Sogno politici che siano "rabdomanti", «con l'orecchio incollato alla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste», capaci cioè di leggere i segni dei tempi, di avvertire le urgenze reali, di corrispondere al grido silenzioso dei poveri...
Era il 28 aprile 1973, esattamente come oggi, quarant'anni fa. A Tolosa, in una delle baracche abitate allora dai Piccoli Fratelli di Gesù, cui aveva voluto unirsi dopo la morte dell'amatissima moglie Raïssa, Jacques Maritain - pensatore di fama mondiale - morirà povero, come aveva scelto di essere nel desiderio di imitare il più possibile il Signor Gesù, da lui seguito con intensissimo amore dal giorno del suo ingresso da adulto nella Chiesa cattolica.
I quarant'anni trascorsi da quell'ultimo addio permettono di osservare con obiettività come non siano affatto morte le sue idee, che sembrano anzi più vive e attuali che mai a partire dagli scenari che l'umanità sta attraversando, e in particolare da quelli del nostro Paese, provato da un'evidente, sconcertante crisi della sua classe politica. Vorrei mostrare perché, muovendo da una singolare pagina, in cui il grande e umile Maritain così presentava se stesso: «Chi sono io dunque? Un professore? Non lo credo; ho insegnato per necessità. Uno scrittore? Forse. Un filosofo? Lo spero. Ma anche una specie di romantico della giustizia troppo pronto a immaginarsi, ad ogni combattimento, che fra gli uomini sorgerà senz'altro il giorno della giustizia come della verità. Forse sono anche una specie di rabdomante con l'orecchio incollato alla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste, l'impercettibile fruscio delle germinazioni invisibili. E forse, come qualsiasi cristiano, nonostante le paralizzanti miserie e debolezze e tutte le grazie tradite di cui prendo consapevolezza alla sera della mia vita, sono anche un mendicante del cielo travestito da uomo del nostro secolo, una specie di agente segreto del Re dei Re nei territori del principe di questo mondo...».
Un "romantico della giustizia", "una specie di rabdomante", "un mendicante del cielo": su queste tre affermazioni vorrei brevemente fermarmi, per cogliere quanto esse dovrebbero (e potrebbero!) essere decisive, se ognuno dei nostri politici provasse a realizzarle nella propria vita. Per dare, tuttavia, un sapore di levità alle mie parole, non le presenterò in forma di precetti e doveri, ma in quella molto più modesta di un desiderio o anche soltanto di un sogno.
Sogno dunque politici che siano "romantici della giustizia", donne e uomini che si dedichino al servizio del bene comune e all'urgente superamento della stanchezza, delle divisioni e della pericolosa debolezza del Paese, perché mossi da uno sguardo capace di spingersi in alto e lontano. La paura e l'abdicazione si vincono solo puntando a mete grandi, ardue, ma possibili. Occorrono persone appassionate, veri e propri prigionieri della speranza, che diano soffio e slancio all'azione sociale e politica del Parlamento e dell'intera Nazione, sapendo tener fisso lo sguardo della mente e del cuore alla giustizia maggiore possibile e a una Patria, che sia veramente tale anzitutto per i piccoli e i deboli. Occorrono donne e uomini capaci di pensare in grande, di osare per una meta bella e alta, di pagare il prezzo anche a livello personale per il conseguimento di un fine che valga la pena perché giusto e buono per tutti, persone libere e sufficientemente forti per non arrendersi di fronte alle esigenze - spesso brutali- della "Realpolitik" o agli interessi di corto raggio degli egoismi personali o collettivi. La speranza dei grandi orizzonti di giustizia e di pace per tutti dovrebbe essere la molla ispiratrice di chi voglia impegnarsi al servizio della cosa pubblica. In un tempo di crisi delle ideologie, di eclissi degli ideali, abbiamo bisogno di chi -da vero "romantico della giustizia"- sappia ancora credere a una beatitudine come quella proclamata anni fa dal "vescovo dei poveri", il brasiliano dom Helder Camara: «Beati coloro che sognano: porteranno speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato». Con Maritain non temo di affermare che il sogno di un "umanesimo integrale", libero da catture ideologiche, è ancora possibile e che ne è voce affidabile proprio la dottrina sociale della Chiesa.
Sogno politici che siano "rabdomanti", «con l'orecchio incollato alla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste», capaci cioè di leggere i segni dei tempi, di avvertire le urgenze reali, di corrispondere al grido silenzioso dei poveri, e di perseguire non astratti progetti ideologici, ma piani di equità e di crescita, in cui l'esigenza dei conti in regola non sacrifichi mai l'ambito vitale dei deboli, doni audacia al possibile e chieda sacrificio soprattutto a chi già ha di più. Sogno inoltre che questi "rabdomanti" sappiano riconoscere «l'impercettibile fruscio delle germinazioni invisibili», accorgendosi del nuovo che sta nascendo, liberandosi dalla ripetitività di modelli morti e infecondi, intuendo le potenzialità latenti in tante componenti del nostro popolo e dell'intero Paese, e le sfide che invitano la politica a scommettere coraggiosamente per un futuro diverso, migliore per tutti. Non basta che questi "rabdomanti" sappiano gridare i loro "no": occorre che siano anche propositivi e umili, rispettosi della democrazia che vorrebbero sanare e che non si ripara a colpi d'ascia, ma nel rispetto delle istituzioni, della legalità e di ogni persona umana, a cominciare dall'avversario politico. Con Maritain non rinuncio a credere nelle possibilità dell'intelligenza umana e nella dignità di ogni uomo o donna che eserciti i propri diritti e faccia le sue scelte in piena libertà.
Sogno, infine, politici che non rinuncino a essere "mendicanti del cielo", che sappiano cioè coniugare la fedeltà al mondo presente a quella dovuta al mondo che deve venire, che non si limitino a formulare giudizi meramente pragmatici circa le scelte da fare e uniscano la tattica dei piccoli passi alla strategia delle grandi mete, dei sogni e delle speranze collettive. C'è bisogno di protagonisti capaci di misurarsi costantemente con l'assolutezza dei giudizi etici, con le esigenze dell'amore di Dio e del prossimo. Non si vive di solo pane: occorre promuovere con la vita la verità della vita, con il soddisfacimento dei bisogni materiali la cura delle esigenze spirituali e morali. Affermava il gesuita tedesco Alfred Delp, morto martire della barbarie nazista in campo di concentramento: «Il pane è importante, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è la fedeltà mai tradita e l'adorazione vera».
C'è bisogno di uomini e donne impegnati in politica, pronti a non cedere al compromesso morale, decisi nel rifiutare la menzogna e il vantaggio egoistico, esercitati nel misurarsi costantemente sul giudizio morale, che non sbandierino valori non vissuti da loro, almeno sul piano della tensione e dello sforzo onesto. Come Maritain ritengo che l'apertura della mente e del cuore al Trascendente non solo non tolga nulla di vero, di giusto e di bello alla vita, ma renda migliori le nostre scelte, fortifichi i nostri cuori e ci aiuti a tirare nell'oggi del mondo qualcosa della futura giustizia di Dio. Il pensiero e la testimonianza di Jacques Maritain sono dunque, a quarant'anni dalla sua morte, una proposta e una sfida ancora aperte. Farne tesoro potrebbe essere per chi voglia impegnarsi in politica una riserva dalle notevoli potenzialità da mettere al servizio del bene comune.
In “Il Sole 24 Ore” del 28 aprile 2013
Bruno Forte
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