L'articolo esordisce con una frase che, considerata l'epoca, suonava quasi reazionaria: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio”...
Quando Pier Paolo Pasolini, nel 1975, pubblica sulla rubrica del Corriere della Sera “Scritti corsari” un articolo durissimo contro la legalizzazione dell’aborto, in tantissimi corrono a condannare la presa di posizione del poeta bolognese: i compagni comunisti, i movimenti femministi e, soprattutto, i radicali non comprendevano come un marxista omosessuale potesse difendere istanze che, allora, erano ritenute peculiari di una classe bollata come conservatrice e confessionale.
L’articolo esordisce con una frase che, considerata l’epoca, suonava quasi reazionaria: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio”. Il poeta qui attinge a una sensibilità prenatale che egli sente viva nel quotidiano e nei sogni; egli ricorda la propria “felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente”. Il messaggio di Pasolini a difesa della vita umana è racchiuso in queste parole, che danno la cifra dell’uomo e dell’intellettuale capace di difendere le ragioni della vita usando le ragioni della ragione. La vita è sacra, in assoluto, anche perché è presupposto irrinunciabile del pensiero umano; anche delle sue derive illuministe, nonché d’innumerevoli barbari ragionamenti positivisti.
La legge sull’aborto, sopprimendo l’esistenza di creature inermi, è senz’altro l’espressione più spietata del razionalismo positivista. Da ragazzo frequentavo le manifestazioni del Movimento per la Vita, ero un cristiano praticante e riponevo la mia fede in Dio, ma quando combattevo il relativismo etico e la cultura abortista usavo le armi della ragione. Oltre la stessa Fede ho sempre ritenuto la vita un valore laico e poi non mi andava di tirare per la giacca Dio per contrastare il pensiero di un uomo, mi appariva quasi blasfemo. Dicevo: “Se tutti gli uomini sono stati embrioni, perché non tutti gli embrioni possono diventare uomini?” e ancora: “Come si può stabilire per legge un termine entro il quale la vita non è tutelata?” e nessuno sapeva mai rispondere a queste banali domande.
Ricordo quando una mia cara amica rimase incinta per un rapporto occasionale, era giovanissima, non conosceva nemmeno il proprio partner e decise di abortire. Recatasi all’ospedale, in attesa del suo turno, vide una madre uscire con un bimbo tra le braccia e scappò via. Lo scorso anno si è sposata e ad accompagnarla all’altare c’era quel bambino ormai undicenne che, microfono alla mano, le ha dedicato una preghiera per la felicità della sua famiglia, commuovendo l’intera assemblea nuziale. L’aborto è una sconfitta della ragione e dei sentimenti, un crimine legalizzato, utile soltanto a rafforzare il relativismo etico tanto caro al potere consumistico. Per questo penso che nessuno possa dirsi abortista, per questo ritengo che la guerra all’aborto sia l’unica guerra in cui lo sconfitto è chi non combatte.
“Il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci”, diceva Pierpaolo Pasolini.
Michele Luscia
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