Bisogna aggrapparsi a una grande passione per non perdere la speranza. Parola di Sinisa Mihajlovic...
Sinisa Mihajlvoic è nato nel 1969 a Vukovar, ex Jugoslavia, ora Serbia. È stato un grande calciatore (centrocampo e difesa), temutissimo sulle punizioni: ancora detiene il record di calci piazzati realizzati in serie A, a pari merito con Andrea Pirlo (28 reti). Ha giocato per Stella Rossa, Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. Da allenatore si è seduto sulle panchine di Bologna, Catania, Fiorentina, Serbia e Samp. Oggi occupa quella del Milan.
È la mattina di domenica 20 dicembre e il Milan è in ritiro a Frosinone. I rossoneri giocheranno alle 18 e si stanno preparando psicologicamente a scendere in campo fra tensioni e ansie che si possono a stento immaginare. Da settimane le cronache sportive sono piene di espressioni stereotipate come “panchina traballante” e “panettone a rischio per Sinisa Mihajlovic”. Sono tutti pronti a scommettere che se il Diavolo non vincerà neanche stavolta, l’ultimo incontro dell’anno solare 2015 sarà l’ultimo in assoluto per l’allenatore serbo. Quella di oggi è la partita della vita per Miha, scrivono tutti senza fantasia. Eppure il mister accetta di interrompere per qualche minuto la mitica “concentrazione pre-gara” per consegnare a Tempi il suo personale Te Deum. È un bello sforzo mentale, ma l’uomo ne ha passate abbastanza per potere insegnare a chiunque che non sono le fortune di una domenica a decidere il valore di un’esistenza. E tuttavia questa sera Mihajlovic urlerà e si batterà con i suoi giocatori come se fosse l’ora e mezza più importante della storia. Frosinone due, Milan quattro. Sinisa avrà un motivo in più per chiudere l’anno ringraziando.
Mister, ricorda uno o più fatti della sua vita professionale e personale che hanno reso per lei il 2015 un anno da ricordare con gratitudine?
Difficile ricordare tutto, comunque ci provo. Per quanto riguarda il mio lavoro, per i primi sei mesi dell’anno devo ringraziare perché siamo riusciti a portare la Sampdoria in Europa League; per gli ultimi sei mesi ringrazio perché in virtù di quella impresa sono diventato allenatore del Milan. Una crescita continua. Quanto al livello personale, devo dire che grazie a Dio c’è sempre stata la salute per me e per la mia famiglia. Stiamo tutti bene, ringrazio anche per questo.
Può raccontarci qualche episodio particolare?
Mah, gli episodi sono tanti. Mi vengono in mente tutte le vittorie, la firma del contratto… perché la mia vita comunque è molto legata alla mia professione, perciò tutto, anche l’umore, dipende sempre in una certa misura da come va la squadra. Non è facile, per esempio, quando le sensazioni sono negative riuscire a non trasmetterle alla mia famiglia. Il mio è un lavoro che ti prende 24 ore al giorno e soprattutto quando c’è qualche problema non è semplice “staccare”, arrivare a casa e dedicarti ai figli senza pensarci: ci pensi sempre. Ma a parte questo, tutti i momenti vissuti con i miei figli, quando li vedo una volta ogni dieci giorni (perché io vivo da solo a Milano, la mia famiglia è rimasta a Roma), sono momenti belli di cui ringrazio.
C’è qualcuno di preciso che crede di dover ringraziare quest’anno?
Ringrazio sempre per la mia famiglia. Ho cinque bambini e ho una moglie splendida che si occupa di loro, permettendomi di stare sereno e concentrato sul lavoro. Poi per quanto riguarda il calcio, ringrazio le persone che lavorano con me, i dirigenti e tutti quelli che mi hanno dato fiducia.
Lei di guerre ne ha viste, sia nel senso letterale che in senso sportivo. A cosa o a chi si può aggrappare la speranza e la gratitudine di un uomo in battaglia?
Si deve aggrappare alla fiducia. Non si deve mai perdere la fiducia, non si deve mai perdere le speranze. Si deve continuare sempre a lottare al di là di tutto, perché non bisogna mollare mai. Bisogna essere forti. So che non è facile e so che non tutti sono forti. Però io ho fatto sempre così: ringrazio anche per il mio carattere.
Ma la speranza su cosa si può basare?
La speranza si può basare sulla bontà della gente. Io sono passato purtroppo attraverso due guerre, e solo chi ci è passato sa cosa vuol dire. Dopo quello che è successo in Francia, adesso anche lì, come in molti altri paesi del mondo, sanno che la guerra è la cosa peggiore che c’è. Allora bisogna sensibilizzare la gente. Bisogna far capire alla gente che a questo mondo c’è posto per tutti. Che bisogna aver rispetto per tutte le persone. Che ognuno ha la propria religione ma deve rispettare anche le altre. So che non è facile e non ho soluzioni politiche, sono uno che ha passato due guerre e posso solo offrire la mia testimonianza: la guerra è la cosa peggiore di tutte.
Anche l’Italia ormai è un paese in perenne conflitto per qualunque motivo, dalla politica allo sport.
Non solo l’Italia, tutto il mondo è così purtroppo.
Come crede che possa salvarsi questo paese dalla guerra continua?
Eh, l’Italia… Io dico sempre che la maggior parte delle guerre sono di religione, e la fortuna che avete qui è che siete tutti cattolici. Dico che bisogna essere uniti. Capisco che la vita è difficile, la gente ha sempre meno soldi ed è dura vivere in questa maniera, però è sempre meglio che fare la guerra. In Serbia le persone vivevano male, e l’unico modo perché la gente non pensasse a come viveva male era farle fare la guerra, darle un motivo, un’altra cosa a cui pensare.
E lei come ha fatto a non arrendersi alla guerra?
A me ha aiutato lo sport. Io soltanto quando stavo in campo riuscivo a non pensare alla guerra. Ricordo che in quel periodo volevo allenarmi tutti i giorni: è stata la passione per lo sport che mi ha dato la forza di reagire e di passare i momenti bui. È indispensabile amare qualcosa: la famiglia, lo sport… La forza dell’amore è devastante. Nel bene e nel male. Ti porta a fare cose di cui neanche ti crederesti capace.
Pietro Piccinini
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