Vivere ogni ora di lezione come fosse la prima

Ma è possibile che il presente per lo studente non possa essere altro che il voto? Non c'è altro che possa accenderlo? L'io del ragazzo e quello dell'insegnante devono accendersi e fiorire a scuola...

Vivere ogni ora di lezione come fosse la prima

del 02 ottobre 2017

Ma è possibile che il presente per lo studente non possa essere altro che il voto? Non c’è altro che possa accenderlo? L’io del ragazzo e quello dell’insegnante devono accendersi e fiorire a scuola...

 

«Solo chi non ha smesso di desiderare la propria felicità, può ancora volere la felicità altrui» scrive Leopardi nello Zibaldone. Desidero che sia questo l’auspicio più grande per me e per gli altri insegnanti che in questi giorni, dopo le riunioni di scuola, varcano per la prima volta la soglia che li porta ad incontrare i ragazzi con cui cammineranno tutto l’anno.

Riprendere a desiderare di essere felici e lieti durante le ore di lezione e nell’importantissimo compito educativo che ricopriamo, con lo stesso entusiasmo che avevamo (spero!) nei primi anni, ma con una consapevolezza maggiore, quella che noi insegnanti dovremmo essere, in un certo senso, come dei padri o delle madri per i ragazzi che abbiamo di fronte. Non siamo solo dei trasmettitori di conoscenze o di competenze, come troppo spesso si sente dire, ma siamo educatori, cioè, come dice l’etimo del termine, aiutiamo a crescere, a maturare. Per questo ogni educatore è come se fosse un genitore.

E che cosa posso desiderare di più vero per mio figlio se non che sia felice, si compia, trovi la sua strada? Pensiamo come sarà la lezione se animata da questo desiderio di compimento mio e dell’altro! E ancora, un papà e una mamma sa vedere il punto luminoso del proprio figlio, ne sa vedere la profonda bellezza, perché va (o dovrebbe andare!) fino in profondità al suo cuore. Quando cerco il bene del ragazzo che ho davanti ogni giorno, quando scopro il suo punto luminoso, il suo desiderio di compimento, di felicità, di essere amato, cambia totalmente lo sguardo che ho dello studente. Non è forse questo lo sguardo che io vorrei per le mie figlie che vanno a scuola? Non ho forse il desiderio che nelle ore in cui sono lontane dalla famiglia possano incontrare volti che siano paterni e materni?

Non incorriamo certo in equivoci. Un padre e una madre, che si pongano con serietà di fronte al compito educativo, non intendono eliminare ai figli la fatica, il sacrificio, la consapevolezza che i risultati raggiunti sono tanto più apprezzati quanto più sono meritati.

Il ragazzo deve, però, poter fare esperienza che la scuola è bella e che è una grande opportunità per sé, per crescere, per conoscersi, per scoprire la realtà e per scoprire se stessi e i propri talenti. La possibilità che hanno i giovani di oggi di proseguire gli studi è una grazia, un dono, che i ragazzi non sentono più come tale. Percepiscono spesso questa opportunità come un peso, una fatica, un sacrificio da cui evadere prima possibile, magari nei week end. Una volta un mio studente mi ha scritto: «Noi giovani di oggi sopravviviamo durante la settimana, siamo come in apnea, per poi vivere il sabato sera». Immaginiamoci come sarebbe diversa l’avventura scolastica se gli insegnanti si richiamassero a vivere ogni ora di lezione come se fosse la prima, con lo stesso entusiasmo e la stessa carica piena di gioventù e gli studenti percepissero il dono dell’apprendimento come se avessero ottenuto la conquista di andare a scuola per la prima volta.

Circondati da una cultura utilitaristica, in cui conta solo l’interesse economico, materialistica, relativista (non esiste l’amore vero, non c’è una verità, non esiste la bellezza, …), edonistica (conta solo vivere e ricercare l’emozione forte come insegna il film Notte prima degli esami), il ragazzo deve poter porre la domanda: «A che serve studiare? Perché dovrei fare fatica?». Sono domande lecite e ci deve essere un luogo (in famiglia, a scuola, …) dove le domande del ragazzo siano prese sul serio e possano trovare una risposta. Aveva ragione Leopardi quando osservava nello Zibaldone che la tendenza a procrastinare la felicità al futuro sino a giungere al desiderio di conseguire la felicità dai posteri si accentua sempre più man mano che l’uomo cresce e si fa adulto ed è pressoché assente nel bambino. Questi non pensa che al presente e riesce a concepire il futuro solo come l’attimo immediatamente successivo al presente. Quanto più uno è giovane tanto più si muove per il presente! L’adulto, spesso, non si pasce che della speranza e rinuncia al conseguimento della felicità al presente. Ma è possibile che il presente per lo studente non possa essere altro che il voto? Non c’è altro che possa accenderlo?

L’io del ragazzo e quello dell’insegnante devono accendersi e fiorire a scuola, non deprimersi e abbattersi. Perché ciò avvenga è indispensabile che si rimetta al centro la persona, che si viva l’avventura dell’insegnamento come scoperta. Scoperta di sé e dell’altro, della vita e della realtà!

Nella prima ora è già contenuto tutto, perché è lì che si nasconde la domanda con cui noi ricominciamo l’avventura scolastica. L’anno scorso un ragazzo mi ha confidato che era la prima volta che un insegnante gli augurava un buon anno scolastico. In quell’augurio c’era già tutto, perché l’alunno si era promesso di non deludermi.

Se l’insegnante trasmetterà agli studenti l’amore che prova per quanto spiega e mostrerà loro la bellezza che ha incontrato nello studio, senz’altro avrà un’alta probabilità di muovere il cuore dei ragazzi. Forse, all’inizio gli studenti non capiranno tutto, ma nascerà in loro la domanda: come mai l’insegnante è così appassionato a quanto spiega?

Una buona scuola è costituita da buoni insegnanti, che siano cioè appassionati a quello che fanno, lo amino, trasmettano il gusto per il bello e per il bene.

 

Giovanni Fighera

http://www.tempi.it

 

 

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