Dolce&Gabbana: la famiglia è quella tradizionale

«Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L' ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c' è religione, non c' è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre»...

Dolce&Gabbana: la famiglia è quella tradizionale

 

Uno è rasato come un bonzo, anche se somiglia non poco pure a Blofeld, il cattivo di James Bond e capo della Spectre, l' altro è smilzo e scavato e veste di nero come un penitente. Sono la coppia più famosa della moda italiana, e non ce ne vorranno se li introduciamo con paragoni ascetici poco glamorous. Lo facciamo sulla scorta di una lunga intervista che Dolce&Gabbana hanno rilasciato a Panorama, in cui le parole chiave sono soprannaturale, sacra famiglia, natura, dovere, maternità - non troppo socialmente assistita e per nulla chimicamente. E poi la virtù della privazione, l' importanza di passare il Natale insieme (vedi la suddetta sacra famiglia).

 

Un ceffone spudorato a (quasi) tutte le innovazioni lassiste, materialiste e relativiste in campo morale e sessuale. «La famiglia non è una moda passeggera. È un senso di appartenenza sovrannaturale» spiega Stefano Gabbana, il lombardo del duo, quello che dovrebbe manifestare più scetticismo e invece sembra di sentire papa Francesco. Gli fa eco Domenico Dolce, nato in un paese della provincia di Palermo: «Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L' ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c' è religione, non c' è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre». E qui credi di sentire la voce dell' ala destra della Conferenza episcopale. «O almeno dovrebbe essere così - prosegue Dolce, con enfasi sul dovrebbe, - per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre… Procreare deve essere un atto d' amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni».

 

Dovevamo aspettare un sarto (portate pazienza ma anche noi siamo reazionari in talune cose, e "stilista" ci fa schifo) e per di più omosessuale perché la distopia della procreazione spassionata, senza congiunzione carnale, comprata al mercato del seme e degli uteri, venisse squadernata nella sua cruda verità. E la tendenza che esistano tanti modelli di famiglia, quindi nessuna famiglia? Balle secondo Gabbana: «È come nel Gattopardo, tutto deve cambiare perché tutto resti com' è. Ed è rimasto tutto uguale \ le famiglie di allora e quelle di oggi \ le giovani modelle sono con i loro figli esattamente come le loro madri, le stesse paure, le stesse angosce». Un' osservazione amara ma che ha più confidenza con la realtà delle edificanti illusioni di chi pensa di "rifondare" la famiglia, evolverla, e che possa esistere un momento in cui la figlia non somiglierà alla madre perché resterà per sempre giovane e, se madre, affidando i dolori e le deformazioni della gestazione a una sconosciuta pagata.

 

Scaviamo ancora in quest' intervista impietosa. Dolce: «Poco tempo fa ho letto un libro di Colm Tóibín sulla vita della Madonna: Il testamento di Maria». E si capisce che ci ha trovato la sua, di madre, la madre di un diverso: «È il racconto di una donna sola, disperata per la morte di un figlio che non riusciva a capire, una che si lamentava perché lui le portava a casa solo gente poco raccomandabile». La storia della Vergine in un romanzo per elaborare il confronto tra una madre delle Madonie e la propria omosessualità: un netto e proficuo passo in avanti rispetto alla mistica (quella sì) del coming out che, come un lavaggio del cervello, un' amnesia totale, renderebbe all' istante risolti e integrati, nella unione mistica dei gay. E perfino il ben noto dato psicanalitico che dietro ogni omosessualità c' è un colosso di madre, in questo caso la signora Piera per Gabbana («ci vado a cena stasera, è l' unica donna della mia vita») e Rosaria per Dolce («se oggi sono arrivato fin qui, lo devo alla sua disciplina») non soffoca né il rispetto per la figura paterna, né la sua imprescin- dibilità come uno dei due poli del desiderio e dell' amore.

 

E tornando al coming out, che in ogni intervista a celebrità omosessuale assume il rilievo della conversione di Paolo sulla via di Damasco, è qui liquidato come una formalità piccolo-borghese di nessun conto: «Mia madre lo venne a sapere da un telegiornale - racconta Gabbana, - fu difficile all' inizio. Mi fece una scenata: Cosa dico alla vicina? Nulla, non dirle nulla mamma. E poi se amo un uomo o una donna che importanza ha per te? Lei mi guardò e poi mi disse: è vero, non ha nessuna importanza». Fine del dramma. Da opera buffa invece quello di Dolce: «Portavo a casa delle fidanzate, decisamente poco carine. E lei, mia madre, si arrabbiava perché erano brutte. Per Stefano, invece, ha avuto molto affetto, si sono capiti subito». Bastava scegliersi un amante esteticamente valido.

 

Niente storie di bullismo, cacciate di casa, maledizioni e ritorsioni. Per carità, saranno stati pure fortunati, ma forse i fissati con l' omofobia, parola che non viene mai pronunciata in tutta l' intervista, esagerano. Un ammirevole equilibrio anche quando devono rispondere alla domanda che solo mezzo secolo fa sarebbe stata presa per una provocazione: avrebbero voluto essere padri? «Sì, io un figlio lo farei subito», dice Gabbana.

 

«Sono gay, non posso avere un figlio», risponde Dolce, ignorando con stile che certo che può, oggi si può tutto, ma quel non possum ribadisce un concetto per molti arcaico: «Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c' è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa - (standing ovation, come canta Vasco), - la vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. Una di queste è la famiglia». Che non deve essere quella famiglia nevroticamente ipermoderna e promiscua come la spaccia anche la commedia cinematografica più all' acqua di rose.

 

Macché: deve durare e non si deve litigare. «A volte litigavano ferocemente - racconta Dolce dei suoi genitori, - ma era più la recita di un copione da famiglia del Sud. Ricordo un giorno a tavola, ero piccolo e scoppiai a piangere mentre loro urlavano, rimasero colpiti e da quella volta smisero». Il rispetto per la sensibilità di un bambino: non un concetto molto discusso presso le famiglie, anzi, "i molti modelli di famiglia" oggi in voga.

 

Si sono lasciati, ma c' è «la forza dell' amore - dice Gabbana - che non svanisce mai», e Dolce si pente di aver lasciato l' ex da solo nel loro primo Natale separati. Poi mai più. Come sarà il mondo dei nipoti?

 

Dolce: «Solitario, confuso sessualmente, troppo libero per dare felicità». Un mondo che si specchia nel televisore al plasma, un riflesso, una tautologia. Come un bambino generato da se stesso e morto senza lasciare nulla a un altro.

 

 

Giordano Tedoldi

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