Appartiene a quella schiera di Salesiani dell'Est Europa che, a causa dei pericoli e delle restrizioni dei regimi comunisti, ha dovuto svolgere la propria formazione religiosa clandestinamente...
del 01 agosto 2017
Appartiene a quella schiera di Salesiani dell’Est Europa che, a causa dei pericoli e delle restrizioni dei regimi comunisti, ha dovuto svolgere la propria formazione religiosa clandestinamente...
Don Ferdinand Kubíc appartiene a quella schiera di Salesiani dell’Est Europa che, a causa dei pericoli e delle restrizioni dei regimi comunisti, ha dovuto svolgere la propria formazione religiosa clandestinamente. Suo padre non ha mai saputo di aver avuto un figlio sacerdote e sua madre e ne ha avuto la certezza solo in prossimità del funerale del marito e padre di don Ferdinand. Questa è la sua storia.
Don Ferdinand, in che modo si è potuta svolgere, clandestinamente, la sua formazione salesiana?
Per 8 anni, durante l’anno di noviziato, poi durante i 5 di postnoviziato e infine gli ultimi 2, di preparazione ai voti perpetui e al sacerdozio, ci incontravamo con i formatori durante i fine-settimana, all’inizio 3 volte, poi 2 volte mese. Ovviamente quegli incontri da soli non bastavano: dovevo anche studiare, sempre di nascosto, quando ero a casa. E contemporaneamente insegnavo in una scuola superiore, dove pure bisognava essere attenti a non uscire dall’ortodossia di regime.
In questa maniera ho studiato i fondamentali di tutte le materie, e sostenuto anche gli esami durante gli incontri che riuscivamo ad avere. Con una formazione simile, alla fine del regime mi sono ritrovato senza alcun certificato che attestasse quanto fatto, ma per tutti quegli anni ho continuato a vivere vicino alla gente comune.
Non c’era possibilità di fare diversamente?
C’erano dei seminari che potevano operare fuori dalla clandestinità, ma il numero di candidati ammessi era limitato ed erano comunque controllati e alcuni candidati erano infiltrati. Quando ho completato il percorso formativo ho ricevuto l’ordinazione diaconale e quella sacerdotale insieme, a distanza di pochi minuti, senza neanche la messa. Nella stanza c’eravamo solo il vescovo Ján Chryzostom Korec, futuro cardinale, io e un altro ordinando come me.
Quando insegnava ha mai avuto problemi?
Una volta mi venne chiesto: “sei credente?”. Sapevo che se avessi risposto di sì, quello sarebbe stato il mio ultimo giorno d’insegnamento; ma non potevo nemmeno dire di no. Allora risposi con una domanda: “cosa vuol dire essere credente?”. È stato sufficiente.
Com’era avvenuto il suo primo contatto con i Salesiani?
Ci sono state alcune figure fondamentali all’inizio del mio percorso: don Štefan Olos, che era già prete sin da prima dell’avvento del regime, e che fu la mia guida spirituale; don Jan Shutka, un salesiano missionario slovacco, attivo in Ecuador, tra gli Shuar, che in quel periodo era tornato in Slovacchia; Ivan Gróf, il mio primo formatore; e don Jozef Sobota, che mi mise in contatto con gli altri Salesiani affinché iniziassi il mio cammino, ma che inizialmente nemmeno sapevo fosse prete e salesiano perché anche lui – come poi feci io – era in incognito nella scuola superiore.
E oggi cosa fa?
Continuo ad insegnare. Oggi, liberamente, presso l’Istituto Don Bosco per il Lavoro Sociale di ≈Ωilina, in Slovacchia, affiliato all’Università “Sant’Elisabetta”.
Info ANS
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