Preparandoci al Corpus Domini chiediamo a Lei di sostenerci...
Cari amici,
la festa liturgica del Corpo e Sangue del Signore è un appuntamento particolarmente caro a tutti noi. Negli ultimi anni ho preso l’impegno di scrivere una lettera per alimentare l’amore per Gesù Eucaristia, richiamare alcuni aspetti di questo insondabile mistero e sollecitare una più attenta preparazione. Desidero farlo anche quest’anno. Le parole non possono dire tutto quello che vorrei comunicare, ma spero che l’insistenza con cui ritorno su questo tema vi faccia sempre più comprendere l’importanza dell’Eucaristia nella vita della Chiesa.
Nella notte di Betlemme
Vorrei partire da lontano, da quella notte luminosa in cui il Verbo appare nella carne, quella notte in cui Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (Lc 2,7). Fino a quel momento solo gli angeli avevano potuto contemplare il mistero di un Dio fatto uomo. Quella notte gli occhi di carne della Vergine, prima fra tutte le creature, videro la luce divina nascosta nella fragile umanità di un bambino appena nato. “Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?”, canta la sequenza pasquale. È la stessa domanda che possiamo porre alla Vergine di Nazaret:
“Raccontaci, Maria, cosa hai visto quella notte? Cosa hai pensato mentre stringevi tra le braccia il tuo piccolo bambino? Hai sentito il coro degli angeli? Hai visto una luce misteriosa che Dio aveva promesso per mezzo del profeta (Is 9,1)? E quali parole dicevi al tuo bambino mentre egli, attaccato al tuo seno, riceveva da te il latte della vita? Tu non lo sapevi, o Maria, non potevi saperlo, ma quella notte ha avuto inizio quel ministero eucaristico che la Chiesa esercita lungo i secoli. Noi ti ringraziamo, o Madre purissima, tutta bella perché tutta rivestita di grazia, e ti chiediamo di donare anche a noi, ogni volta che ci accostiamo questo mistero, il tuo stesso sguardo, colmo di amore e di stupore”.
La grande spiritualità cristiana ha sottolineato l’intimo legame tra il ministero vissuto da Maria e l’esperienza eucaristica. La sequenza liturgica del Corpus Domini ci invita a cantare così: “Ave, verum Corpus natum de Maria Virgine!”. “Ave, o vero corpo, nato da Maria Vergine”. Sì, il Pane consacrato che noi riceviamo attraverso la Chiesa è l’icona di quel Corpo che Dio ha donato al mondo attraverso la Vergine Maria. Nell’enciclica Redemptoris Mater (1987) Giovanni Paolo II scrive che la maternità di Maria “è particolarmente avvertita dal popolo cristiano nel sacro Convito – celebrazione liturgica del mistero della redenzione – nel quale si fa presente Cristo, il suo vero Corpo nato da Maria Vergine” (n. 47). Chiediamo perciò alla Vergine di sostenere la nostra fragile fede e di accompagnare i nostri passi verso la chiesa dove si rinnova il mistero della divina presenza. Dove Maria è presente, arriva anche Gesù. E dove incontriamo Gesù, troviamo anche sua Madre.
Maria, donna eucaristica
Nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003), l’ultima del suo lungo pontificato, Giovanni Paolo II dedica un intero capitolo a Maria, presentata come “donna eucaristica” (nn. 53-58). La Vergine di Nazaret, scrive il Papa, “ci può guidare verso questo Santissimo Sacramento, perché ha con esso una relazione profonda” (n. 53). Egli sottolinea un triplice passaggio.
Il primo passo avviene a Nazaret: accogliendo l’annuncio dell’angelo, infatti, Maria accoglie e custodisce il Figlio di Dio nel suo grembo, essa diventa perciò il primo tabernacolo. Portando Gesù nella casa di Zaccaria, Maria si presenta come l’arca della nuova alleanza, un’alleanza non più scritta su lettere di pietra ma nelle pieghe del cuore. E infine, nella notte di Betlemme la fanciulla di Nazaret dona al mondo Gesù e lo mostra ai pastori, è lei il primo ostensorio.
Questi rapidi accenni possono essere completati con il riferimento all’episodio che avvenne a Cana di Galilea. Quel giorno Maria fu protagonista di un fatto eclatante eppure nascosto. “Non hanno vino”, dice Maria (Gv 2,3). La Madre chiede a Gesù di intervenire per donare il vino nuovo, il vino della gioia e della fedeltà. È spinta dalla carità verso gli sposi e dalla fede nel Figlio. Senza saperlo, cioè senza averne piena consapevolezza, la sua richiesta anticipa l’ora della Pasqua, annuncia il dono della nuova alleanza e della vita nuova che Dio vuole donare a tutti per mezzo del suo Figlio. Quel vino è segno della pienezza. Cana è caparra dell’Eucaristia. Giovanni Paolo II scrive che a Cana Maria sembra dire:
«Non abbiate tentennamenti, fidatevi della parola di mio Figlio. Egli, che fu capace di cambiare l’acqua in vino, è ugualmente capace di fare del pane e del vino il suo corpo e il suo sangue, consegnando in questo mistero ai credenti la memoria viva della sua Pasqua, per farsi in tal modo “pane di vita” » (Ecclesia de Eucharistia, 54).
L’episodio di Cana rimanda a quello della croce (Gv 19, 25-27). Maria è lì, quando tutto si oscura. Con la sua fede granitica che sa vedere oltre le apparenze. Ella è chiamata a dire un nuovo sì, come a Nazaret, quando accolse la parola dell’angelo. Ed è chiamata ad un nuovo parto, come a Betlemme. Ai piedi della croce Maria diviene Madre della Chiesa. A Betlemme ha partorito senza sperimentare i dolori del parto ma ai piedi della croce, insieme al Figlio, beve il calice del dolore, primizia di quel ministero che esercita lungo i secoli.
Agli apostoli è affidato il compito di pascere con autorità il popolo di Dio. Maria, invece, riceve il mandato di accompagnare con materna tenerezza il cammino della Chiesa – e quello di ciascuno di noi – lungo i sentieri della storia. E come potrebbe farlo senza quel Pane che dà vita, forza e nutrimento? “Senza di me non potete far nulla”, dice Gesù ai discepoli (Gv 15,5). Maria sa che siamo deboli e che facilmente possiamo smarrire la strada. E allora, viene in nostro soccorso, ci prende per mano e ci conduce all’incontro con il suo Figlio. L’Eucaristia è il grembo della Chiesa. Lo Spirito santo, che ha generato il Verbo nella carne di Maria (Lc 1,35), continua incessantemente la sua opera attraverso l’azione santificante della Chiesa. La Vergine è sempre lì, come quel giorno stava dinanzi alla croce, per raccogliere il Sangue del suo Figlio e spargerlo su tutti coloro che attendono e invocano la salvezza.
Vivere l’Eucaristia con Maria
Agli inizi del terzo millennio Giovanni Paolo II ha proclamato un anno mariano, l’anno del Rosario (2002-2003). E subito dopo ha indetto un anno eucaristico (2004-2005). La sequenza cronologica ricorda un’antica e sempre valida tradizione che si condensa in questa frase: per Mariam ad Iesum. Attraverso Maria arriviamo a Gesù. La spiritualità cristiana ha per sua natura una chiara impronta mariana, come ricordava Paolo VI: “Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce” (24 aprile 1970).
Se dunque vogliamo alimentare il nostro amore per l’Eucaristia, e se vogliamo vivere in pienezza la celebrazione, dobbiamo passare attraverso Maria. Permettetemi perciò di darvi alcuni suggerimenti, semplici e concreti.
La preghiera del Rosario, che in tante chiese precede la celebrazione eucaristica, non è solo un gesto devozionale (comunque gradito a Dio) ma ha un autentico valore teologico. È sempre bene, anzi è doveroso, prepararsi alla celebrazione invocando la Vergine, anche solo attraverso una semplice ma convinta Ave Maria. La preghiera dell’Angelus prima della Messa, anche in quella serale, è molto adatta perché ricorda il legame tra l’incarnazione del Verbo e la celebrazione eucaristica. La Messa, infatti, è il visibile prolungamento di quell’unico mistero che l’evangelista presenta con queste parole: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Il rito fa riferimento solo due volte a Maria: nel Confesso e nella preghiera eucaristica. Un accenno fin tropo discreto. Ma noi possiamo e dobbiamo vivere tutta la celebrazione con lo sguardo di Maria. Chi vuole approfondire troverà una catechesi specifica su questo argomento. Dopo aver ricevuto Gesù Eucaristia non diamo spazio a chiacchiere o pensieri inutili, impariamo invece a custodire il silenzio interiore ed eleviamo il nostro umile canto diringraziamento, come ha fatto Maria nella casa di Zaccaria (Lc 1, 46-55). Un modo concreto per onorare la Vergine e invocare la sua materna intercessione è quello di inserire nella celebrazione eucaristica dei canti mariani. Nella scelta dei canti, non dovrebbe mai mancare uno più specificamente rivolto alla Madre di Gesù. Almeno uno. È bello concludere la Messa con un canto che affida a Maria il mistero che abbiamo ricevuto. Riprendiamo il cammino insieme a Lei.
In ogni celebrazione eucaristica, che Teresa di Lisieux vive con intima gioia, percepisce la presenza e l’intercessione della Madre di Gesù. Questa esperienza spirituale appare in tante pagine dei suoi scritti. Mi limito qui a citare una strofa della poesia Perché t’amo Maria, scritta pochi mesi prima della morte: “Madre amata, io nella mia piccolezza / come te possiedo in me l’Onnipotente. / Ma perché son debole io non mi turbo: / i tesori della madre vanno ai figli / e io son figlia tua, diletta Madre. / Mie sono le tue virtù, mio è il tuo Amore! / E quando in cuore mi scende l’Ostia bianca, /di riposar in te crede Gesù Agnello!” (P 54, 5).
Andiamo a Messa con Maria, la Madre di Gesù. E viviamo tutta la celebrazione in piena comunione con Lei. Maria è la creatura che “ha trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). Ella dunque ci insegna a camminare nei sentieri della grazia e a vivere ogni Eucaristia come un dono sempre nuovo della Provvidenza.
San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), di cui ricorre quest’anno il centenario della morte, è uno dei più grandi cantori della Vergine. Egli scrive: “Quando Maria ha gettato le sue radici in un’anima, vi produce delle meraviglie di grazia che ella sola può produrre perché ella sola è la Vergine feconda che non ha mai avuto né avrà mai simile in purezza e in fecondità” (Trattato della vera devozione alla Vergine Maria, n. 35). Vi ricordo che san Giovanni Paolo II ha nutrito la sua fede, fin dalla giovinezza, con gli scritti di questo santo.
Testimoni della fede
“La Chiesa vive del Cristo eucaristico, da Lui è nutrita, da Lui è illuminata”, scrive Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia, n. 6). Sospinti da questa convinzione la Fraternità ha sempre invitato ciascuno a dare una specifica impronta eucaristica alla sua esperienza di fede. In questo solco s’inserisce la promessa eucaristica. Chi sceglie di vivere ogni giorno l’incontro eucaristico manifesta quello slancio interiore che nasce dalla fede: la partecipazione eucaristica non è più l’espressione di un precetto da osservare, qualche volta come un rito abitudinario, ma la manifestazione di una fede che riconosce nell’Eucaristia il primo e il più grande dono che Dio fa alla sua Chiesa. La partecipazione quotidiana non può che nascere dallo slancio dell’amore. E l’amore, lo sappiamo, non misura i passi.
All’inizio del quarto secolo un gruppo di cristiani, cittadini di Abitene (odierna Tunisia), fu sorpreso a celebrare in casa il culto del Signore, preferirono andare incontro alla morte piuttosto che rinnegare la propria fede e rinunciare all’incontro eucaristico, proclamarono la loro fede ad alta voce: “Senza la domenica non possiamo vivere”. In questa scia, scritta con il sangue della fedeltà, la più eroica, si pone anche chi fa la promessa eucaristica. Chi compie questa scelta proclama la sua fede. Non è una forma di orgogliosa e stupida ostentazione ma un’umile e sincera manifestazione della fede. Vivere la promessa eucaristica significa testimoniare che senza l’Eucaristia non possiamo vivere. Senza Gesù viene a mancare il Pane della vita, cioè quel Pane che riempie di vita i nostri giorni.
Ringrazio di cuore tutti coloro che da anni vivono la promessa eucaristica e accolgo con gioia quelli s’impegnano per la prima volta. A quelli che hanno qualche perplessità o incontrano difficoltà, chiedo di non rinunciare a cuor leggero. La grazia è tanto più abbondante quanto più la fedeltà costa fatica. È una scelta esigente e impegnativa ma si rivela anche una feconda testimonianza. È una scelta vi fa diventare martiri nel duplice significato: in primo luogo perché siete testimoni della fede [mártures tƒìspíste≈çs], e avete perciò l’impegno di trarre dalla partecipazione eucaristica una fede ancora più vigorosa, una fede che si traduce ancora più nell’impegno concreto della carità e della testimonianza più eroica. In secondo luogo siete martiri perché, se vorrete custodire questa promessa eucaristica, dovete accettare le varie forme del martirio, che nascono dall’incomprensione degli altri, a volte anche quelli più vicini possono non comprendere il valore di questa scelta, dovete accettare le rinunce o le fatiche supplementari che questo impegno richiede. Ma tutto questo esprime e fortifica la fede, la nostra e quella degli altri. Chi vive fedelmente questa chiamata diventa “porta della fede” (At 14,27).
Il canto eucaristico
Cari amici, l’impegno eucaristico non si traduce soltanto nell’attiva partecipazione alla celebrazione della Messa ma anche nell’adorazione. Non siate avari. A volte diamo tanto tempo a cose inutili o addirittura dannose. E poi, quando si tratta di vivere l’adorazione ci nascondiamo dietro gli impegni. Una scusa infantile. Diamo tempo a Dio e Dio riempirà di luce il nostro tempo.
A volte mi accade di fare l’adorazione quando tutto è ancora immerso nell’oscurità ma l’alba non è troppo lontana. Sento gli uccelli cantare, loro vedono prima di noi le luci del nuovo giorno. Il nostro impegno eucaristico somiglia al canto degli uccelli che annunciano la luce del nuovo giorno. Un canto colmo di attesa e di speranza. Vi affido al Signore Gesù, Lui che ha promesso di dare la vita in abbondanza vi colmi di ogni grazia. Maria, la nostra dolcissima Madre, ci prenda per mano e ci custodisca sulla via che conduce all’eterna gioia.
don Silvio Longobardi
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