Ci saremo chiesti almeno una volta che cosa avremmo fatto noi se in quegli anni ci fosse toccato di vivere. E ci saremo chiesti come abbiano potuto giovani massacrare loro connazionali civili o arrestare bambini ebrei, o ancora gestire il campo...
Anche quest’anno - in occasione della Giornata della memoria - ci viene chiesto di ricordare le vittime di quella enorme tragedia che è stata la deportazione in Europa; siamo chiamati a fare memoria di tutti i perseguitati, in particolare quelli legati a responsabilità italiane. Le leggi razziali fasciste, il campo di smistamento di Fossoli e altre realtà simili in Italia e nell’ex Jugoslavia ci ricordano che anche il governo e il popolo italiano in quegli anni si sono abbassati a compiere brutture che sarebbe meglio non ricordare.
Invece lo dobbiamo fare, per rispetto delle vittime, per tutti i sopravissuti che sono rimasti nel nostro Paese cercando di restituirgli onore e democrazia, ma anche per assumerci le responsabilità di un passato ingombrante, forse troppo relegato a qualcosa che sembra non toccarci, che non deve scuotere le nostre coscienze, il nostro senso di responsabilità nazionale.
Ci saremo chiesti almeno una volta nella vita come abbiano potuto giovani massacrare loro connazionali civili o arrestare bambini ebrei, o ancora gestire il campo di Fossoli cercando di difenderne l’autonomia verso l’occupante nazista che tendeva a fagocitare tutto e tutti.
Ci saremo chiesti almeno una volta che cosa avremmo fatto noi se in quegli anni ci fosse toccato di vivere.
La risposta buonista forse sorge spontanea. Ma siamo così sicuri che non ci saremmo lasciati prendere la mano e la mente da una propaganda martellante e violenta verso “razze inferiori”? Che saremmo stati capaci di continuare a leggere la realtà con obiettività e acume tenendo fuori la testa dalla marea di notizie urlate e mai verificate? Avremmo avuto il coraggio di difendere il più debole, l’oppresso, l’indifeso quanto questo poteva costare la vita?
Le difficoltà erano enormi, i rischi anche maggiori. Eppure migliaia di persone in Europa hanno seguito la loro coscienza, la loro fede e hanno continuato a sentirsi uomini e donne appieno proprio perché hanno fatto sì che altri esseri umani potessero evitare la deportazione, salvando loro la vita.
Fra questi casi - noti e meno noti - ci sono tanti italiani, c’è anche Odoardo Focherini. Nato e vissuto in provincia di Modena, ma legatissimo alle sue origini trentine, Odoardo cresce in una vivace realtà di Chiesa locale. Pur facendo parte di molte associazioni laicali, la sua vita si lega strettamente all’Azione Cattolica di cui, da giovane associato, diventerà presidente diocesano.
Lavora prima nella bottega del padre Tobia, poi trova lavoro come assicuratore presso la compagnia Cattolica Assicurazione; negli anni ne diventerà ispettore.Nel 1930 sposa Maria Marchesi e tra il 1931 e il 1943 nascono i 7 amatissimi figli.
Tra le tante passioni - la montagna, i canti, la fisarmonica, il teatro... - prevale quella per il mondo del giornalismo, della carta stampata che lo porta ad essere cronista e inviato per alcune testate cattoliche fino ad essere, dal 1939, amministratore delegato del quotidiano bolognese L’Avvenire d’Italia con sede a Bologna.
In questa vita così ricca di occasioni e soddisfazioni Odoardo inserisce un altro elemento che diventerò centrale per la sua vita: l’aiuto agli ebrei perseguitati.
Con la fondamentale collaborazione di don Dante Sala, parroco di un piccolo paese vicino a Mirandola (Modena), mette in piedi una organizzazione clandestina per procurare documenti falsi agli ebrei e portarli verso la Svizzera.
Prima cari amici, poi conoscenti infine sconosciuti bussano alla porta di casa, dell’ufficio, del giornale. E per tutti Odoardo trova il tempo, un sorriso, i documenti e la modalità giusta per farli arrivare alla salvezza. Ne ospita anche a Natale, a casa sua. A conferma che anche la moglie Maria − pur se all’oscuro dei dettagli tecnici per la sicurezza della rete − condivide la scelta e i rischi.‚Ä®Per il suo impegno di cattolico coerente, l’11 marzo 1944, presso l’ospedale di Carpi, viene arrestato mentre cerca di organizzare la fuga di Enrico Donati, l’ultimo ebreo che riesce a salvare. Odoardo viene condotto nel carcere di S. Giovanni del Monte a Bologna il 13 marzo, dove rimane fino al 5 luglio. Di lì viene trasferito al campo di concentramento di Fossoli. Il 5 agosto è trasportato al campo di Gries (Bolzano); da Gries viene deportato in Germania il 7 settembre, nel campo di Flossenburg e poi nel sottocampo di Hersbruck. Una ferita non curata ad una gamba gli procura una grave setticemia che lo porterà alla morte il 27 dicembre 1944.
Di questi terribili mesi rimane una testimonianza preziosissima: il corpus delle lettere che Odoardo, clandestinamente e non, ha fatto pervenire alla moglie, alla mamma, agli amici. Mille stratagemmi per continuare a comunicare con i suoi cari. Lettere d’amore per una moglie amata intensamente e profondamente, il pensiero fisso sui figli che sa di avere lasciato in un momento difficile ed incerto.
Tra i vari riconoscimenti ricevuti, Odoardo Focherini ha ricevuto la medaglia d’oro delle Comunità israelitiche (Milano, 1955) e il titolo di “Giusto fra le nazioni” (Gerusalemme, 1969): è la più alta onorificenza che lo Stato di Israele dà a non ebrei; è gratitudine profonda; è la memoria del bene. Nel 2007, infine, la medaglia d’oro alla memoria al al merito civile.
Nel 1996 è iniziato il processo di beatificazione, ora giunto alla sua conclusione. Il 10 maggio 2012, infatti, il Santo Padre Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione a promulgare il decreto riguardante molti cattolici esemplari, fra i quali anche Odoardo Focherini. Le solenne celebrazione si svolgerà in piazza a Carpi (Modena) sabato 15 giugno prossimo.
Mari Peri
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