Aveva 37 anni ed era medico. Nel 2012, in attesa del secondo figlio, scoprì il cancro. Posticipò le cure fino alla nascita di Giacomo, poi combatté strenuamente...
del 13 febbraio 2019
Aveva 37 anni ed era medico. Nel 2012, in attesa del secondo figlio, scoprì il cancro. Posticipò le cure fino alla nascita di Giacomo, poi combatté strenuamente...
Erano in tanti, sabato scorso, nella basilica fiorentina della Santissima Annunziata a “far festa” con Caterina Morelli. Era un funerale, è vero, ma il marito Jonata, con i piccoli Gaia e Giacomo, i parenti e gli amici tutti, ha voluto così per rispettare la volontà della moglie. Fuori dalla chiesa, su uno striscione, si leggeva che “Cate” è volata nel cielo di Firenze per renderla più luminosa e bella. Poco dopo un altro striscione veniva esposto in Curva Fiesole allo Stadio Artemio Franchi, in occasione di Fiorentina-Napoli: "Ciao Cate. Jonny siamo con te".
Caterina è morta a soli 37 anni, nella notte tra il 7 e l’8 febbraio. Faceva il medico, al Meyer, l’ospedale dei bambini conosciuto in tutta Italia. Dai bambini era amata e lei amava i bambini al punto che per la vita del suo secondogenito ha rinunciato alla propria. Caterina, nel 2012, in felice attesa, scoprì di essere affetta da un tumore aggressivo ed esteso. Decise di portare avanti la gravidanza rinunciando alla chemioterapia a favore di cure meno invasive. Dopo il parto ha lottato sette anni contro la malattia «senza smettere un minuto di vivere e di voler vivere con passione, con intensità, con gusto, tanto da stupire chi la conosceva e conosceva le sue condizioni. Fino alla fine ha voluto occuparsi della casa, dei suoi amati figli, ha vissuto tutto quello che poteva permettersi di vivere, e alla grande». A raccontarlo è don Filippo Belli, di cui giovedì uscirà una testimonianza sulle pagine diocesane fiorentine di Toscana Oggi. Lui è docente alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, ma soprattutto è l’amministratore apostolico di San Pietro a Careggi, nei pressi del grande ospedale del capoluogo toscano. Conosceva Caterina e nella sua chiesa la salma della giovane ha anche sostato in attesa di essere tumulata.
«Non si è mai rassegnata – ribadisce don Filippo –, chiedeva continuamente e faceva chiedere a Dio la guarigione, ma soprattutto non ha smesso un istante di chiedere la santità per sé e per la sua famiglia». L’estate scorsa ebbe a dire che per lei la santità era diventata «un problema quotidiano, ma non per poter essere più pia e perfetta agli occhi del mondo, ma per poter essere felice». «È capitato a tanti, anche al sottoscritto – racconta ancora il sacerdote fiorentino – di avvicinarsi a Caterina pensando di doverla in qualche modo confortare e aiutare, per poi ritrovarsi invece travolti da una serenità, un amore, una dedizione e un’attenzione alla persona che lasciavano sconvolti. In lei viveva e traspariva un grande mistero, una luce particolare, ma che lei sapeva bene individuare e segnalare: la presenza amorosa di Gesù nella sua vita».
La sua casa era diventata in questi ultimi tempi una sorta di santuario. Tantissime persone andavano a salutarla, a parlare con lei, a pregare, ad aiutare lei e la sua famiglia. «Ma si capiva bene che volevano vederla perché in lei, nel suo volto, nelle sue poche parole, stando con lei, ravvisavano la presenza di Gesù». «La volontà di Dio rende tutto perfetto», diceva Caterina. «Del resto – commenta don Filippo – lo avevamo tutti capito: Caterina era pronta, era serena, si era completamente consegnata, consegnando a Dio anche il suo più grande e ultimo cruccio, ovvero la vita e il futuro senza di lei di suo marito e dei suoi figli». Per la figlia maggiore aveva chiesto di anticipare la Prima comunione per poterci essere. Ci è riuscita. È successo pochi giorni prima di entrare in coma.
Quella di Caterina è stata «una vita di puro Vangelo – dice ad Avvenire il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, che l’aveva conosciuta e incontrata –: perdere la propria vita per dare vita ad altri, come Gesù. Un gesto che può essere generato solo dalla fede e solo nella fede si può comprendere fino in fondo. Una critica alla radice della cultura egemone, schiava dell’utile e del profitto. Un severo esame di coscienza per la nostra Chiesa fiorentina perché sia all’altezza di una così alta testimonianza, ma anche la gioia di scoprire tra noi una vena inesausta di amore degna della tradizione di questa Chiesa e città».
Andrea Fagioli
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