Esce il libro del card. Bagnasco dedicato al ruolo della Chiesa nella società: «Noi vescovi non vogliamo agire da padroni». La gente di tutti i giorni, quella della strada - cioè della vita semplice, quotidiana, spesso dura - sa che le nostre porte sono sempre aperte per chiunque, sa che accogliamo tutti, che non portiamo rancore, che siamo sempre pronti a ricominciare.
La maggiore preoccupazione riguarda il rischio di una contrapposizione forzosa e strumentale tra laici e cattolici. Questa contrapposizione in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del nostro popolo, né può desumersi dalla legittima diversità di posizioni su alcune pur rilevanti tematiche, che deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di rispettoso dialogo.
La Chiesa offre alla libertà e alla riflessione di tutti il proprio magistero, senza sottrarsi alla responsabilità di concorrere alla promozione dell' uomo e al bene comune. Questo peculiare contributo favorisce la concreta attuazione del principio di libertà religiosa, per il quale è riconosciuto un ruolo attivo alle Istituzioni religiose, in relazione alle esigenze della persona e all' etica delle comunità. Sotto questo profilo, risultano significative e apprezzabili le recenti affermazioni del Presidente della Repubblica, volte a riaffermare «il più pacato, responsabile e costruttivo dialogo tra la Chiesa cattolica, la politica e la società civile, in linea con gli ottimi rapporti che intercorrono tra la Santa Sede e lo Stato Italiano».
Vorrei anche dire, però, che noi Vescovi sentiamo la vicinanza che la gente ci esprime quasi con accenti particolari. Il rapporto della Chiesa con la società italiana resta significativo e rilevante, perché basato sulla reciproca conoscenza e su un ascolto autentico da entrambe le parti. La gente di tutti i giorni, quella della strada - cioè della vita semplice, quotidiana, spesso dura - sa che le nostre porte sono sempre aperte per chiunque, sa che accogliamo tutti, che non portiamo rancore, che siamo sempre pronti a ricominciare. Permettete che io vi ringrazi, cari Confratelli, per i segni innumerevoli di vicinanza, di sostegno e di preghiera che mi avete manifestato insieme alle vostre Comunità. E così quanti si sono resi vicini da tutta l'Italia e da Paesi esteri: Istituzioni politiche, civili, militari, parrocchie, associazioni e gruppi, nonché innumerevoli persone: sacerdoti e laici, bambini, giovani e adulti. La nostra fraterna comunione si manifesterà anche nel comunicato finale che - come ho già detto nel Consiglio Permanente di marzo - è reso- conto del qualificato incontro collegiale della nostra Conferenza. Guardo al nostro amato Paese e ripeto a tutti che i Vescovi rinnovano il gesto semplice e vero dell' amicizia. Non parliamo dall'alto, né vogliamo fare in alcunché da padroni. Ci preme Cristo e il suo Vangelo, null'altro. Lo annunciamo come misura piena dell' umanesimo, non per rilevare debolezze o segnare sconfitte, ma per un' obbedienza che è esigente prima di tutto verso di noi, e che è promozione di autentica libertà per tutti. Quando ci appelliamo alle coscienze, non è per essere intrusivi, ma per richiamare quei contenuti pregnanti senza i quali cessa il presidio ultimo di ogni persona, anzitutto per i meno fortunati. La distinzione «tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio», come struttura fondamentale non solo del cristianesimo ma anche delle moderne democrazie, ci trova decisa- mente persuasi che dobbiamo insieme, ciascuno a proprio modo, cercare il progresso delle nostre comunità, risvegliando anche quelle forze spirituali e morali senza le quali un popolo non può svettare.
Se come Vescovi rileviamo, magari più spesso di quanto sarebbe gradito, i fondamenti etici e spirituali radicati nella grande tradizione del nostro Paese, non è perché vogliamo attenta- re alla laicità della vita pubblica, sfigurandola, ma per innervare questa delle inquietudini che possono garantire il futuro. La nostra parola non ha mai doppiezze.
Con trasparenza, siamo a servizio della gioia. Nel nostro orizzonte non c'è un popolo triste, svuotato dal nichilismo e tentato dalla decadenza. C'è un popolo vivo, capace di rinnovarsi grazie alle proprie risorse e alla propria inevitabile disciplina, capace di non tradire i suoi giovani, capace di parole credibili nel consesso internazionale.
Card. Angelo Bagnasco
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