo, i quali danno la loro vita per la salvezza delle pecorelle smarrite. Quanta gloria sarà loro riservata in paradiso.» Altre volte esclamava: « Oh potessi almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi dal Signore un consolante, euge, serve bone, vieni servo fedele! »
Con grande trasporto di gioia discorreva del paradiso; e fra le belle cose, che soleva dire, una fu questa: « Quando mi trovo solo e disoccupato o quando non posso prendere sonno lungo la notte allora mi metto a fare le più amene passeggiate. Suppongo trovarmi sopra un´alta montagna, dalla cui cima mi sia dato scoprire tutte le bellezze della natura. Contemplo il mare, la terra, i paesi, le città, con quanto di più magnifico esiste in essi; levo quindi lo sguardo pel sereno cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma il più maraviglioso spettacolo. A questo vi aggiungo ancora l´idea di una soave musica, che a voce ed a suono taccia echeggiare di lieti evviva valli e monti, e deliziando la mente con questa mia immaginazione, mi volgo in altra parte, alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la città di Dio. La miro all´esterno, poscia me le avvicino e penetro dentro; qui pensa tu alle cose, che senza numero io fo passare a rassegna.»
Proseguendo nella sua passeggiata raccontava cose le più curiose ed edificanti, che nella sua mente faceva passare a rassegna nelle varie sessioni del Paradiso.
Fu pure in quest´anno che gli cavai il segreto di pregare senza distrazione. « Vuoi sapere, dicevami, come io mi metta a pregare? Ella è un´immagine tutta materiale che ti farà ridere. Chiudo gli occhi, e col pensiero mi porto entro una grande sala, il cui soffitto è sostenuto da innumerevoli colonne, adornata nella maniera più squisita, e in fondo alla quale si alza un maestoso trono, sovra di cui suppongo stare assiso Iddio nella sua infinita maestà; dopo di lui tutti i cori dei Beati comprensori. Questa immagine materiale mi serve maravigliosamente per sollevare il mio pensiero all´infinita Maestà Divina, dinanzi a cui mi prostro e con tutto il rispetto a me possibile fo la mia preghiera.»
Questo dimostra, secondo le regole dei maestri di spirito, quanto la mente del Comollo fosse staccata dalle cose sensibili, e quanto ei fosse padrone di raccogliere le facoltà della mente sua per trattenerla a spirituali colloqui con Dio. La quale cosa segna un alto grado di perfezione.
In quest´anno medesimo, mentre ascoltava la S.Messa ne´ giorni feriali, soleva leggere le meditazioni sull´inferno del P.Pinamonti, intorno a che l´udii più volte a dire: « Nel decorso di quest´anno lessi sempre in cappella meditazioni sull´inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e benchè trista e spaventosa ne sia la materia, tuttavia vi voglio persistere, affinchè considerando l´intensità di quelle pene, mentre vivo, non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morte.»
Nel corso della quaresima (1839), coi sentimenti della più viva divozione fece altresì i santi spirituali esercizi. Dopo di essi, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo mondo, asseriva, che il più grande di tutti i favori; che il Signore possa concedere al cristiano, è quello degli esercizi spirituali. « Ella è la grazia più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni, che Dio possa fare ad un cristiano, accordargli tempo, onde disponga delle cose dell´anima con piena cognizione, con tutto l´agio, e con soccorso di circostanze sì favorevoli, quali sono meditazioni, istruzioni, letture, buoni esempi. Oh! quanto siete buono, Signore, verso di noi! che ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà di un Dio! »
Mentre io intraprendo a raccontare le cose riguardanti all´ ultima infermità e alla morte del Comollo, stimo bene di ripetere che quanto quivi espongo è quale fu scritto durante la sua malattia e immediatamente dopo la morte: cose tutte lette e rivedute dai superiori del Seminario, e dai compagni che ne furono testimoni oculari, prima che si mandassero alle stampe. I quali tutti asseriscono non aver trovata parola non conforme alla verità. È pur bene di notare che un´anima innocente e adorna di tante virtù, quale era quella del Comollo, direbbesi nulla dover paventare l´avvicinarsi dell´ora della morte. Eppure ne provò anch´ esso grande apprensione. Ah se le anime buone temono cotanto al doversi presentare al cospetto del divin Giudice a rendere conto dello loro azioni, che mai sarà, o lettori, che mai sarà di chi non pensa ad altro, che a godere i piaceri della vita! che terribile momento sarà mai quello per l´uomo peccatore!
Ora passiamo al racconto. Era il mattino del 25 marzo 1839, giorno della SS.Annunziata, quando io nell´andare in cappella incontrai pei corridoi il Comollo, che mi stava aspettando. Come l´ebbi interrogato del buon riposo, rispose francamente essere per lui spedita. Ne fui molto sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon pezzo insieme lasciandolo in perfetta salute. Chiestala ragione d´un tal parlare; « Sento, rispose egli, sento un freddo che m´occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo stomaco è impedito; del male corporale però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con voce commossa) si è il dovermi presentare al gran giudizio di Dio.» Esortandolo io a non volersi così affannare, essere queste certamente cose serie assai, ma per lui remote, e avere ancora molto tempo a prepararsi, entrammo in chiesa. Ascoltò ancora la S.Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di cappella, mi recai a visitarlo nel proprio dormitorio. Appena mi vide fra gli astanti, fece segno che me gli appressassi, come se avesse a manifestarmi cosa di grande importanza, e così prese a dire: « Mi dicesti, che era cosa remota, e che eravi ancor tempo a prepararmi prima d´andarmene, ma non è così; sono certo che debbo presentarmi presto al cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che tel dica chiaramente? Abbiamo da lasciarci.» Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee. « Non m´inquieto, interrompendomi disse, nè mi affanno, solo penso che debbo andare al gran giudizio, e giudizio inappellabile, e questo agita il mio interno.» Quelle parole mi afflissero assai; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo visitava, mi ripeteva sempre la stessa espressione: Si avvicina il tempo che debbo presentarmi al divin giudizio; dobbiamo lasciarci. Talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma più di quindici volte ripetute. Lo che sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a più altri suoi colleghi nell´occasione, che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni e medicine non gli avrebbero prodotto verun giovamento; come di fatto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero timore dei giudizi divini, al vedere poi che si andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale, benchè sulle prime ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato dacchè ne vide gli effetti.
Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante coricato; il martedì e mercoledì passolli fuori di letto per altro sempre tristo e melanconico, assorto nel pensiero dei giudizi divini. Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì, venerdì, sabato di quella settimana (santa) gli furono fatti tre salassi, prese varie medicine, ruppe in copioso sudore, ma senza ricevere alcun giovamento. Il sabato a sera, vigilia di Pasqua, andatolo a visitare: « Poichè, mi disse, dobbiamo lasciarci e tra poco io debbo presentarmi al giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte.» Il Direttore D.Gius. Mottura, scorgendo l´infermo camminare di male in peggio, mi concedette assai volentieri che passassi presso di lui la notte, che era quella del 30 marzo precedente al solenne giorno di Pasqua. « State attento, mi disse il Direttore, e se vi accorgete di grave pericolo chiamatemi tosto. Notate eziandio ogni particolarità della malattia, e sappiatene ragguagliare il medico domani.» Alle otto la febbre facevasi più violenta; alle otto e un quarto l´assalì un accesso di febbre convulsiva sì gagliardo, che gli tolse l´uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento prolungato, come se fosse stato atterrito da spaventevole oggetto o da tetro fantasma. Da lì a mezz´ora tornato alquanto in sè, e guardando fisso gli astanti, gridò ad alta voce: Ahi giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali, che cinque o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.
Tali dibattimenti durarono per ben tre ora, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se stesso. Stette lunga pezza pensieroso come occupato in seria riflessione, quindi deposta quell´aria di mestizia e di terrore, che da più giorni dimostrava pei giudizi divini, comparve tutto placido e tranquillo. Parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli venivano fatte a segno che l´avremmo quasi giudicato in regolare condizione di salute. Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, essendo poco prima così tristo ed ora tanto gioviale ed affabile. A quella dimanda mostrossi alquanto imbarazzato a rispondere; di poi, rivolto qua e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: - Fin ora paventai di morire pel timore del giudizo divino; questo tutto mi atterriva; ma ora son tranquillo, nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti raccontano. Mentre era estremamente agitato pel timore dei giudizi divini, parvemi in un istante essere trasportato in una profonda ed ampia valle, in cui l´agitazione dell´aria e le bufere di un vento furioso toglievano forza e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle era un grande abisso a guisa di larga e profonda fornace, onde uscivano fiamme avvampanti. Di quando in quando vedeva anime, delle quali alcune riconobbi, cadere là entro, e a quel tonfo globi immensi di fuoco e di fumo si sollevavano verso il cielo. A tale vista spaventato mi posi a gridare per timore di dover precipitare in quella spaventosa voragine. Perciò mi voltai all´indietro per fuggire, ed ecco una innumerevole turba di mostri di forma orribile e diversa, che tentavano urtarmi in quell´ abisso... Allora gridai più forte vie più atterrito, senza sapere che mi facessi, e mi segnai col segno della S.Croce. A quell´atto religioso tutti quei mostri volevano chinare il capo, ma non potendo si contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva ancora fuggire e allontanarmi da quel malaugurato luogo; allorchè vidi una moltitudine di uomini armati, che a somiglianza di forti guerrieri venivano in mio soccorso. Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei quali rimasero sbranati, altri giacquero stesi a terra, altri si diedero a precipitosa fuga. Liberato da quel pericolo, presi a camminare per quella spaziosa valle, finchè giunsi ai piè di un´ alta montagna, su cui solo si poteva salire per una scala. Ma questa aveva gli scalini tutti occupati da grossi serpenti, pronti a divorare chiunque vi ascendesse. Eppure non v’era altro passaggio che quello, ed io non osava avanzarmi temendo essere da quei serpenti divorato. Quivi abbattuto dalla stanchezza e dagli affanni, privo di forze, già veniva meno, quando una donna ch´ io giudico essere la comune nostra Madre, vestita in gran pompa, mi prese per mano e fecemi rizzare in piedi dicendo: « Vieni meco. Hai lavorato in mio onore e mi hai tante volte invocata, pertanto è giusto che ora ne abbi la dovuta mercede. Le comunioni fatte in mio onore ti meritano lo scampo dal pericolo, in cui ti ha posto il nemico delle anime.» Intanto Ella mi fe´ cenno di seguirla per quella scala. Come essa pose piede sugli scaglioni, tutti quei serpenti voltavano altrove la mortifera loro testa, nè si volgevano verso di noi, se non quando eravamo alquanto da loro lontani. Giunti in cima a quella scala, mi trovai in deliziosissimo giardino, dove io vidi cose, che non mi sono giammai immaginato che esistessero. Quando, fui in sicuro la benefica Signora mi aggiunse queste parole: « Ora sei in salvo. La mia scala è quella che deve condurti al sommo bene. Animo, figlio mio, il tempo è breve. Quei fiori che formano sì bello ornamento in questo giardino sono raccolti dagli angioli, con cui ti vanno intrecciando una corona di gloria a fine di collocarti tra i miei figli nel regno dei cieli.» Ciò detto disparve. Queste cose, conchiuse il Comollo, appagarono talmente il mio cuore e mi resero così tranquillo, che ben lungi dal temere la morte, io desidero che venga presto, a fine di potermi unire cogli angioli del cielo per cantare le lodi del mio Signore. - Sin qui l´infermo.
Checchè se ne voglia dire del sovraesposto racconto, il fatto fu che quanto grande era prima il suo timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto di poi manifestavasi il suo desiderio che giugnesse quello istante. Non più tristezza o malinconia in volto, ma tutto ridente e gioviale voleva sempre cantare salmi, inni o laudi spirituali.
Sebbene lo stato della malattia del Comollo apparentemente sembrasse assai migliorato, tuttavia sul fare dell´alba ho stimato di avvertirlo essere cosa buona che in quel giorno ricevesse i ss.Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua. « Volentieri, ripigliò, e poichè dicono che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa a quest´ora (erano le quattro e mezzo del mattino) vorrei che altresì risuscitasse nel mio cuore coll´abbondanza delle sue grazie. Non ho alcuna cosa che m´inquieti la coscienza, nulladimeno, atteso lo stato in cui mi trovo, ho piacere di parlare un momento col mio confessore prima di ricevere la santa comunione ».
La è pur questa cosa degna di osservazione; un giovane vissuto nel secolo, sul vigore di sua età, persuaso doversi fra poco presentare al divin giudizio, dire francamente non sentirsi la minima inquietudine di coscienza... essere tranquillo. È forza dire che ben regolata sia stata la sua vita, puro il cuore e pura l´anima sua.
Lettor mio, sia questo fatto di eccitamento a me ed a te a regolar fin d´ora le partite dell´anima nostra, onde possiamo in quello estremo di vita dire anche noi: Ho nulla che faccia pena alla mia coscienza. Ce lo conceda Iddio!
Spettacolo poi veramente edificante e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS.Viatico, già il signor Direttore, che ne era il ministro, seguito dai seminaristi, entrava nella infermeria; quando al suo primo comparire l´infermo tutto commosso cangia colore, muta d´aspetto, e pieno di santo trasporto esclama: « Oh bella vista. Giocondo vedere! Mira come isplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno corona! Quanti prostrati a terra l´adorano e non osano alzare la chinata fronte! Deh! lascia che io vada ad inginocchiarmi con loro, e adori anch´io quel non mai veduto sole.» Mentre tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS.Sacramento. Io mi sforzava a fine di trattenerlo in letto; mi cadevano lagrime di tenerezza e di stupore; e non sapeva che dire, nè che rispondergli. Ed egli vie più si dibatteva onde portarsi verso il SS.Viatico; nè s´acquetò finchè non l´ebbe ricevuto. Dopo la comunione, tutto concentrato nei più affettuosi sentimenti verso Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi, dando in novelli trasporti di gioia: « Oh! portento d´amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno di tesoro sì prezioso! Oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma con più di ragione ho io di che rallegrarmi, giacchè Colui, che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente svelato in Cielo, io lo custodisco nel seno: Quem Coeli capere non possunt, meo gremio confero: magnificava Deus facere nobiscum: operò il Signore con me le sue maraviglie, e fui ripieno di celeste gioia e di divina consolazione: Et facti sumus laetantes.» Queste e molte altre simili giaculatorie continuò a pronunziare per buon tratto di tempo. Infine abbassata la voce, chiamommi a sè e mi pregò a non parlargli più d´altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi momenti, che gli restavano ancor di vita, e doverla tutta impiegare a glorificare il suo Dio; perciò non darebbe più alcuna risposta, qualora fosse interrogato intorno ad altre cose.
Difatto in tutto il tempo di que´ convulsivi dibattimenti se veniva richiesto intorno a cose temporali vaneggiava; se intorno a cose spirituali dava le più sode risposte.
Crescendo ognor più il male, i parenti giudicarono di fare un consulto di parecchi valenti medici, che proposero rimedi ed eseguirono varie operazioni: insomma si operò quanto l´arte dei medici e dei chirurghi poteva suggerire, ma tutto senza effetto, avverandosi così ogni cosa nel modo e colle circostanze dal Comollo prenunziate.
Intanto l´infermo, apparendo assai prostrato di forze, e palesando tendenza al sonno, si lasciò alquanto riposare. I Seminaristi erano andati alle sacre funzioni del Duomo. Dopo breve riposo si svegliò e trovandosi solo col solito amico prese a parlargli così: « Eccoci, o caro amico, eccoci al momento, in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci. Noi pensavamo di confortarci nelle vicende della vita, aiutarci, consigliarci in tutto quello, che ci avrebbe potuto giovare alla eterna nostra salvezza. Non era scritto così nei santi e sempre adorabili voleri del Signore. Tu mi hai sempre aiutato nelle cose spirituali, nelle cose scientifiche ed anche temporali, ed ora ti ringrazio. Dio te ne rimeriti. Ma prima di lasciarci ascolta alcuni ricordi di un tuo amico. L´amicizia non importa solo di far quanto l´amico richiede mentre vive, ma di eseguire altresì quello che a vicenda si è promesso da effettuarsi dopo la morte. Perciò il patto, che abbiamo fatto colle più obbliganti promesse, di pregare a vicenda a fine di poterci salvare, non solo voglio che si estenda sino alla morte dell´uno o dell´altro, ma di ambidue; onde finchè tu condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti e giura di pregar per me.» Benchè in udir tali parole, asserisce l´amico, mi sentissi forzato a piangere, pure frenai le lacrime e promisi nel modo richiesto quanto voleva. « Or bene, proseguiva l´infermo, ecco quello che io posso dire a tuo riguardo: Non sai ancora se brevi o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checchè ne sia sull´incertezza dell´ora della morte, n´ è certa la venuta; perciò fa in maniera, che tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte, al giudizio... Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quell´ora da essi non voluta, ma non vi si dispongono, perciò allorachè se ne appressa il momento rimangono agitati anzi spaventati per l´imbarazzo grande, in cui si trovano nel sistemare le partite dell´anima. E chi muore in mezzo a tale confusione fa temere assai della sua eterna perdizione. Felici coloro che passando i giorni in opere sante e pie si trovano apparecchiati per quel momento. Se poi sarai chiamato dal Signore a divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero della morte, del giudizio, il rispetto alle chiese, poichè si vedono pur troppo anche persone di grado distinto, che hanno poca riverenza alla casa di Dio; perciò alle volte avviene che un uomo della plebe, una semplice donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza riflettere che si trova nella casa del Dio vivente!
« Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo patrocinio più possente che quello di Maria Santissima, devi perciò professarle una speciale divozione. Oh! se gli uomini potessero essere persuasi del contento che arreca in punto di morte la divozione a Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi, con cui renderle speciali onori. Sarà pur dessa, che col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell´anima nostra all´ ora estrema. Si armi pur tutto l´inferno contro di noi, con Maria in nostra difesa, nostra sarà la vittoria. Guardati per altro bene dall´ essere di quei tali, che recitando a Maria qualche preghiera, oppure offrendole qualche mortificazione, credono essere da lei protetti, mentre conducono vita scostumata. Invece di essere divoti di questa fatta, è meglio non esserlo, perchè se si mostrano tali, è puro effetto d´ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria coll´ imitare le virtù di lei, e proverai i dolci effetti di sua bontà e del suo amore.
« Aggiungi a questo la frequenza dei Sacramenti della confessione e comunione, che sono i due strumenti, ossia le due armi, colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti gli scogli di questo burrascoso mare del mondo. Procura di avere un confessore fisso: a lui apri il tuo cuore, a lui ubbidisci, e in lui avrai una guida sicura per la strada che conduce al cielo.Ma, ohimè! quanti si vanno a confessare senza alcun frutto: confessioni e peccati, peccati e confessioni: ma nessuna emendazione. Ricordati pertanto, che il sacramento della Penitenza è appoggiato sopra il dolore e sopra il proponimento, e dove manca una di queste essenziali condizioni, diventano nulle o sacrileghe tutte le nostre confessioni.
« Avverti finalmente con chi tratti, parli, e chi frequenti. Non parlo già delle persone di sesso diverso, od altre persone secolari, che siano per noi d´evidente pericolo, le quali si devono affatto evitare; ma parlo degli stessi compagni, chierici, ed anche seminaristi. Alcuni di essi sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni. I primi si devono assolutamente evitare, coi secondi soltanto trattare qualora ne sia il bisogno, senza stringere alcuna famigliarità; gli ultimi poi si devono frequentare, e questi sono quelli, da cui si riporta utilità spirituale e temporale. Egli è vero, che son pochi, ma appunto per questo devesi usare massima cautela nel cercarli, e trovati frequentarli, formando con essi quella spirituale amicizia, dalla quale si ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono, coi cattivi sarai cattivo.
« Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente. Quando andrai al passeggio, e passando presso il luogo di mia tomba udirai i compagni a dire: Qui sta sepolto il nostro collega Comollo, allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia, che mi recitino un Pater ed un Requiem. In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte cose ti direi ancora, ma il male prende forza, e m´opprime, perciò raccomandami alle preghiere degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo quando egli vorrà.»
Questi sentimenti esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto l´intrinseco del cuore formano il vero ritratto dell´animo suo. Il pensiero delle massime eterne, la frequenza dei Sacramenti, tenera divozione verso la B.V., fuggire i compagni pericolosi, cercare quelli, da cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, o di pietà, formavano lo scopo di tutte le sue azioni.
Sulla sera del giorno di Pasqua apparve così prostrato che appena poteva articolare e pronunciare qualche parola, quando fu sorpreso da nuovo e più violento accesso di febbre, accompagnato da dolorose convulsioni, sicchè a stento si poteva trattenere. Ma la nostra santa cattolica religione produce tali impressioni sul cuore delle anime buone, che al medesimo Comollo servì di spediente efficacissimo per acquetarlo. Comunque fuori di sè, o agitato dalla violenza del male, dettogli appena: Comollo, per chi bisogna soffrire? Egli subito rinvenendo tutto gioviale e ridente, « Per Gesù Crocifisso, » rispondeva.
In simile stato, senza mai proferire un lamento per l´atrocità dei dolori, passò la notte e quasi intiero il giorno susseguente. In questo frattempo fu visitato da´ suoi genitori, i quali conobbe appieno, e raccomandò loro di rassegnarsi alla divina volontà. Queste parole furono pungenti strali al cuore dell´addolorata sua madre, la quale tanto amava un figlio così amabile, e da cui ella pure era tanto amata. - Luigi, ella disse, frenando le lagrime, non ti pare di star meglio? Fa coraggio.
- Sì, cara madre, mi sento un po´ meglio, ma di qui a poco spero di star benissimo. È questo il tempo del coraggio! Speriamo nel Signore.
- Tuo zio prevosto ti saluta e prega e fa pregare per te.
- Salutate mio zio. Sì, caro zio, quanto mai vi ringrazio del bene che mi avete fatto. Se non mi sono lasciato strascinare dai perversi compagni lo debbo a voi. Quanto mai di cuore vi ringrazio.
Dopo una piccola pausa ripigliò: - Io godo grande consolazione nel vedervi qui, o cari genitori. Vi domando perdono dei dispiaceri, che vi ho cagionati colle mie disobbedienze.
- Figlio mio, tu non hai bisogno di perdono; fosti sempre la nostra consolazione.
- Voi siete troppo buoni. Vi ringrazio ancora di tutto ciò che avete fatto e sofferto per me. Io mi raccomando alle vostre preghiere. Non dimenticatemi! Se mio zio fosse qui lo vedrei con tanto piacere.
- Se avesse potuto sarebbe volato al tuo fianco. Ma siamo nelle feste di Pasqua. Esso non può lasciar la parrocchia.
- Oh caro zio, non potrò più vedervi in terra, ma ho piena fiducia di vedervi in cielo.E voi, madre mia diletta, ditelo voi al mio zio prevosto, ditegli che io lo attendo in paradiso.
- Luigi caro, ripigliò la madre mischiando le parole a copiose lagrime, ti ricorderai anche di me e di tuo padre?
- Sì, amati genitori; voi mi avete sempre dati buoni esempi; vi ho amati in vita e se morendo sarò accolto, come spero, dalla divina misericordia non mancherò di invocare incessantemente i celesti favori sopra di voi.
La dolente genitrice non potè più trattenere i singhiozzi e diede in dirottissimo pianto.
- Madre amata! egli soggiunse: Non piangete, o miei genitori. Dio vuole così; coraggio, coraggio! Al cielo il nostro cuore!. Al cielo le nostre consolazioni!. Al cielo!. Addio o cara madre! Addio o amato padre! A rivederci nella beata eternità.
Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria e così sostenuta che l´avreste giudicato in perfetto stato di salute. Il suo canto era il Miserere, le litanie della Madonna, l´Ave maria Stella e laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo prostrava si cercò di suggerirgli qualche preghiera; così egli cessava di cantare, per recitare quello che gli veniva suggerito.
Alle sette di sera 1° aprile, andando le cose ognora peggio, il Direttore spirituale stimò bene amministrargli l´Olio Santo. Cominciata appena tale sacra funzione l´infermo parea perfettamente guarito, rispondeva opportunamente a quanto abbisognava, talchè il sacerdote ebbo a dire essere cosa del tutto singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in agonia, potesse con tanta precisione far l´assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e responsori, che in quella amministrazione occorrono. Lo stesso avvenne alle undici e mezzo, quando il signor Rettore, al vedere che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto, gli compartì la papale benedizione.
Amministrati così tutti i conforti di nostra santa cattolica religione, non pareva più un infermo, ma uno che stesse in letto per riposo; era pienamente consapevole di se stesso, con animo pacato e tranquillo; tutto allegro ad ogni momento innalzava fervorose giaculatorie a Gesù Crocifisso, a Maria Santissima, ai Santi; onde il signor Rettore ebbe a dire: « Egli non abbisogna che altri gli raccomandi l´anima, essendo sufficiente per se medesimo.» A mezza notte, con voce assai robusta intuonò l´Ave maris Stella, e continuò quest´inno sino all´ ultimo versetto, senza desistere, nonostante che i compagni lo pregassero a non istancarsi. Era tanto assorto in se stesso e traspariva dal suo volto tale un´aria di paradiso da sembrare un angiolo. Un´ ora dopo la mezzanotte del 2 aprile dimandò ad uno degli astanti, quanto tempo vi era ancora; gli fu risposto: - Vi è ancor mezz´ora.
- C´è ancora di più, soggiunse l´infermo.
- Sì, ripigliò l´altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz´ora poi andremo alla ripetizione.
- Eh mio caro, ripigliò l´infermo sorridendo, bella ripetizione!. V´è altro che ripetizione.
Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso, rispose;
- Mi ricorderò di tutti, ma in modo particolare di quelli, che mi aiuteranno ad uscir presto dal purgatorio.
Un altro compagno gli domandò se non gli rincrescesse di lasciare il mondo, i parenti gli amici.
- No..., no... Non mi rincresce; mio padre e mia madre li vedrò presto in cielo; gli Angioli santi saranno i miei amici in eterno.
- Che cosa ti consola di più in questo momento?
- Aver fatto qualche cosa per amore di Maria e l´aver frequentato la santa comunione.
Ad un´ ora e mezzo, benchè conservasse sempre la solita serenità nel volto apparve talmente estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro. Rinvenuto poscia un tantino, raccolto quanto avea di vigore, con voce tronca, cogli occhi elevati al cielo proruppe in questi accenti: « Vergine santa, Madre benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi, che fra tutte le creature sola foste degna di portarlo nel vostro immacolato seno, deh! per quell´amore, con cui l´allattaste, lo stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorchè gli foste compagna nella sua povertà, allorchè lo vedesti fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e finalmente spasimare morendo in croce; deh! per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza, viva fede, ferma speranza, infiammata carità, con sincero dolore de´ miei peccati; ed ai favori, che mi avete ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia, che io possa fare una santa morte. Sì, cara Madre pietosa, assistetemi in questo punto che sto per presentare l´anima mia al divin giudizio; presentatela Voi medesima nelle braccia del vostro divin Figlio; che se tanto mi promettete, ecco io con animo ardito e franco, appoggiato alla vostra clemenza e bontà presento per le vostre mani quest´ anima mia a quella Maestà Suprema, da cui spero conseguire misericordia.»
Queste furono le precise parole da lui pronunciate con tanta enfasi e penetrazione, che commossero tutti gli astanti, sino a trarre loro le lacrime.
Terminata questa fervorosa preghiera, pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse s.Luigi, quando morì: alla qual dimanda scossosi: « S.Luigi, rispose, aveva ventitrè anni compiuti, e io muoio che non ne ho ancora ventidue.» Vedendo venirgli meno il polso, m´accorsi appressarsi il momento che egli dovea abbandonare il mondo ed i suoi compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto, che venivami a proposito in simili circostanze. Ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto e colle labbra ridenti, conservando l´inalterabile sua tranquillità, fissi gli occhi nel Crocifisso, che stretto teneva fra le mani giunte innanzi al petto, si sforzava di ripetere ogni parola che gli veniva suggerita. Circa dieci minuti prima del suo spirare, chiamò per nome uno degli astanti, e, « se vuoi, gli disse, qualche cosa per l´eternità, io... addio me ne parto. Gesù e Maria metto nelle vostre mani l´anima mia.» Queste furono lo ultime sue parole. Quindi per la durezza delle labbra e la spessezza della lingua non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie suggerite, le componeva e lo articolava colle labbra.
Eranvi altresì due diaconi Don Sassi e Don Fiorito, che gli leggevano il proficiscere, il quale terminato, mentre gli si raccomandava l´anima alla Vergine Santissima, agli Angeli onde fosse da loro offerta nel cospetto dell´ Altissimo, nell´ atto, che si pronunciavano i santi nomi di Gesù e di Maria, sempre sereno e ridente in volto, movendo egli un dolce sorriso a guisa di chi resta sorpreso alla vista di un maraviglioso e giocondo oggetto, senza fare alcun movimento, l´anima sua bella si separò dal corpo volando, come piamente si spera, a riposare nella pace del Signore. Il suo felice transito avvenne alle due dopo mezzanotte, prima che sorgesse l´aurora del due aprile 1839, in età d´anni 22 meno cinque giorni. Così morì il giovine chierico Comollo Luigi, il quale seppe gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni, coltivarli in mezzo alle lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni e mezzo circa di chiericato, facendoli venire a tutta maturazione con una penosa malattia. E mentre ognuno si stimava fortunato di averlo chi per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli tutti lasciò nel mondo per andarci a proteggere in cielo.
Parrebbe sulle prime che un´anima sì buona, sì cristianamente vissuta come il nostro Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini. Ma, se ben si osserva, questa è la condotta ordinaria che tiene Iddio co´ suoi eletti, i quali, al pensiero di doversi presentare al rigoroso divin tribunale, ne rimangono pieni di timore e di spavento; ma Dio corre a suo tempo in loro soccorso, e invece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni, rimorsi e disperazione, quello dei giusti si cangia in coraggio, confidenza e rassegnazione, che produce nel loro cuore la più dolce allegrezza. Questo è veramente il punto, in cui Iddio fa gustare al giusto il centuplicato delle opere buone, secondo la promessa del Vangelo, con raddolcire le amarezze della morte colla pacatezza e tranquillità di animo, di contento e di gaudio interno che ravviva la fede, conferma la speranza, infiamma la carità a segno, che il male per dir così perde la sua violenza, e vi sottentra un saggio anticipato del godimento di quel bene, che Iddio sta per compartir loro in eterno. Il che deve stimarsi guiderdone sufficiente ai travagli della vita, confortarci a tollerarli con rassegnazione, e a regolare tutte le azioni nostre secondo i divini precetti.
Fattosi giorno e sparsasi la voce della morte del Comollo, tutto il Seminario rimase nella più grande costernazione. Diceva taluno: In quest ora Comollo è già in paradiso a pregare per noi; un altro: Quanto bene previde la sua morte! questi: Visse da giusto, morì da santo; quegli: Se dagli uomini si può giudicare che un´anima partendo dal mondo voli al paradiso, certamente ciò si può affermare del Comollo. Quindi ognuno andava a gara per avere qualche cosa che fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo crocifisso, altri per avere divote immagini: altri poi si stimavano grandemente contenti di possedere qualche suo librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare, onde conservarsi stabile memoria di tanto amato e venerato collega.
Il Rettore del Seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che accompagnarono la morte di lui, comportando a malincuore che il suo cadavere fosse portato al cimitero comune, appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili ed ecclesiastiche, da cui ottenne che fosso sepolto nella chiesa di s.Filippo annessa al Seminario medesimo.
Il professore della conferenza del mattino Don Prialis cominciò la scuola all´ ora solita, ma venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia che tutti gli uditori avevano dipinta in fronte, fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime e singhiozzi, dovette intralasciare la scuola, non avendo più forza di continuarla.
L´altro professore il Teologo Arduino la sera venne pure nella scuola, ma invece della solita spiegazione fece un patetico discorso sulla morto del Comollo, nel quale discorso diceva essere ben giusto il dolore, che ognuno esternava per la perdita di sì amato compagno, ma doversi dall´altro canto ognuno di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante, una morte sì preziosa dovesse averci procurato un protettore in cielo. Esortò tutti a proporselo per modello di virtuosa e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua morte; morte di un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e fluì con raccomandarci che ne serbassimo sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù.
Il mattino del 3 aprile coll´intervento di tutti i Seminaristi, di tutti i superiori, del signor Canonico Curato cogli altri Canonici e col clero, fu il cadavere portato processionalmente per la città di Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici e pie preghiere alla suddetta chiesa di s.Filippo. In quel momento cadeva dirotta pioggia a segno che le vie della città erano inondate ed infangate. Ciò nulla di meno una folla immensa accompagnò il feretro colla massima divozione e raccoglimento. Giunti in Chiesa con lugubre musica, con pomposo apparato si cantò messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale, venne deposto in una tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata, quasi che quel Gesù Sacramentato, verso cui mostrò tanto amore e col quale sì volentieri si tratteneva, vicino pure lo volesse anche dopo morte.
Sette giorni dopo fecesi un solenne funerale con gran pompa e col più maestoso apparato di addobbamenti e di lumi.
Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali oltremodo dolenti niente risparmiarono a favore di un compagno a tutti carissimo.
Ella è verità innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla loro morte, ma il loro esempio viene tramandato a´ posteri con utilità. Una malattia e una morte accompagnata da tanti segni di viva fede e da sentimenti di virtù e di pietà risvegliò eziandio in molti Seminaristi il desiderio di imitare Comollo. Perciò non pochi s´impegnarono a seguitare gli avvisi e i consigli loro dati mentre ancora viveva, altri a tener dietro a´ suoi esempi e virtù, di modo che alcuni alunni, i quali prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano aspirare, dopo questa morte si posero con le più ferme risoluzioni per divenire modelli di perfezione.
« Egli fu appunto alla morte del Comoilo, dice un suo compagno, che mi sono risoluto di menare una vita da buon chierico, per divenire santo ecclesiastico; e quantunque tale determinazione sia stata finora inefficace, nulladimeno non mi rimango, anzi voglio addoppiare vie più ogni giorno l´impegno.» Nè queste furono solamente risoluzioni di primo movimento, ma continua ancora oggidì a farsi sentire il buon odore delle virtù del Comollo. Onde il Rettore del Seminario poco tempo fa mi assicurò che « il cangiamento di moralità avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo continua ad essere tuttodì permanente.»
Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto quella, la quale in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolato, una condotta tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi e principalmente degli occhi, fanno arguire che abbia posseduta una tale virtù in grado eminente. Ed a me pare non dire troppo, se affermo e nutro costante opinione, che egli abbia portata all´altra vita la bella stola dell´innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe materie teologiche, che egli niente affatto comprendeva, da certe interrogazioni che talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità e purezza. Mi conferma in questa opinione ciò che rilevai dal suo Direttore di spirito, il quale, dopo lungo discorso meco fatto sul Comollo, conchiuse, che aveva egli conosciuto in lui un angioletto di costumi, che fervoroso e divoto di s.Luigi sempre si studiava d´imitarne le virtù. Difatto tuttavolta che di questo santo faceva parola (oltrechè gli offriva mattina e sera special preghiera), parlavano sempre con trasporto di gioia; anzi gloriavasi perchè ne portava il nome. « Son Luigi di nome, diceva, ah! potessi pure un giorno essere Luigi di fatti.» Che se studiavasi di seguire le virtù di san Luigi, gli avrà certamente tenuto dietro in quella, che di tal santo è la caratteristica, il candore e la purità di costumi.
Qui sembrami opportuno di osservare che la ragione, per cui la morte del Comollo fece sì grande impressione, furono due apparizioni del medesimo seguite dopo la sua morte. Io mi limito ad esporne una di cui fu testimonio un intero dormitorio, avvenimento che ha destato rumore dentro e fuori del Seminario. Questa visita straordinaria venne fatta ad un compagno, col quale esso Comollo era stato in amicizia mentre viveva. Ecco in qual modo lo stesso compagno narra il fatto. « Nelle nostre amichevoli relazioni, seguendo ciò che avevamo letto in alcuni libri, avevamo pattuito fra di noi di pregare l´un per l´altro, e che colui, il quale primo fosse chiamato all´eternità, avrebbe portato al superstite notizie dell´altro mondo. Più volte abbiamo la medesima promessa confermata, mettendo sempre la condizione, se Dio avesse ciò permesso e fosse stato di suo gradimento. Simil cosa allora si fece come una puerilità, senza conoscerne l´importanza; tuttavia tra di noi si ritenne sempre sul serio quale sacra promessa e da mantenersi. Nel corso della malattia del Comollo si rinnovò più volte la medesima promessa, e quando egli venne a morire se ne attendeva l´adempimento, non solo da me, ma eziandio da alcuni compagni che ne erano informati.
« Era la notte del 4 aprile, notte che seguiva il giorno della sua sepoltura, ed io riposava cogli alunni del corso Teologico in quel dormitorio che dà nel cortile a mezzodì. Ero a letto, ma non dormiva e stava pensando alla fatta promessa, e quasi presago di ciò che doveva accadere ero in preda ad una paurosa commozione. Quando, sullo scoccare della mezzanotte, odesi un cupo rumore in fondo al corridoio, rumore che rendevasi più sensibile, più cupo, più acuto mentre si avvicinava. Pareva quello di un carrettone, di un treno di ferrovia, quasi dello sparo di un cannone. Non saprei esprimermi se non col dire che formava un complesso di fragori così vibrati e in certo modo così violenti, da recare spavento grandissimo e togliere le parole di bocca a chi l´ascoltava. Ma nell´atto che si avvicinava lasciava dietro di sè rumoreggianti le pareti, la volta, il pavimento del corridoio, come se fossero costrutti di lastre di ferro scosse da potentissimo braccio. Il suo avvicinarsi non era sensibile in modo da potersi misurare il diminuirsi delle distanze, ma lasciava un´ incertezza quale lascia una vaporiera, della quale talora non si può conoscere il punto ove si trova nella sua corsa, se si è costretti a giudicare dal solo fumo che si stende per l´aria.
« I Seminaristi di quel dormitorio si svegliano, ma niuno parla. Io era impietrito dal timore. Il rumore si avanza, ma sempre più spaventoso; è presso al dormitorio; si apre da sè violentemente la porta del medesimo; continua più veemente il fragore senza che alcuna cosa si veda, eccetto una languida luce, ma di vario colore, che pareva regolatrice di quel suono. Ad un certo momento si fa improvviso silenzio, splende più viva quella luce, e si ode distintamente risuonare la voce del Comollo che, chiamato per nome il compagno tre volte consecutive, dice:
- Io sono salvo!
« In quel momento il dormitorio venne ancora più luminoso, il cessato rumore di bel nuovo si fa udire di gran lunga più violento, quasi tuono che sprofondasse la casa, ma tosto cessò ed ogni luce disparve. I compagni balzati di letto fuggirono senza saper dove; si raccolsero alcuni in qualche angolo del dormitorio, si strinsero altri intorno al prefetto di camerata, che era D.Giuseppe Fiorito da Rivoli; tutti passarono la notte, aspettando ansiosamente il sollievo della luce del giorno.
Io ho sofferto assai e fu tale il mio spavento, che in quell´istante avrei preferito di morire. Di qui incominciò una malattia, che mi portò all´orlo della tomba e mi lasciò così male andato di sanità, che non ho potuto più riacquistarla so non molti anni dopo.»
Lascio a ciascheduno dei lettori a fare di questa apparizione quel giudizio che egli crederà, avvertendo però che dopo tanti anni sono oggigiorno ancora fra i vivi alcuni testimoni del fatto. Io mi contento di averlo esposto nella sua interezza, ma raccomando a tutti i miei giovani di non fare tali convenzioni, perchè, trattandosi di mettere in relazione le cose naturali colle soprannaturali, la povera umanità ne soffre gravemente, specialmente in cose non necessarie alla nostra eterna salvezza.
Pare che qui sia opportuno parlare di alcuni favori celesti, che ad intercessione del Comollo furono ottenuti. Sebbene io di questi conservi esatta memoria, chiuderò questo comunque siasi ragguaglio con tre soli fatti, ai quali atteso il carattere e la dignità delle persone che li affermano parmi potersi prestare tutta credenza.
Il primo riguarda ad una persona, che fu liberata da grave tentazione. Costei molto impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: ora con un mezzo, ed ora con un altro era sempre riuscita a vincere la tentazione. Un giorno poi fu sì gagliarda, che pareva omai avervi sgraziatamente a soccombere, e quanto più cercava d´allontanare le cattive idee dalla sua fantasia, tanto più vi correvano. Secca, arida non poteva muoversi a pregare; quando volgendo lo sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al Comollo, e che conservava qual grata memoria di lui. « Allora mi posi a gridare, afferma la persona medesima, se tu sei in paradiso, o virtuoso Luigi, e se mi puoi favorire presso il Signore, pregalo, che mi liberi da questo terribile frangente. Gran cosa! dette appena tali parole, quasi fossi mutata in un´ altra, cessò del tutto la non voluta tentazione, e mi trovai tranquilla. D´allora in poi non tralasciai più d´invocare in mio soccorso quell´angioletto di costumi nei miei bisogni, e ne fu ognor favorita.»
L´altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l´attore, e testimonio oculare. « Un mattino fui chiamato in tutta fretta a raccomandare al Signore l´anima di un mio amico, il quale pativa l´ultima agonia. Là giunto, lo trovai veramente qual erami stato raffigurato. Privo dell´uso dei sensi e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di freddo sudore, le arterie sfinite e mancanti sì, che avresti detto tra pochi minuti dovesse mandare l´ultimo respiro. Lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che fare, dirotte mi cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il Chierico Comollo, di cui eranmi state riferite tante belle virtù, volli, a sfogo del mio dolore, invocarlo. Orsù, dissi, se tu puoi qualche cosa presso il Signore, pregalo, che sollevi quest´ anima addolorata, e sia libera dalle angosce di morte. Questo dissi, e il morente tosto lasciando cadere l´estremità del lenzuolo, che stretto teneva tra´ denti, si riscosse, e cominciò a parlare, quasi non fosse stato ammalato. Il suo miglioramento fu tale, che, passati otto giorni, l´infermo si trovò totalmente guarito da una malattia, che esigeva più mesi di convalescenza, e potè ripigliare le sue primiere occupazioni.»
L´ultimo fatto io stimo bene di esporlo tale quale fu scritto dalla persona, che ha ricevuto il celeste favore, e che dichiara di riconoscerlo dal Signore ad intercessione del Comollo. È questi il signor Paccotti Gio.Battista, geometra e proprietario a Cinzano, testimonio oculare delle ammirabili virtù praticate dal Comollo in questo paese.
Ecco il tenore della relazione.
Molto Rev. Signore,
Cinzano, 16 settembre 1847.
Secondo la promessa fatta nello scorso autunno alla S.V.M.Rev., la quale si fa premura di registrare i fatti storici succeduti prima e dopo la morte del chierico Luigi Comollo, mi reco a dovere, sebben tardi, di renderla informata d´un fatto, che mi successe nell´anno 1845, rinnovato nel 1846 e parimente nell´ora scorso mese di agosto corrente anno 1847.
Molestato da certa acuta malattia, la quale da molti anni ad una certa data stagione dell´anno viemmaggiormente inviperiva, con maggior violenza ne fui sorpreso nel mese di ottobre e novembre 1845, a segno che malgrado tutti i suggerimenti dell´arte medica, e specialmente immaginati dai celebri sig.Cavalieri Professori Riberi e Gallo, senza far parola di varii altri di egual merito, la cosa ciò nonostante rendevasi sempre peggiore ed insopportabile, tal che già dichiaravasi irrimediabile.
In una notte adunque di detto mese di novembre 1845, come dissi, giacendo in letto secondo il solito, e quasi sfinito, più seriamente che mai pensavo al tristo caso in cui mi trovavo ridotto, ed al fine a cui io mi vedevo esposto; ed addormentandomi alquanto sul far del giorno, dopo una trista notte passata, non so se svegliato o che me lo credessi, il fatto si è che mi sentii pronunziare all´orecchio: E perchè non pensi a Luigi Comollo, il quale ti potrebbe aiutare in questa tua critica circostanza? E nient´ altro intesi se non che mi trovai realmente svegliato.
Fatto adunque serio riflesso a queste parole, e ritenuto che la condotta di questo degnissimo chierico fu sempre irreprensibile, anzi d´esempio a tutti gli altri, risolsi fra me stesso di ricorrere al medesimo invitandolo col dirgli: « Se adunque voi, o Luigi, siete fra i Beati, procurate di ottenermi dal Signore la guarigione, ed io m´obligo di rendere di ciò informato il sig.D.Bosco, acciò, unitamente alle altre particolarità a vostro riguardo descritte, unisca eziandio la presente sempre a vostro maggior decoro.»
Ciò detto rimasi alquanto più tranquillo, e quindi all´indomani mi trovai presso che libero da una malattia, per cui credevo di dover soccombere, o per lo meno diventare una persona d´incomodo o d´aggravio alla famiglia.
Intanto restituitomi finalmente in perfetta salute, tra i negozi, e gli affari di mia professione di misuratore, dimenticai totalmente l´adempimento di quanto al chierico Luigi Comollo promisi di eseguire. Ma nell´anno successivo, cioè nell´autunno 1846, si rinnovò intempestivamente e con più rigore la mia malattia; ed allora sì che mi rammentai dell´obbligo assuntomi. Infatti rinnovando la stessa promessa con essermi tosto dalla S.V.M.Rev.presentato, libero come prima mi trovai dall´affezione sopravvenutami. Ma siccome la S.V.M.Rev. in certo modo mi obbligò di farle la narrazione genuina del fatto occorsomi, ed io, dopo averne accettato l´incarico, non l´ho poi eseguito, incontrai la terza volta e pochi giorni sono la stessa malattia; la quale facendosi ogni giorno più seria, opinai ciò derivare dal non aver adempito all´obbligo assuntomi. Ed invero avendo ieri rinnovato la mia protesta col dire che se oggi mi sentivo meglio, avrei senza ritardo esposto alla S.V.M.Rev. il fatto intiero occorsomi, ottenni per ben la terza volta un notabile miglioramento, e posso dire esservi tutta la certezza di guarigione d´una malattia, della quale sicuramente l´arte medica non m´avrebbe al certo potuto liberare.
E siccome la mia guarigione intieramente la riconosco e la debbo all´intercessione del chierico Luigi Comollo, mi reco a premura di pregare la S.V.M.Rev. di voler pubblicare questo vero e sincero fatto a me occorso a maggior gloria di Dio, ed affinchè per l´avvenire il rispetto e la venerazione verso questo modello di virtù, Luigi Comollo, cresca sempre più presso tutti, e specialmente presso di quelli i quali, ebbero in vita la fortuna di conoscerlo.
Ecco quanto posso e deggio accertare nell´atto che ho l´onore, ecc.
Di V.S.M.Rev.
Dev.mo Umil.mo Servitore
PACCOTTI GIO. BATT.
Dal fin qui esposto ognuno facilmente comprende come le virtù del Comollo, quantunque non siano straordinarie, sono peraltro nel loro genere singolari, e compiute, di modo che parmi si possa proporre per esemplare a qualunque persona sia secolare, sia religiosa; avendo per certo, che chi sarà seguace del Comollo, diventerà giovine virtuoso, chierico esemplare, vero e degno ministro del Santuario.
Mentre però noi ammiriamo le virtuose azioni del Comollo, voglio che fermiamo i nostri pensieri su quella divina religione, che forma si bei modelli di virtù. Egli è proprio della sola Cattolica Religione aver dei Santi e degli uomini segnalati in virtù; essa sola abbonda di mezzi che confortano l´uomo in tutti i bisogni della vita; essa lo istruisce e lo guida nella giovinezza pel sentiero della verità; lo conforta co´ Sacramenti, colla parola di vita nell´età adulta; raddoppia le sollecitudini nelle malattie, nulla tralasciando di quanto può contribuire al bene spirituale ed eterno, ed anche al bene temporale; essa sola lo conforta in punto di morte, nella morte o dopo morte.
O Religione Cattolica, Religione santa, Religione divina! Quanto sono grandi i beni che tu procuri a chi ti pratica, a chi in te spera e in te confida! Quanto sono fortunati quelli, che si trovano nel tuo seno e ne praticano i precetti!
Intanto, o lettore; mentre ammiriamo le virtuose azioni degli eroi del Cattolicismo, rendiamo i più vivi ringraziamenti a Dio, che per tratto di sua bontà ci ha creati e conservati nella santa Cattolica Religione; e in pegno di gratitudine mostriamoci zelanti osservatori dei precetti di questa nostra Religione divina; ma non cessiamo di supplicare di cuore Iddio ad usarci un gran tratto di misericordia, a conservarci in questa Religione fino agli ultimi momenti di vita.
Allora, lettor caro, sarà pure un gran contento per noi, e quando l´anima nostra abbandonerà tutte le cose terrene a fine di presentarsi per la prima volta alla Suprema e Divina Maestà, saremo certi di sentirci anche noi il dolce invito annunciato da Gesù Cristo nel Vangelo: « Vieni, o servo fedele, vieni, tu fosti a me fedele in vita, ora vieni ad essere coronato di gloria in cielo, ove godrai in eterno il gaudio del tuo Signore: Intra in gaudium Domini tui.»
Il Signore Iddio conceda questa grazia a me che scrivo, a te che leggi, e a tutti i fedeli cristiani.
Così sia.
Versione app: 3.26.4 (097816f)