Chi pensa di vedere bene, spesso è accecato e vede il male negli altri! È una storia che si ripete dal mito di Edipo alla vicenda di Paolo di Tarso. Con i dovuti distinguo, come era già accaduto alcuni mesi fa, di recente ancora una volta in Dad è stato chiesto ad una studentessa di bendarsi gli occhi durante un’interrogazione, poiché appariva troppo preparata.
Chi pensa di vedere bene, spesso è accecato e vede il male negli altri! È una storia che si ripete dal mito di Edipo alla vicenda di Paolo di Tarso. Con i dovuti distinguo, come era già accaduto alcuni mesi fa, di recente ancora una volta in Dad è stato chiesto ad una studentessa di bendarsi gli occhi durante un’interrogazione, poiché appariva troppo preparata. Dinanzi ad ore ed ore di didattica a distanza in tutto il Paese, che sarà mai un caso? Quando i “casi” sono persone hanno sempre un valore, se poi sono ragazzi, che si accenda un faro è il minimo! Nei siti specializzati sul mondo della scuola i commenti si dividono un po’ dalla parte della docente sottolineando che gli studenti sono poco onesti e provano in tutti i modi ad imbrogliare, un po’ a favore della ragazza ma in realtà evidenziando che per un insegnante è facile capire quando c’è qualche sotterfugio, dunque senza dover giungere a tanto. Nelle diatribe di questo tipo di solito, però, si perde di vista l’essenziale e qui il cuore della questione è da un lato la mancanza di fiducia tra discente e docente, la cui traduzione terra terra è “so che vuoi o mi stai fregando, ma io ne so una più di te e lo dimostro”, dall’altro l’imposizione per autorità e per mostrare una sorta di potere della serie “qui comando io e la lezione serva per tutti gli altri”. In tutte e due i casi l’insegnante risulta perdente sia in relazione ad un ruolo tanto delicato, sia come adulto responsabile. Infatti, come e cosa si può trasmettere a livello culturale ed umano, e che sia duraturo, senza un rapporto di fiducia reciproca? Forse passerà qualche nozione, di quelle ripetute più volte e appiccicate a memoria, ma niente di ciò sarà davvero imparato e avrà un valore per il futuro. Inoltre, come si può entrare in un’aula, fisica o virtuale, e vedere su quei banchi o nei quadratini della piattaforma on line dei nemici, degli ostacoli alla propria dignità professionale, gente pronta da un momento all’altro ad ingannare? E tutto per cosa? Per un voto? Da grandi ci dimentichiamo spesso di essere stati dall’altro lato della barricata e anche noi, almeno una volta, di aver copiato, colto un utile suggerimento nell’aria, usato bigliettini vari nascosti ovunque, segnato il banco con le formule; magari queste storie le raccontiamo pure agli studenti come per dire “noi siamo come voi”, salvo poi trasformarci a volte in severissimi controllori durante i compiti, le interrogazioni, gli esami, gli scrutini. Se perdiamo l’autorevolezza e, aggiungerei l’amorevolezza, saremo solo timpani squillanti e oratori che parlano a se stessi in presenza e ancor peggio a distanza. Non solo, meno saremo autorevoli, più alcuni studenti ci sfideranno verso il basso, proveranno fino a che punto siamo capaci di abbassarci o di gridare, vanificando qualunque relazione educativa. Sembra che sia quel gioco tra bambini in cui c’è uno dei due che deve vincere per forza e sempre, che ha ragione in partenza, dimenticando che in questa situazione in campo ci sono degli adulti e dei ragazzi, tra cui ci sta la sfida ma non al ribasso, bensì verso le alte vette della cultura, della conoscenza, della bellezza, della scoperta, della curiosità, della creatività. Se è vero che la legalità si impara nelle piccole cose e a partire dalla scuola, compreso il rispetto delle regole e dello svolgere il proprio dovere in modo autonomo, quanto esigiamo dagli studenti è frutto di un percorso, di cadute, di ripresa, di partenze e ripartenze, di errori e di correzioni, soprattutto di fiducia reciproca; quella stessa fiducia per cui, in certe dinamiche di relazione, uno viene bendato e si fa guidare verso la meta dalla voce dell’altro, certo che non lo metterà in pericolo o fuori strada. Di questo tipo di “bendature educative” i nostri studenti hanno bisogno, cioè di adulti-educatori che non hanno paura tanto da dover usare accorgimenti fuori luogo, che sanno il fatto proprio ma non si vantano, che credono nelle loro abilità, capaci di scusarsi nell’errore, pronti ad elogiarli quanto a richiamarli, disponibili a compiere un passo indietro dopo aver mostrato “come l’uom s’etterna” e lasciarli andare per la propria strada nella libertà e con responsabilità.
Marco Pappalardo
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