Tre interventi sul tema vocazionale, per «mettere in un ordine ragionato le idee che si rifanno a tale ambito semantico affinché la pastorale ne possa guadagnare in incisività e significatività». (3' Parte)
LA MIA VOCAZIONE È L’AMORE
Le varie vocazioni però non possono essere definite soltanto attraverso il criterio delle scelte personali e singolari dei vari membri della Chiesa, ma hanno trovato nei secoli, ossia nella tradizione cattolica, un punto di riferimento ulteriore.
La Chiesa è Madre dei suoi figli
La Chiesa, oltre ad essere comunità di figli di Dio, è anche stata definita da sempre come Madre, generatrice di figli del Padre, mediazione non sostitutiva, ma necessaria per la formazione del corpo di Cristo e la nascita di nuove sue membra.
Questo carattere materno ha contribuito fin da subito a definire due tipi di cristiani che all’interno della comunità occupano un posto particolare, il cui scopo è quello di favorire la santità di tutti.
Il primo obiettivo è la possibilità di perpetuare la presenza di Cristo nella comunità mediante la riproposizione del suo ministero di capo e pastore dei fratelli. Questo ruolo, al quale si può essere introdotti soltanto da un preciso atto di Cristo stesso con la sua sposa, ossia da un sacramento, è svolto dai ministri ordinati, i quali assumono un ruolo non laicale, ma di ministero sacerdotale ordinato per il bene proprio e di tutti.
Il secondo obiettivo è di riproporre in modo radicale la stessa vita di Gesù Cristo nella storia contemporanea, radicalizzando i consigli evangelici insiti nel battesimo fino a farli diventare veri e propri voti pubblici, con l’obiettivo di proporre a tutti i laici la concreta possibilità di vivere la propria esistenza esattamente nella forma in cui l’avrebbe vissuta Gesù se fosse stato nostro contemporaneo. Essi hanno dunque il ruolo di, per così dire, seguire Cristo più da vicino, additandolo in questo modo a tutti i laici come meta e sequela possibile. Tale compito non viene assunto mediante un sacramento particolare, ma mediante il riconoscimento da parte della Chiesa di una particolare condizione in cui il fedele si pone e viene posto dallo Spirito: la condizione di consacrato.
Entrambi questi ruoli ecclesiali, il ministro ordinato e il consacrato, richiedono al fedele l’assunzione di una forma particolare di vita, di amore concreto, di risposta al dono ricevuto da parte del Padre, che non è richiesta a tutti i laici, ma è per il bene di tutti.
Essi sono posti oggettivamente in una condizione differente perché chiamati ad assumere nella Chiesa una funzione di servizio e di luce sul cammino a vantaggio di tutti. Basti pensare alla differente condizione con cui essi vivono concretamente il comandamento dell’amore nella forma della castità e del celibato per rendersi conto di questa oggettiva diversità di stato.
Questo ruolo che essi si assumono ha inoltre un carattere particolare: esso è permanente e pone il soggetto in uno stato di vita del tutto particolare che comprende ogni aspetto della sua esistenza e si estende per tutta la durata della sua vita. Non è soltanto una funzione transitoria, o una condizione di servizio transeunte, o di semplice ministero nei riguardi di terzi, ma un vero e proprio caratterizzare la vita intera della persona fino a conformarsi a Cristo in un particolare modo. La tradizione ecclesiale ha chiamato questi ruoli con il nome di stati di vita.
Laicato, ministero ordinato e vita consacrata vengono così definiti dalla tradizione come i tre stati di vita della Chiesa e Giovanni Paolo II ha confermato l’attenzione della Chiesa verso di essi proponendo durante il suo pontificato tre Sinodi destinati a questi stati di vita con le relative esortazioni apostoliche (ChL, PDV, VC): «Questo Sinodo, venendo dopo quelli dedicati ai laici e ai presbiteri, completa la trattazione delle peculiarità che caratterizzano gli stati di vita voluti dal Signore Gesù per la sua Chiesa. Se infatti nel Concilio Vaticano II è stata sottolineata la grande realtà della comunione ecclesiale, nella quale convergono tutti i doni in vista della costruzione del Corpo di Cristo e della missione della Chiesa nel mondo, in questi ultimi anni si è avvertita la necessità di esplicitare meglio l’identità dei vari stati di vita, la loro vocazione e la loro missione specifica nella Chiesa. La comunione nella Chiesa non è infatti uniformità, ma dono dello Spirito che passa anche attraverso la varietà dei carismi e degli stati di vita. Questi saranno tanto più utili alla Chiesa e alla sua missione, quanto maggiore sarà il rispetto della loro identità. In effetti, ogni dono dello Spirito è concesso perché fruttifichi per il Signore nella crescita della fraternità e della missione» (VC 4).
L’assunzione da parte del laico di uno stato di vita diverso da quello di partenza non può essere soltanto decisione personale o autodeterminazione, ma proviene da un preciso dono divino: la vocazione di speciale consacrazione. Eccoci dunque all’individuazione di un ulteriore significato proprio del termine vocazione: la chiamata al ministero ordinato o alla consacrazione.
Vocazioni di speciale consacrazione
Quindi, riassumendo: vocazione è in modo proprio usato per indicare la chiamata a far parte della Chiesa (vocazione battesimale) o ad assumere in essa un particolare stato di vita (vocazione di speciale consacrazione), mentre in senso analogo può essere utilizzato per indicare le forme concrete in cui si viene a definire lo stato battesimale, ministeriale o consacrato (le vocazioni singolari o proprie di ciascuno).
Non deve trarre in inganno la suddivisione dei tre stati di vita, inducendo a credere ad una netta separazione degli stati. Come la storia della Chiesa insegna, a partire dal fatto che si sta sempre parlando in primo luogo di una comunione “corporale” di membra, l’identità del singolo cristiano può essere in realtà molto più complessa. Esistono infatti laici consacrati, ministri consacrati, forme di vita personali segnate da voti privati, nuove forme di consacrazione…
Preme comunque far osservare che al di là dei cammini dei singoli, due sono comunque i riferimenti essenziali per un retto discernimento della vocazione di ciascuno: la scelta libera e consapevole della persona e il riconoscimento di tale volontà da parte della Chiesa fino a riconoscere in tale modalità di vita un esempio da proporre come tale perché santamente ispirato, radicato nel patrimonio rivelato della fede e ecclesialmente riconosciuto come modo privilegiato di vivere la conformità della propria vita a quella del Signore Gesù.
La riscoperta della realtà sinfonica della comunione ecclesiale permetterebbe di uscire sia dal “clericalismo” della comunità cristiana, sia dal generico invito alla partecipazione in stile democratico, evitando quindi di bollare ogni scelta di vita come vocazione allo stesso livello di quelle qui sopra descritte e, contemporaneamente, isolare le vocazioni di speciale consacrazione a caso così estremo e particolare, da essere ulteriore e senza relazione con la “normale” via del cristiano.
Se il discorso delle vocazioni mette in luce la complementarità e la reciprocità delle stesse, nessuna vocazione può essere definita senza rapporto con le altre. Nell’unità della vocazione battesimale, le molte vocazioni personali operano una concentrazione paradigmatica dei due elementi essenziali della vocazione, connotandoli diversamente a partire da una data situazione storica e umana: la dedizione al Signore, in una comunità fraterna.
Ma ogni vocazione, o stato di vita, non è mai alternativa all’altra, anzi contiene in misura diversa anche taluni elementi dell’altra. In parole più semplici: ogni vocazione impara dalle altre ciò che manca a se stessa o, meglio, vede nell’altra la possibilità di concentrarsi sinteticamente attorno ad un elemento altrettanto essenziale del mistero di Gesù. Ognuno può e deve riconoscere sul volto dell’altro ciò che manca alla propria vocazione.
In questo modo è possibile cercare di comprendere sempre meglio la particolare relazione reciproca dei tre stati di vita ecclesiali: lo stato laicale/matrimoniale, quello della consacrazione religiosa e del sacerdozio ministeriale.
L’intreccio delle vocazioni
In primo luogo lo stato sacerdotale e quello dei consigli evangelici, di fronte allo stato matrimoniale o laicale, possono venire illuminati come vocazione speciale, differenziata dal fatto che il primo esige una sequela più stretta a Cristo indirettamente, a motivo dell’ufficio conferito, la seconda la esige in maniera diretta, a motivo della forma di vita consegnata personalmente. Ma questi due stati di vita speciali, che sono caratterizzati da una seconda elezione divina dopo quella battesimale, sono chiaramente strumentali allo stato principale nella Chiesa, lo stato laicale/matrimoniale. I laici infatti devono rappresentare nella maniera più perfetta possibile l’amore cristiano a Dio e al prossimo nella loro quotidianità e irradiare così nel loro ambiente una luce calda, profonda, fruttuosa. Questo potrà accadere se essi tradurranno negli ambiti del mondo gli impulsi provenienti dalla Chiesa e li condurranno avanti competentemente.
I laici dunque non devono attendere dalla comunità il conferimento di un ministero ulteriore al loro, come se il fatto di essere “semplicemente laici” non fosse ancora abbastanza per l’essere cristiani impegnati e maturi, così come consacrati e sacerdoti non si devono attendere dai laici che essi li sostituiscano nelle loro funzioni, né devono prevaricare rispetto ai loro ruoli e compiti specifici. Soltanto in questo modo sarà possibile fondare e sviluppare una CEP o comunità educante che sia effettivamente “ecclesiale”.
A partire da questa profonda relazionalità delle vocazioni sarà possibile una reale e reciproca coappartenenza degli stati di vita ecclesiali attraverso cui l’amore diventi la forma ultima della vita ecclesiale.
Riassumendo mediante le espressioni di un celebre teologo, potremmo dire:
“Ogni stato di vita è tale in quanto rappresentazione di qualcosa che è presente anche negli altri stati di vita:
– lo stato sacerdotale è la rappresentazione della assolutezza della redenzione di Cristo, la garanzia della sua presenza e dell’essere sacramentale della Grazia in tutta la vita della Chiesa. Esso è il custode e, per volere di Dio, la condizione che rende sempre nuovamente possibile questo essere;
– l’ordine religioso è la rappresentazione dell’assolutezza del cristiano “dover essere” in base all’essere, dell’incondizionatezza della divina esigenza di coincidenza di essere e dover essere, quale viene presentata ad ogni cristiano: al prete per primo, ma così pure anche al laico
– lo stato laicale è lo stato della Chiesa stessa, la quale, collocata fuori del mondo dal fatto della redenzione e chiamata fuori da Cristo stesso, è autorizzata e chiamata dallo Spirito Santo ad essere uno stato di vita con il Figlio presso il Padre” (Von Balthasar).
Pastoralmente parlando queste vocazioni in senso proprio, o di speciale consacrazione hanno dunque bisogno, nel cammino comunitario e personale, di una particolare attenzione, proprio perché esse si pongono come “ulteriori”, “speciali”, particolari rispetto al “normale” modo di vivere la santità dei laici. Grande cura deve essere infatti tenuta nei loro confronti sia perché il singolo possa discernere tale chiamata in modo libero e consapevole, sia perché la Chiesa possa vedere nella decisione del giovane una vera chiamata divina.
Tali attenzioni pastorali e scelte di vita si collocano nel solco del cammino precedente del singolo e della comunità, dunque a buon diritto sono il frutto maturo della ordinaria pastorale giovanile ecclesiale, ma allo stesso tempo pongono un salto di qualità, una differenza sostanziale che non è soltanto frutto del cammino precedente, ma di un intervento diretto dello Spirito che deve essere individuato, curato, sostenuto e prolungato nella storia nel vocato. Per questo è assolutamente necessaria una efficace animazione vocazionale che, prolungando e specificando l’azione pastorale ordinaria, illumini le coscienze credenti e ne sostenga i cammini di santità.
Alberto Martelli
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