Lo scopo dei documentari brevi è raccontare le molte violazioni di diritti fondamentali che attraversano il paese e raccogliere la voce di chi le vive sulla propria pelle, fuori dagli schemi e dalle semplificazioni giornalistiche.
Si svegliano quando è ancora buio; ammassati nei furgoni percorrono un labirinto di strade sterrate fino ai campi dove lavorano a testa bassa per oltre dieci ore. Sono i braccianti della grande piana del pomodoro italiano. Migliaia di migranti africani condannati dalla mancanza di alternative ad nutrire il grande serbatoio di lavoro nero che sostiene i profitti dell'industria agroalimentare. Non conoscono buste paga, contratti né diritti. Vengono reclutati dai loro stessi connazionali, i “capineri”, dietro a cui si nasconde il “padrone bianco”.
Due facce della stessa medaglia, quella di un sistema che dal 2011 la legge riconosce come reato, ma che nelle campagne italiane è ancora la regola.
“Abbiamo pensato di realizzare una serie di documentari brevi, - spiega il giornalista Stefano Liberti, autore insieme a Gabriele del Grande di ‘In nome del popolo italiano’, il primo video del progetto – ‘pillole’ di 6-8 minuti, studiate per essere fruibili e immediate. Il formato si presta infatti ad essere diffuso sul web e a raggiungere una dimensione ‘virale’”. Lo scopo del progetto è infatti quello di incidere il più possibile sull’opinione pubblica, servire per campagne di sensibilizzazione e di advocay, condizionare le decisioni che verranno prese al livello politico.
In nome del popolo italiano è stato presentato, per la prima volata il 7 ottobre 2011, nell’ambito del Festival di Internazionale. Il documentario è il risultato di due ingressi di una giornata nel Cie di Ponte Galeria a Roma. “Volevamo far vedere il Cie dal punto di vista di chi ci è rinchiuso dentro. – racconta Liberti. – Sono persone che non hanno commesso alcun reato, eppure rischiano di passare 18 mesi dietro le sbarre in attesa di essere espulsi”. Un tempo “sospeso” di immobilità, “una specie di carcere ma senza nessuna attività di gestione”. La loro detenzione è convalidata da un giudice di pace, “in nome del popolo italiano”. Il secondo documentario della serie si intitola Caponero capobianco, breve reportage di Rossella Anitori e Antonio Laforgia sul sistema di sfruttamento dei braccianti africani nella grande piana del pomodoro italiano. Una vita senza diritti a cui sono condannati migliaia di migranti, gettati nel grande serbatoio di lavoro nero che sostiene i profitti dell'industria agroalimentare. Il progetto di ZaLab prevede la realizzazione di un video denuncia ogni mese-mese e mezzo: dopo i Cie, i braccianti e il fenomeno del caporalato sono in programma, nell’immediato futuro, due documentari sulla condizione di vita dei rifugiati e dei rom.
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