Ho raccontato ai miei studenti la storia di una vocazione. Lei era una ragazza come tante altre con sogni, ambizioni e fidanzato
Sono al telefono con la Madre abbadessa del Monastero di Santa Chiara di Nocera inferiore, una bella cittadina del salernitano. Suor Myriam, questo è il suo nome, ha una voce da ragazza fresca e cristallina. Provo a mandare “un sorriso telefonico”, per entrare in amicizia, facendole notare la dolcezza della sua voce che sembra senza un’età definita, mentre parlo con lei quasi sento la gioia e la pace di Dio attraverso le sue parole. Tutto questo è bellissimo e glielo faccio notare. “È la giovinezza che dona l’amore per Dio” mi fa eco dall’altra parte del filo madre Myriam, che ascolta con interesse, attraverso le mie parole, le richieste dei miei giovani allievi.
Mentre parlo con suor Myriam, non posso fare a meno di ammirare in un prato verde da una finestra della scuola delle libellule bellissime che volteggiano creando con le loro ali dei meravigliosi veli bianchi, sembrano piccoli angeli festosi davanti ai miei occhi. Apro la mia e-mail per leggere la bellissima testimonianza che le Clarisse nel frattempo mi hanno inviato. Mentre lo faccio mi ritorna in mente la strofa di una tra le più belle canzoni di Lucio Battista: “Inseguendo una libellula in un prato, un giorno che avevo rotto col passato, quando già credevo di esserci riuscito, son caduto…”. In effetti le libellule ci ricordano di aprirci al cambiamento… e di vivere la vita al massimo. Allo stesso modo la testimonianza di questa Clarissa e del suo cambio vita.
Doveva essere una sposa con un velo bianco come le libellule che volteggiano intorno al sole ma di colpo cambiano quota e volano sicure in un nuovo spazio. Così è questa testimonianza che vi invito a leggere e che accolgo come dono da condividere con i miei allievi e non solo…
Un Monastero di clausura desta curiosità. Cosa accade nel cuore di una ragazza bella e giovane per portarla a una vita di clausura? Eccovi una storia vera, di una ragazza, una donna e poi una clarissa che ci lascia riflettere su quel confine invisibile tra il mondo esteriore e il mondo dello spirito e ci lascia ancora capire come sia importante fare le giuste scelte nella vita senza precipitarsi in decisioni avventate.
«Mi presento, sono una clarissa e provo a raccontarti la mia chiamata alla vocazione claustrale avvenuta all’età di 25 anni. Sono cresciuta in una famiglia cristiana. La mia mamma è rimasta vedova a 40 anni, con ben 9 figli tutti da sistemare. La sua vita è stata per me un esempio di fortezza, da lei ho imparato cosa significava sacrificarsi per amore. Posso dire che sono stata una cristiana come spesso capita a tanti, “all’acqua di rose”. Andavo la domenica a Messa per dovere, solo per accontentare mia madre. Ricordo che quando ci andavo ero molto distratta, la mente vagava altrove, guardavo l’orologio e non vedevo l’ora che finisse la Celebrazione, per uscire ed incontrare i miei amici. Del Vangelo nemmeno una parola ricordavo, tutto mi era scivolato sulla pelle. Dentro la chiesa vivevo un mondo, fuori della chiesa iniziava un altro mondo ma, nulla riempiva il mio spirito di senso e significato. Nel mio cammino ho conosciuto giorni di dolore. Vivevo male perché vivevo in funzione di quello che avrei voluto, senza guardare quello che avevo. Questo mi portava angoscia e oppressione mi sentivo spesso senza una via di uscita.
Una notte però capitò qualcosa che cambiò la mia vita, sognai san Pio che mi disse: “Se non impari a pregare, le tue difficoltà non finiranno mai”. Quando mi svegliai queste parole mi erano entrate nel cuore come una freccia. Fu allora chiesi a me stessa: ma che significa imparare a pregare? Io già pregavo anche se lo facevo a modo mio…
La mia risposta non tardò ad arrivare. La Provvidenza mi fece incontrare una signora che m’invitò ad andare al gruppo di preghiera proprio in onore san. Pio. Accettai con entusiasmo. Nel cuore avevo intuito che stavo per ricevere la risposta di cui ero in attesa da tanto.
A questo incontro il frate cappuccino spiegò la parabola del Seminatore. Compresi allora che la preghiera è come il seme gettato nella terra del nostro cuore. Nel tempo avrebbe portato frutto. Per san Pio pregare significava recitare il Rosario.
La recita del santo Rosario era considerata da me, una preghiera pesante e monotona. Feci il proposito di iniziare questa preghiera chiedendo a san Pio la grazia di perseverare nell’impegno. Piano piano cominciò a rasserenarsi il mio spirito, non solo, affrontavo la realtà con serenità e confidenza in Dio. Tuttavia questo non mi bastava, desideravo crescere e formarmi nella vita cristiana. Un giorno andai a confessarmi dai frati minori e fui invitata a partecipare agli incontri della gioventù francescana (Gifra). Da lì cominciai il mio cammino di formazione.
Nel cuore portavo il desiderio di realizzare il matrimonio secondo il progetto di Dio e volevo farlo con la persona giusta. Il Signore mi esaudì, incontrai un bravo giovane e in quei tre anni di fidanzamento la mia vita era scandita dalla Messa quotidiana, dal lavoro, dagli impegni familiari e dagli incontri in fraternità. Intanto senza che io me ne accorgessi l’amore di Dio stava già plasmando il mio cuore.
Ricevetti dal mio fidanzato la proposta di matrimonio. Dovevo essere felice invece fu come un fulmine a ciel sereno, sentivo di essere chiusa in una morsa, cercavo di temporeggiare, rimandando a data da destinarsi, ma lui insisteva, e costretta gli dissi di sì.
Mentre facevamo i preparativi del matrimonio mi domandai: “Dove trovo la mia gioia?” Cominciai un discernimento cercando di vedermi in tutte le realtà: nella relazione d’ amore, nella vita familiare, nella vita di fraternità, nella vita sociale, ma soprattutto nella relazione con il Signore. E notavo ogni volta che uscivo dall’ ora di adorazione, una leggerezza e una gioia profonda che paragonata alla gioia della persona amata non era la stessa: mi sentivo amata da dentro e questo cambiava tutto! Dunque dovevo prendere una decisione, che fare? Mi feci coraggio e fermai i preparativi. Avevo bisogno di tempo per verificare se la mia scelta era giusta o sbagliata.
Chiesi allora consiglio al mio padre spirituale. Decisi così di aprirmi ad una esperienza vocazionale, per una verifica. Il padre mi propose un ritiro di tre giorni in un monastero di clausura. Chiesi cosa fosse un monastero di clausura dato che non ne sapevo dell’esistenza. Mi spiegò che erano donne consacrate che vivevano con impegno una vita conforme a Cristo per il bene delle anime. Una funzione difficile: pensare al Signore, pregare, adorare, gioire nella rinuncia e nella penitenza, in clausura. Rimasi turbata e molto perplessa perché conoscendomi, non avrei resistito dentro la clausura. Questo era il mio metro di giudizio. Non sapevo ancora che le opere del Signore portano gioia e pace. Passò del tempo prima che maturassi la convinzione che quella proposta era solo un’esperienza, nessuno mi obbligava a restare… così ci andai. Furono tre giorni di solitudine, tre giorni in cui sperimentai quella stessa gioia che sentivo quando uscivo dall’ adorazione. Una “divina ispirazione” mi portò a pensare che quella poteva essere una chiamata del Signore, ma subito la misi da parte, ignorandola.
Ero combattuta… Da una parte la gioia di seguirlo, dall’altra la paura di lasciare tutto: il fidanzato, la famiglia, il lavoro e dunque il certo per l’incerto. Mi recai a Messa con questi pensieri e quella mattina il Vangelo parlava delle esigenze della chiamata e le parole che mi toccarono furono: “Chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro non è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,57-62). Il frate che proclamava l’omelia spiegò che il Signore quando chiama è esigente, chiede di lasciare tutto e seguirlo. Queste parole mi arrivarono come un tuono nel cuore.
Nei mesi che seguirono una gioia e una pace accompagnavano il mio spirito. Mi decisi a lasciare il fidanzato, fu un momento difficile, ma non sentii sofferenza, avvertivo una leggerezza nello spirito come chi finalmente può camminare liberamente. Mi sentivo felice come: “Quell’uomo che avendo trovato la perla preziosa, va vende tutto e la compra” (Mt 13,46).
Approfondii ulteriormente quell’esperienza in monastero vivendo un mese con loro in clausura. Dopo quel mese fissammo la data per l’entrata e cominciai il cammino. Ora vivo da 18 anni in monastero, sotto lo sguardo di Dio. Sono felice? Posso dire di sì, pur non negando che ogni strada ha le sue asprezze e presenta i suoi ostacoli.
Spesso mi chiedono: “Perché questo starsene chiusa in un monastero quando il mondo fuori ha bisogno di tanto bene?”. La mia, come quelle delle mie sorelle (al monastero di santa Chiara siamo 13 Clarisse) non è una fuga dal mondo, non è un sottrarsi alle responsabilità e ai doveri che ognuno è chiamato ad assolvere, né molto meno un ripiegarsi egoisticamente su se stessi per attendere alla propria salvezza. Al contrario, la mia consacrazione a Dio è l’accettazione di un modo particolare di vivere la relazione di conformazione a Cristo nella vita Francescana Clariana. Il nostro “Sì” a Dio vuole essere testimonianza per quanti cercano un senso alla loro vita, vuol essere seme e segno per chi ha sete dell’Unico e Sommo Bene”».
di Elisabetta Cafaro
tratto da puntofamiglia.net
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