È qui che giungono per una verifica accuratissima i dossier preparati nelle diocesi sulle virtù eroiche, il martirio o l’offerta della vita di laici, sacerdoti e religiosi. Lo staff fisso è di 30 persone...
del 31 luglio 2017
È qui che giungono per una verifica accuratissima i dossier preparati nelle diocesi sulle virtù eroiche, il martirio o l’offerta della vita di laici, sacerdoti e religiosi. Lo staff fisso è di 30 persone...
Come si svolge una giornata alla “Fabbrica dei santi”, dove lo straordinario è ordinario? Siamo andati a conoscerla da vicino con una guida d’eccezione, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. «Come dice il nome della Congregazione, portiamo avanti le “cause”, di canonizzazione o beatificazione, quindi si tratta a tutti gli effetti di un tribunale», spiega. È qui che giungono per una verifica accuratissima i dossier preparati nelle diocesi sulle virtù eroiche, il martirio o l’offerta della vita di laici, sacerdoti e religiosi. Lo staff fisso è di 30 persone, ma vi collaborano un centinaio di teologi consultori e una sessantina di studiosi di storia convocati a seconda dei casi, nonché una consulta medica con numerosi specialisti internazionali. Ci sono poi i postulatori, una specie di avvocati che promuovono le cause specifiche, seguendo l’iter canonico e in dialogo costante con la Congregazione. «Insomma, è un lavoro molto impegnativo e talvolta complicato, anche perché alla Congregazione appartengono anche una quarantina tra cardinali e vescovi che si riuniscono due volte al mese nella così detta “Ordinaria”, in cui si decidono le cause». Cause divise per categorie: sulle virtù eroiche, sul martirio, sull’offerta della vita e sul miracolo. Su cui sarà il Papa a dire l’ultima parola, emanando il decreto di approvazione.
Ma i Papi hanno delle preferenze, in fatto di santità? Con Giovanni Paolo II furono approvate le canonizzazioni di molti laici. Francesco pare prediligere i missionari. Il cardinale sorride. «Le racconto un aneddoto. Papa Francesco è stato eletto nel marzo 2013. A maggio ci fu la prima canonizzazione fatta da lui e tra i santi c’erano gli 813 martiri di Otranto. Quando sono andato a salutarlo, era contento e mi ha detto: “Io con una sola canonizzazione ho superato tutti i miei predecessori!”. Papa Francesco ci tiene a promuovere la santità e a farla vedere, farla contemplare e così ammirare e diffondere. I Papi, e soprattutto Francesco, desiderano questo».
I martiri di Otranto furono uccisi dai turchi per aver rifiutato la conversione all’islam. Era il 1480, ma oltre cinquecento anni dopo la situazione si ripete sotto la bandiera del Califfato. E forse, nel futuro prossimo, ricorderemo i martiri di Daesh. «Io credo di sì. Sta procedendo bene, ad esempio, la causa di padre Jacques Hamel, il sacerdote francese ucciso in maniera così scioccante mentre celebrava la Messa. E il fenomeno è ancora in atto».
I SANTI DEL FUTURO
«Le cause però non dipendono dalla Congregazione − che giudica, verifica, controlla e promuove − ma dalla base: sono i vescovi, le associazioni religiose, gli ordini di consacrati, che devono richiederle», prosegue Amato.
La base, sì, è sempre lei che si muove, mossa a sua volta dalla “fama di santità”, che è il primo requisito per aprire un’inchiesta diocesana. E la base della Chiesa è sempre più globale. Le maggiori persecuzioni dei cristiani si concentrano tra Africa e Asia. Avremo un calendario liturgico sempre più multietnico? «Certo, anche se già oggi lo è. I primi santi erano per la maggior parte africani. La santità sorge in tutto il mondo. Papa Francesco vuole sottolineare le radici della santità nei vari continenti, per questo ha promosso la canonizzazione di Junipero Serra, l’apostolo della California, fondatore di città come Los Angeles, San Diego, San Francisco. Oppure di José de Anchieta, missionario spagnolo che ha evangelizzato il Brasile e ha fondato la città di San Paolo. E ancora François de Laval, un vescovo che andava evangelizzando dalla Louisiana fino all’Alaska. O Maria dell’Incarnazione, orsolina francese, prima missionaria in assoluto della Chiesa cattolica, evangelizzatrice delle ragazze canadesi, sia native che emigrate. Papa Francesco vuole che i continenti affondino la loro realtà nelle radici della santità».
Ma in cosa consiste la santità? Certo non significa essere “perfetti”. Lo sa bene una figura particolare che ha un ruolo chiave in questo tribunale sui generis: il cosiddetto “avvocato del diavolo”. «Certo, noi non lo chiamiamo così... il suo nome è “promotore della fede”, e ha il compito di porre delle obiezioni alle cause. Mette in rilievo i lati oscuri, che sono molto significativi perché da un lato confermano che siamo davanti a persone come noi e non ad angeli incarnati, e dall’altro sottolineano che la virtù è una conquista della volontà e della grazia. Quando sento dire: “La Madre superiora ha sempre...” io dico: “Quel sempre lasciamolo stare”. È bene che le cose siano normali. E anche chi è stato eroico nella pazienza, se qualche volta l’ha persa... ne siamo contenti». E quindi possiamo dirlo, chiaro e tondo: la cosa più importante, per diventare santi, non è sforzarsi di evitare il male, ma dedicarsi totalmente a fare il bene. «Ovviamente fare il bene è più importante! I santi sono dinamicamente protesi a fare il bene, hanno la fissazione di fare il bene, e proprio per fare il bene qualche volta sono stati anche imprudenti... però la loro finalità è fare il bene. Sono assediati, abitati da questa energia di fare il bene, perché la santità è proprio promuovere il bene. E anche, naturalmente, evitare il male».
SEMI DI FEDE
I santi, uomini e donne per ogni stagione della vita. Le loro storie sono avvincenti. Il cardinale Amato parla del sudafricano Benedict Daswa, del giovane messicano José Sanchez Del Rio, dell’altoatesino Josef Mayr-Nusser. Tutti martiri per aver rifiutato i diktat di ogni tempo in nome di un Vangelo sigillo di libertà. Tutti beati o santi per decreto di papa Francesco.
C’è una storia che gli sta particolarmente a cuore. È quella di un samurai giapponese, Justo Takayama Ukon, espropriato di tutto, bandito e morto di stenti nel 1615. Perché cristiano. «La sua beatificazione ha avuto un impatto straordinario non solo tra i fedeli giapponesi, che sono pochissimi, ma anche sulla stampa nazionale e pure sulle istituzioni civili. Perché è una grande figura: un uomo leale con la sua patria, e leale con la sua fede. Un vero giapponese. Mi ha colpito questa lealtà verso se stesso e verso Dio. Una cosa straordinaria».
IL PROCESSO LE FASI E I RUOLI
Postulatori. Sono gli “avvocati della difesa”, ovvero coloro che propongono e promuovono le singole cause di beatificazione.
Promotore della fede. È il cosiddetto “avvocato del diavolo”, chiamato a confutare le prove e sollevare dubbi sui lati meno luminosi.
Testimoni. Per le “cause moderne” si ascoltano i testimoni de visu e de auditu, ovvero dal vivo. Per le “cause antiche” sono convocati storici specialisti che analizzano le testimonianze scritte.
Medici. Vi sono miracoli di vario tipo (scampati pericoli, moltiplicazioni, eccetera) ma i più frequenti sono le guarigioni. I medici sono scelti in base alla loro specializzazione. Sono cristiani, di altre fedi o atei, a patto che non abbiano preconcetti e possano giudicare secondo coscienza l’inspiegabilità o meno della guarigione avvenuta.
Teologi. Appurata la straordinarietà del miracolo, la commissione dei teologi deve verificare l’armonia tra esso e l’effettiva richiesta d’intercessione di un beato o di un santo.
L’Ordinaria. Le conclusioni mediche e teologiche giungono all’Ordinaria della congregazione, dove cardinali e vescovi danno il loro giudizio.
Il prefetto. Se il giudizio è positivo, il prefetto della Congregazione si reca in udienza dal Santo Padre, affinché firmi il decreto del miracolo.
Il Papa. Il Papa può procedere pro gratia anche a una canonizzazione equipollente, ossia senza il miracolo.
LA TERZA VIA ALLA SANTITÀ
Si diventa santi in due modi, anzi tre: esercitando le virtù in grado eroico, subendo il martirio «in odio alla fede» oppure – e la decisione è di questi giorni – con l’offerta della propria vita. L’ha deciso papa Francesco con il recente motu proprio Maiorem hac dilectionem, secondo il quale donarsi per gli altri fino al punto di andare liberamente incontro a una morte prematura è una via per la santità. Il titolo del documento pontificio fa riferimento a un versetto del Vangelo secondo Giovanni, «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Giovanni 15,13). Pertanto, l’offerta eroica della vita «suggerita e sostenuta dalla carità», esprime una «vera, piena ed esemplare» imitazione della vita come vissuta da Gesù.
Paolo Pegoraro
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